Pesaro, Adriatic Arena – Rossini Opera Festival, XXXVII edizione
“Flórez 20”
Orchestra e Coro del Teatro Comunale di Bologna
Direttore Christopher Franklin
Maestro del coro Andrea Faidutti
Tenore Juan Diego Flórez
con la amichevole partecipazione di Chiara Amarù, Ruth Iniesta, Salome Jicia, Cecilia Molinari, Marina Monzó, Pretty Yende, Nicola Alaimo, Marko Mimica, Pietro Spagnoli, Michael Spyres
Gioachino Rossini : Il signor Bruschino, Sinfonia e Duetto «Quant’è dolce a un’alma amante» – Otello, Sinfonia e duetto «No, non temer» – Le comte Ory, Duo «Ah! quel respect, Madame» – Zelmira, Concertato del finale I «La sorpresa … lo stupore» – Il barbiere di Siviglia, Sinfonia e Aria «Cessa di più resistere» – La donna del lago, Terzetto «Vincesti … addio!» – La Cenerentola, Sinfonia e Duetto «Tutto è deserto – Un soave non so che» – Il viaggio a Reims, Sestetto «Zitti! … Non canta più» – Matilde di Shabran, Sinfonia e Quintetto «Signor, men vado o resto?» – Guillaume Tell, Final IV «Tout change et grandit en ces lieux»
Pesaro, 19 agosto 2016
«Non fuggite, o lieti istanti, / della mia felicità». Nell’edizione del 1996 un giovanissimo tenore peruviano sostituì l’ammalato interprete maschile della Matilde di Shabran, che il ROF riproponeva per la prima volta in età moderna. Non si trattò solo del salvataggio dello spettacolo, ma della rivelazione di Juan Diego Flórez, che non a caso si definisce artisticamente nato a Pesaro. Vent’anni, e ventuno stagioni ormai compiute da quella del 1996, sono un tempo opportuno per tracciare un résumé, soprattutto in vista del futuro. Dieci opere interpretate al ROF, per un complesso di ventidue produzioni, tra novità e riprese, più l’anniversario del debutto; chi pensasse a una volontà autocelebrativa sarebbe però in errore, perché Flórez non è mai stato propenso agli atteggiamenti divistici autoreferenziali. Certo, “Flórez 20” è un titolo che non lascia dubbi su chi sia il protagonista dell’evento, eppure è sufficiente dare una scorsa al programma per apprezzarne la coralità della fisionomia, e concludere che l’entità centrale è quella di Rossini con la sua musica. Dieci numeri teatrali dalle dieci diverse opere che Flórez ha interpretato a Pesaro; di cinque l’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna esegue anche l’ouverture; ma, in tutto questo, l’unica aria veramente solistica è quella dal Barbiere di Siviglia, perché gli altri pezzi sono duetti, terzetti, concertati con coro, fino al sublime finale del Guillaume Tell, nella cui grandezza armonica il concerto si conclude trionfalmente. E a dipanare il programma è essenziale la partecipazione “amichevole” (lo prescrive la locandina) di dieci colleghi, alcuni ormai molto celebri, Nicola Alaimo (attuale Geronio del Turco in Italia) o Michael Spyres (l’altro tenore, che ha appena affiancato Flórez nella Donna del lago, e poi ha reso omaggio a Nourrit in un concerto tutto suo); avrebbe dovuto essere presente anche Olga Peretyatko, ma per problemi di salute è stata sostituita da Ruth Iniesta e Marina Monzó, giovani soprani dell’Accademia Rossiniana. Flórez attacca in pianissimo il duetto dal Signor Bruschino, con una Monzó un poco intimidita, ma poi la cifra della soavità si dispiega pienamente; ottimo Spyres come Iago nel duetto dell’Otello, incantevoli gli armonici di Pretty Yende (il soprano del Ciro in Babilonia) nel duetto dal Comte Ory, molto interessante il vibrato della nuova esordiente Salome Jicia nel terzetto della Donna del lago, sempre magnifico da riascoltare, a due giorni di distanza dall’opera completa; molto fresca e simpatica Chiara Amarù nel duetto della Cenerentola, e così via per gli altri. Insomma, una grande festa teatrale, intervallata dai momenti strumentali diretti molto bene da Christopher Franklin (in particolare l’ouverture di Otello) e amplificati anche dal Coro del Teatro Comunale di Bologna, istruito da Andrea Faidutti.
