Palermo, Teatro Massimo: “Madama Butterfly”

Palermo, Teatro Massimo, Stagione Lirica 2016  
“MADAMA BUTTERFLY”
Tragedia giapponese in due atti. Libretto Giuseppe Giacosa e Luigi Illica.
Musica di  Giacomo Puccini
Cio-Cio-San HUI HE
Suzuki ANNA MALAVASI
Kate Pinkerton MILENA JOSIPOVIC
F. B. Pinkerton BRIAN JAGDE
Sharpless GIOVANNI MEONI
Goro MARIO BOLOGNESI
Il principe Yamadori VITTORIO ALBAMONTE
Lo zio Bonzo MANRICO SIGNORINI
Commissario imperiale COSIMO DIANO
Ufficiale del registro ANTONIO BARBAGALLO
Lo zio Yakusidé ALFIO MARLETTA
La madre DAMIANA LI VECCHI
La cugina MANUELA CIOTTO
La zia MARIELLA MAISANO
Orchestra e Coro del Teatro Massimo
Direttore Jader Bignamini
Maestro del Coro Piero Monti
Regia Nicola Berloffa
Scene Fabio Cherstich
Costumi Valeria Donata Bettella
Luci Marco Giusti
Drammaturgia Alexandra Jud
Videomaker Paul Secchi
Nuovo allestimento in coproduzione con il Macerata Opera Festival 
Palermo, 16 settembre 2016
Un risveglio scoppiettante quello del Teatro Massimo che, dopo la pausa estiva, torna al centro di un vortice di iniziative volte a richiamare con tutti i mezzi disponibili i suoi cittadini, promuovendo livelli diversi di fruizione e di partecipazione del pubblico. ‘Piazza Massimo’, questo il nome della tre giorni di opere e videoproiezioni che anima la piazza del teatro: attrattive principali la performance itinerante di Figaro! Opera camion (dal Barbiere di Siviglia di Rossini), in viaggio per i quartieri della città, e l’allestimento di una platea en plein air con maxischermo per la proiezione di concerti, documentari e spettacoli tra i quali la diretta – dalla Sala Grande del teatro – della prima di questa Madama Butterfly.
Affettuosamente dedicata al soprano Daniela Dessì, recentemente scomparsa, ed ultima interprete di Butterfly a Palermo (2012), la recita ha richiamato l’attenzione delle istituzioni cittadine e di un pubblico numeroso che ci è sembrato abbia molto apprezzato lo spettacolo il quale, fatte salve alcune scelte poco condivisibili, ci ha comunque complessivamente convinto. L’allestimento – di impianto tradizionalista con alcuni tentativi di originalità – si incentra sull’idea del contrasto tra Oriente e Occidente, il cui scontro tra culture si risolverà inevitabilmente con l’annientamento dell’una a seguito delle prevaricazioni e degli inganni perpetuati dall’altra. In quest’ottica, la giovane ma risoluta protagonista che cade nella trappola del prestante luogotenente statunitense è proprio la personificazione del mondo giapponese, la cui grandezza millenaria viene dapprima consumata, poi sminuita e derisa e infine rasa al suolo dalla forza bruta del colosso occidentale. È proprio per accentuare la portata di questa violenza, dettata da ignoranza e superficialità, che la vicenda è trasposta al secondo dopoguerra, durante l’occupazione militare di Nagasaki. Dopo le prime battute dell’orchestra – condotta dal movimento posato ma efficace di Jader Bignamini, molto attento a dare il giusto risalto ai temi conduttori e alla ricchezza timbrica della partitura – il sipario si apre su uno degli ambienti della casa a soffietto descritta nel libretto: nella rilettura di Nicola Berloffa, che firma la regia, la casa è costruita all’interno di un teatro tradizionale giapponese sul cui palcoscenico si avvicendano dapprima i servitori e poi i parenti e gli amici della sposa, tutti introdotti dal nakodo Goro come personaggi di una pièce da quattro soldi.
