Madrid, Auditorio Nacional de Música
Orquesta y Coro Nacionales de España (OCNE), Ciclo Sinfónico – Temporada 2016-2017 “Locuras”
Orquesta Nacional de España
Direttore David Afkham
Pianoforte Nicolai Lugansky
Olivier Messiaen : Les Offrandes oubliées
Sergei Prokofiev : Concerto per pianoforte e orchestra in sol minore n. 2 op. 16
Héctor Berlioz : Symphonie Fantastique op. 14
Madrid, 23 settembre 2016
Hanno deciso di chiamarla “Locuras” (Follie), la nuova stagione della Orquesta Nacional de España: ventiquattro concerti di qui al prossimo giugno, con programmazioni molto differenziate, e alcuni direttori dalla personalità interessante (Juanjo Mena dirigerà tre concerti, ma poi verranno Christoph Eschenbach, Josep Pons, Krzysztof Penderecki, Vladimir Ashkenazy tra gli altri). La scelta del titolo può lasciare qualche perplessità, ma non c’è da preoccuparsi; l’allure molto pop della serie “Locuras” serve ad attirare nuovi abbonati o frequentatori occasionali (la passata stagione si intitolava “Malditos”); in realtà, per come i concerti si presentano e quanto al repertorio proposto, tutto è decisamente tradizionale e serioso. La follia evocata può avere un collegamento con i brani in programma: un tema, un’ispirazione, una componente biografica del compositore, ma non ha nulla a che vedere con l’orientamento degli esecutori. Nove concerti della nuova stagione (più di un terzo del totale) saranno diretti dal giovanissimo David Afkham (classe 1983), che dall’anno scorso è il direttore principale di OCNE; nato nella Friburgo tedesca, ha compiuto tutti gli studi in ambito germanico, e la solidità della sua formazione si riverbera in una indubbia professionalità. I madrileni già lo adorano, anche perché ha tutte le caratteristiche in voga oggi per un direttore à la page: bello, spigliato, simpatico, sorridente, impeccabile nel suo attillato frac. Per fortuna è bravo, e la sua intelligenza musicale lascia il segno anche quando il confronto sarebbe arduo per chiunque altro. Il suo gesto non è molto elegante, ma sicuramente efficace, e dall’orchestra sembra riuscire a trarre il meglio.
Per il concerto inaugurale tre opere giovanili di tre compositori che ai loro tempi furono in effetti tacciati come rivoluzionari, maledetti, addirittura pazzi; ed è questo il motivo conduttore (a dire il vero tutto aneddotico e piuttosto labile) alla base della locandina. Però la serata riesce ottima, perché i pezzi si integrano perfettamente tra loro grazie alla bravura degli interpreti. Nelle Offrandes oubliées di Messiaen, articolate in tre parti (la croce, il peccato, l’eucaristia) il direttore sottolinea sia gli empiti tardo-romantici, da poema sinfonico lisztiano, sia quelle stratificazioni sonore e tonali già distintive dello stile armonico del compositore. Il brano è una piccola gemma a tre facce, comunicanti tra loro ma di qualità differente (la reboante rappresentazione del peccato è convenzionale); parimenti diverso l’esito esecutivo: nel finale, in cui già si ascoltano gli stilemi del Catalogue d’oiseaux, si vorrebbe più trasparenza negli accordi degli archi. Segue il concerto per pianoforte e orchestra n. 2 di Prokofiev, interpretato da uno strepitoso Nikolai Lugansky, che si conferma uno dei pianisti più valenti della scena internazionale. Oltre all’enunciazione precisa di temi e motivi e alla scioltezza di movimenti, a impressionare l’ascoltatore sono il legato e la differenziazione delle sonorità di cui il pianista è capace simultaneamente; in tal modo può interpretare alla perfezione la lunga cadenza del I movimento (Andantino) e i funambolismi dello Scherzo (Vivace); il III movimento (Moderato) è famoso per le mani continuamente sovrapposte e i glissando: Lugansky è capace di risolvere tutto in assoluta naturalezza, supportato dalla sfavillante orchestra di Afkham. La vera arte di questo pianista è simulare con distacco un’assoluta mancanza di coinvolgimento emotivo, quando al contrario esso si tende al massimo per rendere ogni segno della minuziosa partitura. Una scelta stilistica che spiega il rapporto stesso tra concerto e compositore, dal momento che Prokofiev lo scrive a ridosso della morte dell’amico Max Schmidthoff, ne perde il testo durante la rivoluzione russa ed è obbligato a ricostruirlo a memoria agli inizi degli Anni Venti, dopo aver composto altre opere di grande impegno, come il concerto n. 3. Al pubblico acclamante il solista porge un bis raffinatissimo, la Barcarola (Giugno) dalle Stagioni di Čajkovskij.
Conclude la serata una delle pagine più complesse e articolate di tutto il sinfonismo ottocentesco come la Fantastica di Berlioz. Se anche qualche attacco non è del tutto preciso, nell’iniziale Réveries (Passions) è apprezzabile l’equilibrio di tempo e sonorità. Afkham non ricerca alcuna dolcezza, anzi riesce persino brusco in certi passaggi; nel III movimento (Scène aux champs) si dedica soprattutto, com’è giusto, alla resa coloristica dei fiati in dialogo tra loro. In effetti il Berlioz di Afkham è più languido che inquietante; senza strascichi, ma sempre impensierito da un ‘suono lontano’: questo dicono i tempi cauti, le sonorità massicce ma non prevaricanti, gli accenti fermi ma accompagnati da eco. Anche la sezione conclusiva di Songe d’une nuit de sabbat che conduce alla stretta finale pare più il risveglio da un incubo, ossia una liberazione, che non la tragica conclusione degli “episodi della vita di un artista”. Ed è bene che neppure nelle ultime, trascinanti enunciazioni del “Dies irae” il direttore si lasci prendere la mano; tutto resta sotto controllo appena prima che il pubblico esploda un applauso lunghissimo ed entusiastico. Tutto sommato, la ragione ha scongiurato il sopravvento della locura.