Bologna, Teatro Comunale: “Rigoletto”

Bologna, Teatro Comunale, Stagione d’opera 2016
“RIGOLETTO”
Melodramma in tre atti su libretto di Francesco Maria Piave
Musica di Giuseppe Verdi
Il Duca di Mantova RAFFAELE ABETE
Rigoletto VLADIMIR STOYANOV
Gilda SCILLA CRISTIANO
Sparafucile ANTONIO DI MATTEO
Maddalena ROSSANA RINALDI
Giovanna BESTE KALENDER
Il Conte di Monterone ANDREA PATUCELLI
Marullo RAFFAELE PISANI
Matteo Borsa PIETRO PICONE
Il Conte di Ceprano HUPO LAPORTE
La Contessa di Ceprano/Un paggio MARIANNA MENNITTI
Un usciere di corte MICHELE CASTAGNARO
Orchestra e Coro del Teatro Comunale di Bologna
Direttore Renato Palumbo
Regia Alessio Pizzech
Scene  Davide Amadei
Costumi Claudia Ricotti
Luci Claudio Schmid
Maestro del coro Andrea Faidutti
Nuova produzione del Teatro Comunale di Bologna
Bologna, 9 novembre 2016
Grande fortuna che qualche direttore si prodighi nel valorizzare la scrittura strumentale di un’opera come Rigoletto, spesso affossata dai più grigi routiniers della bacchetta. Non è fra questi Renato Palumbo, direttore del nuovo allestimento bolognese del capolavoro verdiano, in scena nella sala del Bibiena da  mercoledì scorso. A inizio del Preludio, accordi non perentori ma morbidi, quasi un discreto aprir di sipario, catturano l’attenzione, così come i ben calibrati crescendo. Accenti inusuali costellano gli accompagnamenti, svettano gli ottoni nelle invettive di Monterone, rifulge il Temporale di trilli splendidamente risolti dall’Orchestra del Comunale di Bologna, che si avvale del fraseggio forbito di ottimi primi legni. Eppure gli stacchi dei tempi cantabili sono troppo spesso precipitosi, mossi da un pulsare vivace sì ma inesorabile, refrattario ad assecondare il fisiologico respiro del canto o lo scandire della parola essenziale sempre, figuriamoci – ma c’è bisogno di ipeterlo? – nel teatro di Verdi.  Di certo non ha ricevuto gran servizio dalla messinscena di Alessio Pizzech. I costumi di Claudia Ricotti ammiccano a certe commedie horror di Tim Burton, in contrasto con le gigantografie delle pitture manieriste di Palazzo Te evocate dalla cornice scenica curata da Davide Amadei. Gilda è meccanica bambola e, sciorinato “Caro nome” da degna sorella dell’Olympia di Offenbach, viene riposta da Giovanna in una grande teca.  All’inizio del primo atto, il Duca si muove fra cortigiani dediti ad una pantomima sessuale su un enorme lettone (stile Casanova di Fellini) e canta “Parmi veder le lagrime” fra fanciulle fremebonde come giocattoli rotti, alla mercé di coristi panciuti. Alla deserta sponda del Mincio, una barca evoca il grand guignol del Tabarro più che il romanticismo di Victor Hugo. È insomma una regia che preme sul pedale del grottesco e del crudele: manca la voglia di dare subito ai personaggi quell’umanità a tutto tondo che rende Rigoletto sin dalle prime note un capolavoro “degno di Shakespeare”.
Schiacciati fra siffatta direzione e siffatta regia, la compagnia di canto non fa squadra e mostra qui e là qualche falla. Raffaele Abete ha acuti sonori e solidi ancorché talvolta artificiosamente gonfiati, il fraseggio risulta ancora acerbo nei cantabili (e quanti finali di frase buttati via!), ma nella ballata d’ingresso e ne “La donna è mobile” sembra a suo agio. Di fianco a lui, la Gilda di Scilla Cristiano mostra più solido mestiere, fa bell’uso del solito armamentario di filati, crescendo, sovracuti con tanto di tradizionalissima cadenza in “Caro nome”, ma colpisce di più laddove riesce a pennellare di caldo registro grave un intenso “Tutte le feste al tempio”. Poi c’è Vladimir Stoyanov, che non cade nella tentazione di fare un Rigoletto ghignante o verista: se la voce non è enorme, sempre espressivo e di misurata nobiltà è il suo canto, sa variare fraseggio e articolazione. Gli si potrebbe rimproverare qualche raro suono fisso o calante, ma il finale di “Cortigiani, vil razza dannata” e il senso di attesa che sa dare ad ogni pausa sono prove inconfutabili di un’arte fine. Sparafucile ha la voce sonora, fin troppo cavernosa di Antonio Di Matteo; la Maddalena di Rossana Rinaldi soffre di qualche stonatura di troppo,  di un registro grave poco sonoro e di disomogeneità fra i registri (ma forse non è in serata, perché agli applausi non si fa viva). Monterone ha la voce chiara e poco sonora di Andrea Patucelli. Fra gli altri comprimari, spiccano Raffaele Pisani nel ruolo di Marullo e il Ceprano di Hupo Laporte. Corretto il Borsa di Pietro Picone, non troppo a fuoco la Giovanna di Beste Kalender e Marianna Mennitti nel duplice ruolo del Paggio e della Contessa di Ceprano. I coristi del Comunale di Bologna hanno suono più dimesso e meno incisivo del solito. Nel foyer del teatro, prima del levar di sipario, i colleghi non impegnati nella recita erano impegnati in una protesta a suon di musica contro le recenti riforme che riguardano gli enti lirici. Forse una certa aria di sconforto è penetrata anche in recita. Foto Rocco Casaluci