“Altezza Reale, non saprei, se II Barbier di Siviglia, il Re Teodoro in Venezia, o la Nina” (G. G. Ferrari Autobiografia e aneddoti piacevoli, Sandron, Palermo, 1920, p. 332.
Con queste parole, lo stesso Paisiello, rispondendo al principe Leopoldo di Napoli, annoverò tra le sue opere migliori Il Barbiere di Siviglia, secondo quanto testimoniato da Giacomo Gotifredo Ferrari, compositore italiano, autore di un’autobiografia nella quale si parla anche di Paisiello. Nonostante il successo dell’opera, oscurata soltanto da quella di Rossini, il libretto non è certo un capolavoro e soprattutto non è opera di un librettista esperto come Petrosellini a cui tradizionalmente è stato attribuito. Recenti studi musicologi hanno ormai acclarato che l’attribuzione della paternità del libretto del Barbiere di Siviglia di Paisiello a Giuseppe Petrosellini è da considerarsi destituita di ogni fondamento, dal momento che il poeta italiano, proprio nel periodo in cui avrebbe scritto questo libretto, era impegnato a Roma con Cimarosa per Il pittore parigino (1781) e con Anfossi per Lo schiavo delle Amazzoni (1782). Paisiello, inoltre, in una lettera indirizzata all’amico Galiani non solo non fa alcun accenno a Petrosellini, ma afferma di essere stato l’autore della distribuzione dei pezzi:
“Questa Opera (come credo che il Sig. Consigliere lo sappia) è una commedia francese del Sig. Bonmarché, ed io l’ho fatta tradurre in versi in lingua italiana. Spero che gli piacerà la distribuzione delli pezzi di musica da me fatta, ma non sarà contento della Poesia, avendo dovuto uniformarmi alla necessità della mancanza che qui abbiamo riguardo a’ Poeti”.
Nella lettera, oltre a lamentarsi della poesia, certamente non di un autore affermato come Petrosellini, e dell’assenza di poeti a Pietroburgo, Paisiello afferma che il libretto non sarebbe altro che una traduzione del testo francese della commedia di Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais che il compositore aveva conosciuto in occasione di una rappresentazione a Pietroburgo, al Teatro al Ponte Rosso, il 2 luglio da parte dei Petits Comédiens du Bois de Boulogne con la probabile presenza, nella parte della protagonista, di Marie-Thérèse Maillard. L’accenno alla traduzione, inoltre, non fa pensare a un libretto vero e proprio, ma ad un accomodamento in versi fatto da un poeta poco esperto forse di lingua madre francese, come si può notare anche nella qualità non eccelsa della poesia. Già da cinque anni a Pietroburgo dove era giunto su invito della zarina Caterina II per svolgere le funzioni di maestro di cappella con l’incarico di comporre opere, cantate e feste teatrali per il servizio della corte, di direttore dell’orchestra e di insegnante di cembalo ed armonia della granduchessa Maria Fjòdorovna, Paisiello aveva a disposizione due importanti teatri per rappresentarvi le sue opere: l’Imperiale per le opere serie e l’Hermitage per le buffe. Poco tempo dopo il suo arrivo Paisiello mise in scena un lavoro di Metastasio, Nitteti, il cui successo gli procurò il rinnovo del contratto per altri quattro anni e un aumento di stipendio. A quest’opera seguirono un altro testo di Metastasio, Alcide al bivio, e nel 1781 La serva padrona, già musicata da Pergolesi, nella quale, a differenza del suo predecessore, Paisiello presenta la protagonista Vespina più tenera e sensibile dal punto di vista sentimentale. La scelta di utilizzare un vecchio libretto già messo in musica con successo da Pergolesi è un’ulteriore conferma dell’assenza a Pietroburgo di un librettista in grado di fornire al compositore i testi per nuove opere. Paisiello, dal canto suo, ben consapevole non solo dei gusti del pubblico e soprattutto della zarina, ma anche del cast per il quale doveva scrivere, poté dare delle indicazioni chiare al traduttore, come si evince da un’altra lettera indirizzata a Galliani nel 1781:
“Quello poi che dovrà raccomandarglisi è la brevità perché non deve durare più di un’ora e mezza, e se sarà più breve più si farà onore. Non deve essere che in un solo atto, o pure due, solamente a cinque o quattro personaggi, i caratteri dei quali glieli spiegherò qui sotto, e che attualmente sono al servizio di questa imperial corte. Un buffo caricato il quale fa eccellentemente la parte di vecchio, di padre, di tutore geloso, di filosofo. Un secondo buffo caricato, il quale lo può paragonare a Gennaro Luzio. Il tenore può paragonarlo a Grimaldi. Abbiamo una buffa che fa eccellentemente qualunque carattere caricato. Abbiamo un’altra donna la quale recita il mezzo carattere, la quale fa parte eguale con l’altra; e questo glielo avviso acciò che il poeta possa regolarsi per la distribuzione dei pezzi di musica, acciò una non possa dire che ha meno dell’altra. Eccogli descritta la compagnia che si trova qui al servizio, onde sopra di questi caratteri deve il poeta travagliare. Gli avverto, pochi, pochissimi recitativi, perché s’intende la lingua; pezzi di musica quanti ne vuole, in arie, cavatine, duetti, terzetti e finali all’uso di Napoli: che vi siano dentro degli accidenti. Il libro deve essere tutto in lingua italiana, ma che non sia un basso comico”.
