Verona, 94° Festival Areniano 2016
“LA TRAVIATA”
Melodramma in tre atti, libretto di Francesco Maria Piave dal romanzo La dame aux camélias di Alexandre Dumas figlio
Musica di Giuseppe Verdi
Violetta Valery NINO MACHAIDZE
Flora Bervoix CLARISSA LEONARDI
Annina MADINA KARBELI
Alfredo Germont FRANCESCO DEMURO
Giorgio Germont GABRIELE VIVIANI
Gastone PAOLO ANTOGNETTI
Barone Douphol ALESSIO VERNA
Marchese d’Obigny ROMANO DAL ZOVO
Dottor Grenvil PAOLO BATTAGLIA
Giuseppe, servo di violetta CRISTIANO OLIVIERI
Domestico / Commissionario VICTOR GARCIA SIERRA
Orchestra e Coro dell’Arena di Verona
Direttore Jader Bignamini
Maestro del Coro Vito Lombardi
Regia, scene, costumi e luci Hugo de Hana
Coreografia Leda Lojodice
Verona, 2 Luglio 2016
Prima sfortunata per La Traviata qui all’Arena di Verona: la concomitanza con la partita Italia – Germania non aiuta una rappresentazione già funestata da un clima impietoso, che ha causato per due volte la sospensione dello spettacolo, interrottosi definitivamente al termine del secondo atto. Quanto basta, ad ogni modo, per farsi un’idea piuttosto chiara del livello della rappresentazione. Nino Machaidze regge praticamente tutto da sola: si muove, canta ed emoziona a nome di tutto il cast, per il resto complessivamente deludente. Il giovane soprano georgiano è una Violetta assolutamente affascinante: il ruolo è studiato nei minimi dettagli, non c’è un gesto che sia fuori posto o privo di un significato riconoscibile. L’evoluzione del personaggio della traviata è resa con palpabile eleganza e con transizioni chiare ma prive di ogni stucchevolezza di maniera. Nel momento del duetto con Germont padre la trasformazione è ancora più evidente: il Dite alla giovine sì bella e pura risulta non solo credibile, ma anche commovente, per il dolore e la rassegnazione che pervadono la cantante nei gesti e nella voce – nonostante il Germont poco incisivo di Gabriele Viviani. Difficile trovare un difetto all’interpetazione vocale della Machaidze: l’emissione non risulta affaticata in alcun registro, il fraseggio è curato e solo a tratti il timbro risulta forse un po’ troppo brunito. Il primo atto viene eseguito con adeguata intensità e con briosa leggerezza: il momento a solo del finale atto I coinvolge per il pathos con cui il personaggio affronta il proprio dilemma interiore (sempre libera / serio amore). Un peccato non aver potuto ascoltare l’Addio del passato. Francesco Demuro è all’opposto un Alfredo troppo spesso insipido e costantemente singhiozzante. Non riesce a convincere né ad entrare in credibile sinergia con una Violetta appassionata come la Machaidze. La pasta vocale è quella vellutata ed elegante cui il tenore sardo ci ha abituati, ma la tecnica spesso tende a cedere, particolarmente in fase di attacco del suono. Un fraseggio generalmente anonimo viene compensato da una discreta facilità in acuto. Gabriele Viviani disegna un Giorgio Germont grigio, privo del pathos e della violenza psicologica che dovrebbe contraddistinguere il suo personaggio. Nell’interpretazione di Viviani Germont è, sì, un ottuso borghesuccio, ma non sufficientemente subdolo per risultare credibile nel duetto in cui convince Violetta ad abbandonare l’amore della sua vita. La voce è complessivamente in buona forma, nonostante l’emissione tenda a chiudersi in corrispondenza del passaggio in acuto. Nel Di Provenza il fraseggio è ben calibrato, mentre nella cabaletta No non udrai rimproveri si percepisce una certa difficoltà nella tenuta del fiato.
Clarissa Leonardi riveste con eleganza il ruolo di Flora, dandole un taglio sbarazzino e non privo di fascino vocale e interpretativo. Annina era Madina Karbeli, voce interessante e talento in continua evoluzione. Bene Alessio Verna nel ruolo del Barone Douphol, credibile nel ruolo dell’aborrito rivale di Alfredo. Gastone di Letorières era un Paolo Antognetti sempre molto attivo sulla scena. Molto bene anche il Marchese d’Obigny, Romano Dal Zovo, giovane e talentuoso interprete. Completano il cast Cristiano Olivieri (Giuseppe) Victor Garcia Sierra (Domestico/Commissionario) Paolo Battaglia (Dottor Grenvil). Regia, scene e costumi erano quelli già più volte recensiti su questa testata di Hugo de Hana: l’ormai celebre Traviata delle cornici incontra sempre l’approvazione del pubblico, grazie sicuramente alla propria monumentalità ma anche al tentativo di raccogliere la vicenda entro limiti solo apparentemente ben definiti, ma, a tutti gli effetti, in continua trasformazione. Proprio come il carattere della protagonista, che resta vittima delle convenzioni entro le quali la società non riesce a tenerla imbrigliata. Sempre di grande effetto il finale atto II, con zingarelle e matadores che contribuiscono a creare un’atmosfera realisticamente kitsch. Jader Bignamini riesce a dare alla messinscena il giusto equilibrio: le scelte dinamiche sono filologiche e ben calibrate, i tempi rispettosi della volontà del compositore e misurati sul fiato dei protagonisti. Molto bello il Preludio, peccato per il vociare degli spettatori in platea, accomodatisi con cospicuo ritardo. In forma il Coro, preparato dal Maestro Vito Lombardi e il Corpo di ballo, di straordinario impatto coreografico. La rappresentazione è stata purtroppo inficiata da ripetute intemperanze di parte del pubblico, più concentrata sul risultato della partita che sullo spettacolo. Urla, insulti ed esclamazioni di giubilo non hanno favorito la scorrevolezza della performance, oltre a costituire una mancanza di rispetto allarmante nei confronti degli artisti coinvolti. Fosse almeno finita bene. Foto Ennevi per Fondazione Arena