Venezia, Teatro La Fenice, Stagione Sinfonica 2016-2017
Solisti del Teatro La Fenice
Violini Roberto Baraldi, Alessandro Cappelletto
Viola Alfredo Zamarra
Violoncello Francesco Ferrarini
Flauto Angelo Moretti
Oboe Rossana Calvi
Clarinetto Vincenzo Paci
Fagotto Marco Giani
Tromba Piergiuseppe Doldi
Orchestra del Teatro La Fenice
Direttore Yuri Temirkanov
Giovanni Salviucci: Serenata per nove strumenti – Allegro molto Canzone (Andantino) Allegro
Gioachino Rossini: “Il barbiere di Siviglia” – Sinfonia
Franz Joseph Haydn: Sinfonia in re maggiore Hob. I: 101 “La pendola”
Sergej Prokof’ev: Roméo et Juliette: estratti dalle Suite n. 1 e n. 2
Venezia, 16 ottobre 2016
Ha preso il via la Stagione Sinfonica 2016-2017 del Teatro La Fenice. La rassegna – come si legge nella presentazione – si muove lungo due grandi direttive: da una parte, l’interesse per il classicismo, inteso in senso lato, facendo rientrare in questa categoria anche autori di ex avanguardie e alcune riscoperte di questi ultimi decenni; dall’altra, l’esplorazione di autori, conosciuti solo in ristretti ambiti accademico-musicololgici, ma ignoti al grande pubblico, per valutare se possono essere considerati esponenti di nuovi classicismi. La corrente stagione rivolge, in particolare, un nuovo sguardo a una parte non sufficientemente indagata della storia musicale nazionale, il primo Novecento, allorché, nonostante il conservatorismo – per non dire oscurantismo – del regime fascista, fu, comunque, prodotta in Italia musica d’avanguardia e diversi musicisti seppero entrare in contatto con le più significative esperienze europee: tra essi Alfredo Casella – che negli anni in cui era direttore del Festival Internazionale di Musica Contemporanea di Venezia, arricchì la rassegna con quanto di meglio si produceva fuori dall’Italia – e Giovanni Salviucci, un compositore prematuramente scomparso, a soli trent’anni, e caduto nell’oblio, il cui valore non era certamente inferiore a quello di un Dallapiccola o di un Petrassi. Non è, dunque, un caso che, di quest’ultimo autore, sia stata inserita nel programma del concerto inaugurale la Serenata per nove strumenti. Nel prosieguo della stagione 2016-17 – continuando sulla falsariga di quelle degli ultimi anni – sarà eseguita l’intera produzione sinfonica di un sommo compositore: dopo Ludwig van Beethoven, Gustav Mahler e Anton Bruckner, sarà la volta di Robert Schumann, di cui saranno proposte le quattro Sinfonie nella versione originale o nella revisione di Mahler. Rimane anche l’attenzione alla contemporaneità con l’esecuzione, in prima assoluta, di tre nuove composizioni, commissionate nel quadro della sesta edizione di “Nuova musica alla Fenice”.
Ma concentriamoci sul concerto inaugurale, un appuntamento di grande rilevanza, se non altro per la presenza di uno tra i massimi direttori viventi, Yuri Temirkanov, ospite, si può dire, abituale del Teatro La Fenice – che l’anno scorso gli ha conferito il premio “Una Vita nella Musica” –, un artista amatissimo dal pubblico e anche dall’orchestra, con cui ha raggiunto una profonda intesa. Come si è detto, è stata proposta, in apertura, la Serenata per nove strumenti di Salviucci, l’ultima fatica del compositore romano, la cui prima esecuzione ebbe luogo proprio a Venezia, al Teatro Goldoni, l’8 settembre 1937 – quattro giorni dopo la sua morte – con Nino Sanzogno alla guida del Gruppo Strumentale Italiano, dedicatario del lavoro. Impeccabili tecnicamente e nell’accento i Solisti del Teatro La Fenice, che hanno sfoggiato nitore di suono e perfetta intesa nell’affrontare il denso, rigoroso contrappunto, che percorre questa pagina, caratterizzata, inoltre, da un linguaggio tonalmente instabile, nonché da molteplici sfumature e contrasti. Essa si articola in tre movimenti dai diversi caratteri: in particolare, nel corso dell’esecuzione si è riconosciuta agevolmente la Canzone, intrisa di lirismo, che domina in quello centrale.
