Ancona, Teatro delle Muse “Franco Corelli”, Stagione lirica 2016
“TOSCA”
Melodramma in tre atti. Libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa
Musica di Giacomo Puccini
Floria Tosca CELLIA COSTEA
Mario Cavaradossi ANTONELLO PALOMBI
Barone Scarpia ALBERTO GAZALE
Cesare Angelotti ALESSANDRO SPINA
Sagrestano DAVIDE BARTOLUCCI
Spoletta MARCO VOLERI
Sciarrone OMAR KAMATA
Un carceriere BRUNO VENANZI
Un pastorello ANITA GALATELLO
Orchestra Sinfonica “G.Rossini”
Coro Lirico Marchigiano “V.Bellini”
Direttore Guillaume Tourniare
Maestro del Coro Carlo Morganti
Maestro del Coro di Voci Bianche Angela De Pace
Regia Pete Brooks
Scene e Costumi Laura Wainwright
Luci Michele Cimadono
Proiezioni Andrew Crofts
Nuovo Allestimento Fondazione Teatro delle Muse
Ancona, 14 ottobre 2016
Secondo titolo della Stagione Lirica “Opera Ancona Jesi”, la Tosca di G.Puccini è stata realizzata in un un nuovo allestimento proposto dalla Fondazione Teatro delle Muse di Ancona. A curare la regia Pete Brooks, il regista degli spettacoli “The Train” e “A Farewell to Arms” che sin da subito ha portato il pubblico all’interno di una sala cinematografica proiettando i titoli di un film d’epoca a fondoscena cercando così di realizzare quella che a suo dire sarebbe dovuta essere “una Tosca Cinematografica”. Il realismo non andava cercato chiaramente nel film, ma nella recitazione guidata dalla partitura di Puccini che nella sua drammaturgia in verità già regala moltissimo al fruitore senza moltissimi sforzi in aggiunta. Le varie sequenze e proiezioni su vari campi, la presenza sempre di alcuni momenti del primo piano e la capacità di produrre anche campi lunghi in scena hanno certo creato delle atmosfere diverse da quelle del teatro dell’opera convenzionale e deve essere premiato il tentativo di sperimentare e comunicare su altre dimensioni artistiche; ci sono però film belli ed altri mediocri e così anche parte del pubblico della città dorica deve avere pensato quando ha boato l’uscita in scena del regista nella recita della domenica. C’è da dire che quasi nessun cantante possedeva uno slancio attoriale degno di quest’idea di struttura che nell’insieme non ha aiutato affatto il risultato finale dello spettacolo e che anzi in alcune parti è sembrato a dir poco imbarazzante; sentire ridere il pubblico durante una recita di Tosca è alquanto surreale.
Le scene di Laura Wainwright erano strutture geometriche senza particolari volumi e dalle forme sempre spigolose sulle quali venivano proiettate immagini architettoniche, paesaggi di temi vari e video precedentemente girati che immortalavano i vari cantanti attori in posizioni di fissità o di lento movimento che si ripeteva in maniera ossessiva prima di ogni cambio di immagine. Cose già viste di indubbio impatto ma che sopperiscono spesso anche a risorse economiche limitate e un tempo esiguo allestire questa tipologia di spettacolo che segue ormai un filone di “teatro d’opera concettuale” abbastanza diffuso in Europa. Le proiezioni di Andrew Crofts spaziavano da immagini da “catastrofi belliche” ad atmosfere da “Italia fascista” a luoghi onorici tra cui immagini di Roma, stelle e ritratti d’epoca, pubblicità politica da regime e così via in un turbinio di fortissima autoreferenzialità: il tema che cita se stesso ed apertamente se ne compiace in maniera assolutamente narcisistica. I costumi della stessa Wainwright, abbastanza anonimi, ma funzionali al concetto registico dell’opera. La parte musicale, guidata da un veterano come Guillaume Tourniare, scorre senza particolari intoppi con diversi momenti di grande trasporto grazie alla buona prestazione dell’Orchestra Sinfonica Rossini. Una concertazione attenta al canto ma con il difetto di concedere anche troppo a rallentamenti”, con buona pace del rigore drammaturgico e dello spessore della lettura, ambedue sostituiti da un’impostazione “rassicurante”.
Cellia Costea è stata una Tosca di temperamento, equilibrata e dalla voce importante e voluminosa che ha capacità qua e là di ammorbidire, alleggerire e sfumare sia nei toni che nel fraseggio e con risultati in sostanza felici seppur perfettibile nel registro acuto. Antonello Palombi (Mario Cavaradossi) appare scenicamente un po’ lontano dall’idea registica di farlo un rivoluzionario moderno più interessato agli ideali politici che a quelli amorosi. Scarsa empatia in scena e pochissime capacità di relazionarsi con il resto del cast. Palombi è in possesso di uno strumento importante ricco di armonici ed espressività, ma anche molto spesso assai approssimativo e impreciso musicalmente e dagli accenti troppo poco controllati. Alberto Gazale (Scarpia) è stato forse l’unico ad essere all’altezza del ruolo almeno scenicamente. Una gestione intelligente e credibile del ruolo, lontano da stereotipi, nonostante lo strumento vocale appaia disomogeneo e affaticato. Quanto ai ruoli di contorno sono stati ottimamente risolti da Alessandro Spina (vigoroso ed audace Angellotti), Davide Bartolucci (sapido sagrestano), Omar Kamata (uno Sciarrone di Lusso)e da Marco Valeri (Spoletta un pò fragile ma preciso vocalmente). Bene Bruno Venanzi (Carceriere) e Anita Galatello (Pastorello). Efficace come sempre, anche dal punto di vista scenico il Coro Lirico Marchigiano “V. Bellini” diretto dal maestro Carlo Morganti e il Coro delle Voci bianche preparato da Angela De Pace. Applausi per tutti e sala gremitissima alla prima recita; per la cronaca meno convinto è apparso il pubblico in quella pomeridiana .