Nonostante il libretto sia quindi una traduzione non troppo raffinata del testo francese, l’opera ebbe un immediato successo alla prima rappresentazione avvenuta il 15 settembre 1782 al Teatro dell’Ermitage con il seguente cast: Guglielmo Jermolli (Conte d’Almaviva), Anna Davia de Bernucci (Rosina), Baldassare Marchetti (Bartolo), Giovanni Battista Brocchi (Figaro).
L’opera
Ouverture
In un unico movimento e in forma-sonata, l’ouverture introduce immediatamente il clima gaio dell’opera sin dal primo tema (Es. 1), una figurazione che nel barocco era associata alla rappresentazione della perfidia qui naturalmente riproposta in una chiave ironica. Più cantabile è il secondo tema (Es. 2) esposto alla dominante, mentre lo sviluppo brevissimo ha una strumentazione limitata ai soli archi.
Atto primo
In una strada di Siviglia, il Conte d’Almaviva, in una brevissima arietta introduttiva (Ecco l’ora s’avvicina), che ricalca il monologo iniziale della pièce di Beaumarchais e non ha precedenti nel teatro buffo, dove la scena introduttiva in genere è costituita da un brano d’insieme o da un duetto, pregusta il prossimo incontro con l’amata Rosina. Il Conte è interrotto dall’arrivo di un importuno; si tratta di Figaro, il celebre barbiere, che, chitarra alla mano, improvvisa una canzone riflettendo sui versi da lui composti in brevi inserzioni in recitativo (Diamo alla noia il bando). Questa breve aria sfocia in un duetto nel momento in cui il barbiere si accorge della presenza di Almaviva (Ma quell’abate) che inizialmente non riconosce. Dal punto di vista musicale il duetto ha una struttura bipartita (A-A1) a cui segue una stretta finale (Certo un intrigo), cantata a due. Riconosciuto da Almaviva, Figaro racconta al conte le peripezie vissute fino a quel momento e i diversi lavori da lui svolti. All’interno del raffinato recitativo secco si distingue la patetica cavata L’invida, o ciel con la quale Figaro afferma di essere stato vittima di questo nefasto sentimento umano e nella tipica aria di catalogo in due tempi (Scorsi già molti paesi), piuttosto insoliti nella successione dal momento che in genere il tempo veloce segue quello e non viceversa, come accade in questo caso, dopo aver raccontato dei luoghi dove è stato, afferma di svolere la professione di barbiere in Siviglia e si dichiara a disposizione del conte. Nel frattempo si apre una gelosia, dalla quale esce Rosina. Al patetico cantabile del duetto, Lode al ciel nel quale la donna esprime la sua gioia perché può respirare un po’ d’aria sul balcone, risponde Don Bartolo che, avvedutosi del fatto che la sua pupilla tiene in mano una carta, si insospettisce. La ragazza, dopo aver detto al suo tutore che si tratta dell’aria di un’opera intitolata L’inutil precauzione, la fa cadere in strada ed impone all’uomo di recuperarla. Nel frattempo il Conte riesce ad impossessarsene, mentre Don Bartolo che non la trova più si infuria minacciando di chiudere per sempre quella gelosia. Come si apprende nel successivo recitativo secco, nel foglio Rosina chiede al Conte, del quale non conosce la vera identità, di dire il suo nome e il suo stato intonandolo sulle note dell’aria che le ha mandato. Il Conte e Figaro, che dice di essere il factotum di casa, prendono allora degli accordi affinché i due amanti possano incontrarsi, quando Bartolo, uscendo di casa, rivela incautamente di attendere Basilio da lui incaricato di preparare la documentazione per il suo matrimonio con Rosina. Il Conte, approfittando dell’assenza di Bartolo, comunica il falso nome di Lindoro nella celebre serenata Saper bramate, accompagnata dal mandolino, tipico strumento napoletano, il cui impiego, al posto della chitarra del testo di Beaumarchais, fu suggerito probabilmente dalla presenza a Pietroburgo del celebre mandolinista Zaneboni. Il momento idillico istauratosi con Rosina, che risponde brevemente, viene interrotto bruscamente dalla chiusura della finestra. Almaviva è deciso a sposare Rosina e chiede l’aiuto del l barbiere il quale promette i suoi servigi dietro compenso. I due si congedano nel breve e semplice duetto che conclude il primo atto (Non dubitar), alla fine del quale l’astuto barbiere illustra al conte la sua dimora in una scrittura ironicamente solenne.