Nel resto del concerto il protagonista è stato Yuri Temirkanov insieme all’Orchestra del Teatro La Fenice, impegnati in un programma vario, che spaziava dal primo classicismo viennese alla Russia degli anni Trenta, passando attraverso il primo Ottocento italiano. Ed è proprio da qui, dalla Sinfonia dal Barbiere di Siviglia, che è iniziata l’esecuzione dei pezzi per orchestra. Scritta originariamente per Aureliano in Palmira e in seguito riutilizzata per Elisabetta, regina d’Inghilterra – entrambe opere serie –, questa sinfonia finì poi per aprire quel Barbiere di Siviglia, a cui si è indissolubilmente legata con sorprendente coerenza drammaturgica e musicale. Subito si è imposto il gesto direttoriale essenziale, ma estremamente chiaro del maestro caucasico, che ha saputo trarre, da un’orchestra davvero in sintonia con la sua lettura, sonorità sempre nitide e armoniose, che lasciavano trasparire ogni sfumatura, ogni particolare – caratteristica che, peraltro, distingue i grandi direttori –, imponendo una scelta di tempi adeguatamente vari, ma senza eccessi: dagli accordi perentori della lenta introduzione ai contrasti tematici, agli scarti dinamici, ai celeberrimi crescendo.
Analogamente convincente e suggestiva l’interpretazione della Sinfonia “La Pendola”, composta durante il secondo soggiorno londinese, da un Haydn più che anziano. La denominazione di questa sinfonia allude all’effetto prodotto, all’inizio del secondo movimento, da note pizzicate degli archi, cui si alternano note staccate dei fagotti, che ad alcuni è parso imitare il tic-tac di un orologio a pendolo. Temirkanov ha messo in rilievo – senza mai perdere in stile – i contrasti, le sorprese, che sono elementi tipici del linguaggio haydniano, presenti nelle pagine di questa partitura: il cupo Adagio in modo minore, a cui si contrappone il successivo frenetico Presto in maggiore; la distesa, espressiva melodia dei violini nell’Andante punteggiata dall’umoristico, meccanico ostinato della “pendola”; il Minuetto, che ha un che di grandioso, inframezzato dal leggiadro Trio; il Finale: Vivace, con la sua parte fugata, che, tra verve e maestria compositiva, suggella una composizione che fa da “trait-d’-union”, per quanto riguarda il genere sinfonico, fra la tradizione settecentesca e la nuova forma che assumerà via via nell’Ottocento.
Splendida l’esecuzione di estratti dalle Suite n.1 e n.2 dal Roméo et Juliette di Prokof’ev, il balletto scritto dal compositore russo tra il 1935 e il 1936, la cui vena lirica e tragica si esprime musicalmente in pagine da cui spesso si sprigiona una straordinaria energia espressiva, il che si coglie anche nelle tre Suite, che l’autore ha ricavato, attingendo con libertà – senza tener conto dell’ordine in cui sono poste – dall’originale: meravigliose sonorità, dalla forza talvolta quasi tellurica, colori che avevano la brillantezza di un gioiello barbarico o del sangue sgorgante si sono sentite nei momenti in cui esplode la tragedia: dal brano Montaigus et Capulets, in cui si coglie l’arroventato clima di odio esistente tra le due famiglie rivali alla scena conclusiva del balletto, Roméo sur la tombe de Juliette, o in quella che descrive la Fin de Tybalt, un Capuleti ferito a morte da Romeo, per vendicare l’uccisione dell’amico Mercuzio, dove si sono sentite sonorità cupe e dal vigore di una incontenibile tempesta emotiva. Sonorità più rarefatte, con una cura quasi cameristica, del suono hanno caratterizzato altre pagine, come Juliette jeune fille e Roméo chez Juliette avant le départ, tra i momenti più delicatamente poetici del balletto, di cui si è goduto tutto il penetrante lirismo strumentale che li pervade.