Insieme a noi sono spettatori Pinkerton, luogotenente della marina degli Stati Uniti, ed i suoi divertiti marines, volgari pretendenti delle amiche di Butterfly che, una dietro l’altra, sfilano sul palco: ci rendiamo presto conto che le fattezze di questo luogo rinviano a quelle di una casa per appuntamenti dove le geishe, ormai spogliate della raffinata arte che le contraddistingue, ricevono i loro amanti. È questo il posto deputato al matrimonio/farsa tra Pinkerton e Cio-Cio-San che è dichiaratamente una messa in scena di cui tutti sembrano essere a conoscenza. Tutti tranne la protagonista. Lo scontro tra i due mondi si accende soprattutto nel primo atto, dove gli sprazzi di colore dei costumi tradizionali giapponesi, nati dalla mano di Valeria Donata Bettella, si stagliano su un tetro fondale blu semovente, mentre il potente bagliore delle luci di Marco Giusti avvolge di un’aura artefatta un mondo che sta ormai precipitando verso un irreparabile declino.  Ai contrasti visivi fanno eco i giochi di colore della partitura pucciniana, ben eseguiti dall’Orchestra del Teatro Massimo, che ha dialogato con i cantanti mantenendo quasi sempre i giusti volumi e che ha saputo dare il giusto peso alla ricercatezza del linguaggio musicale dell’opera.
Di forte impatto visivo risulta ancora l’entrata di Butterfly e delle sue amiche, accompagnata da scene (di Fabio Cherstich) che si compongono seguendo il passo delle donne verso il buio proscenio. Come spiega Alexandra Jud, autrice di uno dei saggi del programma di sala, l’immagine dei ciliegi in fiore «simbolo di bellezza e fugacità» nel teatro tradizionale giapponese, viene qui umiliata nel momento in cui è posta davanti alla stupida superficialità dei militari, buoni soltanto a consumare birra appollaiati sulle panche della platea.  È forse per rendere più squallida e scontata la cerimonia che l’entrata di Cio-Cio-San avviene direttamente davanti a tutti, senza rispettare le indicazioni del libretto che vogliono la sua voce proveniente dall’interno? Non lo sappiamo. Così come non riusciamo a capire come mai l’arrivo della nave nel secondo atto è seguito per telefono, creando un’incongruenza con quello che il libretto reca in didascalia (Prende sul tavolino un cannocchiale e corre sul terrazzo ad osservare) e che dice per bocca della protagonista (“Reggimi la mano ch’io ne discerna il nome”). Ci sembra che a tali prescrizioni bisognerebbe sempre essere fedeli, pur stravolgendo – se lo si ritiene opportuno – altri aspetti più secondari nella realizzazione di un’opera.
Meritatissimi gli applausi per Hui He, veterana del ruolo già dal 2003: il timbro morbido e la potenza di emissione sostengono con delicatezza il dispiegarsi di melodie serene (“Spira sul mare”) e la sua voce si amalgama con fluidità a quella degli altri personaggi. Nel lungo ed articolato duetto con Pinkerton è capace di alternare momenti di tenerezza infantile ad apici di intensa sensualità. Ad accompagnarla è il giovane tenore americano Brian Jagde, che porta alla ribalta un Pinkerton perfettamente calato nel ruolo, con un timbro vocale energico e brillante accompagnato da una sicura drammatizzazione del personaggio. I forti contrasti musicali tra le due parti vocali trovano in “Bimba dagli occhi pieni di malia” l’apice espressivo della tragedia imminente: la resa complessiva è soddisfacente, anche se non si può che evidenziare un certo distacco di Hui He che, impegnata nella corretta interpretazione vocale, lascia poco spazio al coinvolgimento drammaturgico.
