Opera in tre atti su libretto di Antonio Salvi. Max Emanuel Cencic (Arminio), Layla Claire (Tusnelda), Ruxandra Donose (Ramise), Vince Yi (Sigismondo), Juan Sancho (Varo), Xavier Sabata (Tullio), Petros Magoulas (Segeste). Armonia Atenea, George Petrou (direttore). Registrazione: Atene, Megaron, 7-18 settembre 2015. 2 CD DECCA 478 8764-2
Il biennio 1736-1737 rappresenta un momento importante dell’attività inglese di Haendel. Momento di intenso lavoro, con la composizione quasi contemporanea di tre opere serie come “Giustino”, “Arminio” e “Berenice” ma anche di profonde trasformazioni con il gusto il gusto inglese che si andava sempre più allontanando dai modelli italiani tanto che questi lavori rappresenteranno le ultime opere serie del maestro sassone che per venire incontro al pubblico si specializzerà sempre più nel genere oratoriale spesso reinterpretato in chiave mitologica e profana.
“Arminio” composto tra l’estate e l’autunno del 1736 e andato in scena il 12 gennaio 1737 tentava già di andare incontro ai gusti del pubblico. Il vecchio libretto di Antonio Salvi scritto nel 1703 per Alessandro Scarlatti e già riutilizzato fra gli altri da Caldara, Steffani, Hasse e Galuppi e sottoposto ad un drastico processo di revisione. Dei 1323 versi originali ne rimangono circa 300 con drastici tagli sia nelle arie – solo Arminio e Tusnelda vedono sostanzialmente confermato il numero originario dei brani cantati – sia soprattutto sui recitati tagliati con tale sistematicità da rendere quasi intellegibili certi passaggi della vicenda ma Haendel era ben conscio di come questi risultassero poco attraenti per un pubblico come quello londinese non in possesso di una piena conoscenza dell’italiano.
Nonostante questi accorgimenti l’opera fallì clamorosamente riuscendo ad ottenere solo cinque repliche per poi cadere in un oblio destinato a durare fino all’incisione di Curtis del 2001 con poche interruzioni intermedie come l’edizione in tedesco di Seiffert e Moser a Lipsia nel 1935. Le ragioni di questo fiasco sono difficili da comprendere, la compagnia di canto era di grande prestigio e la musica seppur non sempre omogenea contiene brani meravigliosi, degni dei capolavori maggiori del compositore. Sicuramente vi è una certa fragilità teatrale e soprattutto deve aver pesato il ritorno ai modi eroici delle prime opere lontano dalle atmosfere magiche e fiabesche con cui Haendel aveva abituato il pubblico inglese negli anni precedenti.
Quanto mai opportuna quindi questa nuova registrazione che dopo quella in fondo sperimentale di Curtis mostra anche il passo compiuto dalla prassi esecutiva nei primi decenni del nuovo secolo. Fin dalle prime battute si nota la fortissima carica teatrale che alla musica imprime George Petrou che subito fa presagire il dramma che si realizzerà fra poco e che nel corso dell’opera non conosce cedimenti in una visione compatta e unitaria fatta di atmosfere perfettamente tracciate, di sonorità piene, vitali, mai esangui ma sempre pulitissime e nitide, di un rigore filologico che mai diviene freddezza ma che proprio nella sua verità stilistica fra esplodere il fuoco delle passioni. La sua orchestra Armonia Atenea suona splendidamente esibendo sonorità di volta in volta luminose e cupe, morbide e corrusche. L’intonazione, l’omogeneità di suono, la presenza di un proprio velluto timbrico per anni inimmaginabili nelle esecuzioni filologiche sono qui pienamente ottenute e sono la più compiuta dimostrazione degli enormi passa avanti fatti dalla prassi musicale barocca negli ultimi decenni anche in paesi come la Grecia rimasti a lungo marginali in questo processo.
La compagnia vocale è poi una delle migliori possibili, certo resta la domanda di quanto controtenori e falsettisti siano la miglior scelta in sostituzione dei castrati – la prassi dell’epoca prevedeva in questi casi il ricorso a voci femminili – ma sicuramente quelli scelti sono fra quanto di meglio si sia ascoltato per queste tipologie vocali. Max Emanuel Cencic non è solo un grande cantante ma soprattutto un grandissimo artista, uno fra i pochi in questo repertorio a calarsi totalmente nel personaggio, a farlo vivere con la stessa pienezza di quanto è abituale per le grandi parti del melodramma. La voce è piena, sonora, naturalissima, lontana anni luce dalle voci forzate e innaturali cui per anni ci hanno abituato anche illustri controtenori, la tecnica e perfetta – sentire con quale sicurezza sono sgranate le colorature di “Al par della mia sorte” o di “Fatto scorto al sentier della gloria” – ma quello che seduce è l’intensità espressiva, la capacità comunicativa che ritroviamo in brani dalla grande intensità in tal senso come “Duri lacci voi non siete” o “Vado a morir” che esaltano in pieno le sue qualità ma va rimarcata anche la dote di non rinunciare mai al dato espressivo anche nei momenti vocalmente più impervi.
Tutte rivolte al canto le doti di Vince Yi giovane sopranista di origini coreane dotato di una prodigiosa facilità nel dominare le tessiture più impervie e una sicurezza granitica anche nei più estremi passaggi di coloratura ma quello che più colpisce è la voce di autentico soprano, chiara, luminosa, squillante ma senza nessun tratto virili tanto sarebbe impossibile distinguerla da un soprano donna e che si adatta molto bene al ruolo sostanzialmente lirico di questo incerto e irresoluto principe, sempre diviso fra amore e dovere e sempre incapace di prendere una decisione definitiva. Completa il lotto dei falsettisti Xavier Sabata che nel ruolo in fondo secondario di Tullio sfoggia una voce degna di interesse anche se limitata da una dizione alquanto arruffata specie nei recitativi.
Al fianco di Arminio è la Tusnelda di Layla Claire vera rivelazione di questa registrazione. Voce non grande ma agile e luminosa, timbricamente incantevole e dall’ottima tecnica di base. La natura lirica ed elegiaca si esalta in un personaggio come Tusnelda che trova proprio in un languido lirismo la sua cifra stilistica più tipica ma quando il personaggio è chiamata a brani più scopertamente di bravura come “Va, combatti ancor da forte” si dimostra pienamente all’altezza con colorature nitide e precisissime oltre che molto musicali.
Al fianco del languoroso Sigismondo di Yi forma un perfetto contrasto la combattiva Ramise di Ruxandra Donose che sorprende per il colore contraltile che riesce a trovare, la ricordavamo mezzosoprano più chiaro e leggero, unito ad un impeto eroico e quasi virile unito a un’ammirevole sicurezza nel canto di coloratura, prevalente di forza che caratterizza il personaggio.
Completano il cast il Segeste robusto ma un po’ rozzo di Petros Magoulas e Juan Sancho un Varo timbricamente prosaico ma ben impostato tecnicamente e interprete autorevole e convinto tanto nei recitativi tanto nelle sole due arie che sono lasciate al personaggio di cui la seconda “Mira il Ciel, vedrai d’Alcide” di nobile eroismo.