Con un concerto celebrativo dei vent’anni dal debutto di un tenore è perfettamente consequenziale che la prima domanda su Flórez riguardi la sua voce: com’è cambiata, dal 1996 a oggi? Sono apparsi nuovi caratteri che invitano a riconsiderare le scelte del repertorio? È forse il tempo di affrontare altri autori oltre a quelli del primo Ottocento? Del suo futuro deciderà ovviamente l’artista, che finora si è distinto per oculatezza, prudenza, intelligenza, allo scopo di tutelare una carriera di anno in anno più preziosa e interessante (a colazione in albergo, la mattina dopo il concerto, un melomane non troppo rossiniano mi chiedeva, così, tra uova con bacon e crostate alla frutta, “Non sarà già pronto per Puccini?”. Mi sono limitato a rispondere: “Spero di no” …). Sulla voce in sé e sulla sua fisiologica trasformazione, si può ben dire che è cambiata poco in proporzione ai vent’anni. Ma se qualcosa si è perso, altro si è guadagnato, come accade a tutti i grandi interpreti. Non sembra lecito parlare di imperfezioni, tuttavia qualche debolezza va oggi registrata nel sostegno delle note basse e nella scansione dei gruppetti nei passaggi più virtuosistici (fino a qualche tempo fa la precisione con cui Flórez li sgranava era semplicemente perfetta). Per contro, la finezza dell’interprete e del fraseggiatore è divenuta più schietta: sono scomparse alcune leziosaggini del passato, alcuni atteggiamenti un po’ troppo ricercati, anche di autocompiacimento, che ora lasciano spazio all’elegia dove opportuna, al lamento quando la disperazione o l’ira lo richiedono; non c’è più nulla che non sia necessario e, appunto, naturale. Già in altra occasione abbiamo osservato che «Flórez ha negli anni scorsi viziato il suo uditorio, strabiliandolo con uno smalto e uno squillo che ora non si impongono più con tanta forza. […] il compiacimento per la bellezza vocale ha ceduto il passo all’espressività del declamato e degli affetti». Sempre più, comunque, è capace di scatenare entusiasmi viscerali: esistono nel mondo clubs e associazioni di fans che lo seguono adoranti (Los florezidos), specialmente tra i rossiniani che ogni anno compiono il pellegrinaggio pesarese. Se per questa parte preponderante del pubblico il recital aveva almeno venti ragioni per essere proposto in coda al ROF 2016, al posto degli usuali Stabat Mater o Petite Messe Solennelle o esecuzione di un’opera in forma di concerto, qualcun altro si domandava se l’esibizione-florilegio rossiniano con sciorinamento di acuti e sopracuti – ritenuta prestazione circense – avesse davvero un senso così profondo. A tali dubbi si può rispondere non solo dal punto di vista del tenore-prodigio, che giustamente celebra vent’anni (scusate se son pochi) di fedeltà a una città, a un festival e a un autore, ma anche dal punto di vista di una nutrita percentuale di pubblico, che del ROF è principale sostenitore. Non è un caso se Flórez abbia voluto cantare come unica aria «Cessa di più resistere», che ha costituito anche l’unico bis della serata: oltre all’affezione per la parte vocale di Almaviva, i versi di quell’aria esprimono un momento di apice e forse di non ritorno, come accade molto spesso nel melodramma italiano. È l’istante in cui il carattere vocale tocca il culmine della propria felicità, e implora il tempo di non fuggir via troppo rapido: «Non fuggite, o lieti istanti, / della mia felicità». Questo è il più bel sentimento che possa assaporare chi rivive in una serata vent’anni della propria carriera artistica e professionale, condividendola con molti colleghi e con moltissimi spettatori che l’hanno accompagnata e apprezzata dall’inizio. Il ricordo consapevole di un’esperienza passata non può che essere un insegnamento utile per il futuro; quando poi si può declinare con la musica di Rossini, la celebrazione diventa addirittura un obbligo. Foto Studio Amati Bacciardi