I contrasti del primo atto vengono meno e quasi si annullano nel secondo, dove la desolazione del contesto non lascia più spazio a ghiribizzi orientaleggianti. Anche la scena ce lo dice: sono trascorsi tre anni e il teatro dove sorge la casa di Cio-Cio-San si è trasformato in un cinema che proietta film americani. Il sipario si apre sul finale di Perdutamente Tua (Now, Voyager, 1942), storia di un amore impossibile dove una Charlotte (Bette Davis) ormai emancipata pronuncia la famosa battuta (che noi non sentiamo): «Non chiediamo la luna… abbiamo già le stelle».  Anche qui il progresso industriale testimoniato dal cinema conduce ad una trasformazione della società: ma, ben lungi dal benessere economico che investe il mondo occidentale, davanti ai nostri occhi si consuma la triste storia di un popolo derubato della sua identità, piegato sotto l’arroganza dell’oppressore e illuso nella falsa promessa del ‘sogno americano’. È chiaro il parallelo con la vita di Cio-Cio-San che però, a differenza delle amiche per le quali la metamorfosi è già compiuta (ce ne accorgiamo vedendole indossare abiti occidentali), aspetta da giapponese il ritorno del marito per lasciarsi andare verso la nuova vita. Butterfly si crede ancora una donna libera: libera di indossare le vesti tradizionali pur avendo rinnegato le sue origini, libera di scegliere una vita di stenti per non tornare al suo passato di geisha, libera di lasciarsi ancora ingannare dall’amore e dalle false promesse di Pinkerton. Allora il suo canto può dispiegarsi fiducioso, proiettando sullo schermo bianco della sala cinematografica la scena a cui è sicura di assistere “un bel dì”. Ha al suo fianco una Suzuki disincantata ma pronta a sostenerla nelle sue scelte: la interpreta il mezzosoprano Anna Malavasi che, sebbene un po’ debole negli interventi del primo atto (“Sorride vostro onore”), in cui il canto è quasi del tutto coperto dall’orchestra – forse anche a causa della sua distanza dal proscenio – si riprende nel duetto del secondo atto (“Scuoti quella fronda di ciliegio”), dove, insieme a Hui He, intesse commoventi e delicate trame liriche.  Molto convincente il baritono Giovanni Meoni che dà al console Sharpless – unico personaggio maschile dell’opera che mostra profondità d’animo – un’intensità di voce sensibile alla diversità delle situazioni, capace di esprimere durezza nel ben riuscito duetto con l’ipocrita luogotenente (“Amore o grillo”) e tenerezza di padre nella scena della lettera (“Amico cercherete quel bel fior di fanciulla). Poco da dire sugli interpreti dei personaggi minori, totalmente assorbiti dalla centralità della protagonista: convincente la performance di Milena Josipovic, una Kate Pinkerton dal timbro scuro e dal movimento scenico quasi spettrale; discreto Mario Bolognesi, la cui duttilità vocale si è rivelata adatta alle tante mansioni svolte dal viscido Goro; poco credibile invece lo zio Bonzo di Manrico Signorini, la cui maledizione è lanciata in maniera rozza e sguaiata, conferendo un’immagine fin troppo caricaturale al personaggio. In conclusione, una parola sul Coro del Teatro Massimo, come sempre diretto dal maestro Piero Monti. In un’opera di contrasti come Madama Butterfly esso è stato capace di esprimere con la giusta violenza la condanna della gente di Cio-Cio-San per il suo tradimento, mentre con rarefatta delicatezza ha accompagnato a bocca chiusa la lunga attesa della protagonista, conducendoci per mano nell’oblio del suo inconscio, nuotando insieme a lei in un sogno ad occhi aperti (tradotto sulla scena nelle immagini di coreografie acquatiche di Esther Williams) nelle cui acque nuota sicura la ‘vera’ donna americana, quella che lei spera ma che sa non potrà mai diventare. Repliche fino al 25 settembre. Foto Rosellina Garbo