Atto secondo
Nella sua camera Rosina medita sul sentimento che Lindoro ha prodotto nel suo animo, quando giunge Figaro, il quale, introdottosi dopo aver narcotizzato i servi, le dice che Lindoro è un suo parente innamorato di lei. I due sono interrotti da Don Bartolo, adirato con Figaro perché con narcotici e stranutiglia ha reso innocui tutti i suoi servi. Don Bartolo, sospettando che sia stata opera del barbiere, interroga i suoi servi ancora mezzo addormentati nel terzetto (Ma dov’eri tu, stordito). Giunge poco dopo Don Basilio con la cattiva nuova secondo cui il Conte di Almaviva, che aveva corteggiato Rosina già a Madrid, si trova a Siviglia. Il maestro di musica consiglia, poi, a Don Bartolo di usare la calunnia contro Almaviva nell’aria, La calunnia, mio signore, nella quale, come poi accadrà in Rossini, il crescendo serve a creare un climax delle conseguenze della calunnia nei confronti della vittima. Don Bartolo, le cui parole sono udite da Figaro nascosto, manifesta a Basilio la sua intenzione di sposare Rosina il giorno dopo e interroga la ragazza sul colloquio avuto da lei con il barbiere sospettando che la fanciulla dovesse consegnare qualche risposta per la quale ha usato l’inchiostro e un foglio. Per nulla convinto dalle scuse di Rosina, Don Bartolo si sfoga in una caricatura dell’aria di furia (Veramente ho torto) nella cui stretta minaccia Rosina di chiuderla a chiavi. Si presenta alla casa di Bartolo il Conte, travestito da soldato con l’ingiunzione da parte del capitano di alloggiarlo per una notte. Don Bartolo dice di essere in possesso di un documento che gli consente di alloggiare i soldati in casa sua, mentre i due amanti si riconoscono nel terzetto Ah! Rosina strutturato in due tempi (Allegro-Moderato) il secondo dei quali è anch’esso bipartito con la seconda parte costituita da un Larghetto di carattere patetico. Durante il terzetto si assiste a una finta battaglia tra i due rivali e, infine, ad Almaviva cade una lettera che sottrae alle attenzioni del tutore desideroso di conoscerne il contenuto. Nel successivo recitativo secco l’uomo cerca di entrare in possesso della lettera, ma la donna riesce a sottrarlo alla sua vista con astuzia. Rimasta sola, Rosina si produce nell’aria Giusto ciel, che conoscete, pagina di intenso lirismo che conclude l’atto.
Atto terzo
Nella camera di Rosina, Don Bartolo, che sta meditando sull’umore nero della ragazza, riceve la visita di don Alonso, un altro travestimento di Almaviva (duetto Oh! che umor), che, presentandosi come baccelliere e allievo di Don Basilio, consegna, per rendere credibile il suo travestimento, la lettera della ragazza per Almaviva. Suggerisce a un Don Bartolo sospettoso un’altra calunnia nei confronti del Conte e, conquistata la fiducia del dottore, ottiene di poter dare la lezione di canto alla ragazza che intona un’aria dell’Inutile precauzione (Già riede primavera) che, per la sua struttura tripartita (Andante con moto – Largo – I tempo), per l’uso delle colorature e anche per la strumentazione, è una caricatura dell’aria col da capo dell’opera seria settecentesca. Estremamente patetico è il Largo centrale su un cullante 6/8. Don Bartolo si addormenta e critica questa musica che gli appare noiosa; le sue preferenze vanno, infatti, a una scrittura più semplice di cui è un esempio la sua aria Vuoi tu Rosina, chiamata da Paisiello Seghidiglia Spagnuola, una pagina buffa nella quale il colore spagnolo delle castagnette è evocato dallo schioccare delle dita. Coadiuvato dal barbiere sopraggiunto, il Conte riesce a farsi consegnare la chiave della gelosia, mentre l’improvviso arrivo di Don Basilio crea nuovi problemi nel quintetto (Don Basilio!) che apre il Finale del secondo atto. Figaro e il Conte con una certa abilità riescono a rimuovere questo nuovo ostacolo anche grazie a un lauto compenso dato a Don Basilio da Almaviva per assecondarli. Nella seconda sezione del Finale Figaro cerca di distrarre il tutore affinché i due amanti possano stare da soli menntre nella travolgente stretta il Conte è riconosciuto.
Atto quarto
Una breve pagina sinfonica, che rappresenta un temporale con rapide figurazioni degli archi che evocano lo scrosciare della pioggia, introduce l’ultimo atto la cui scena si apre nella camera di Rosina. Don Basilio confessa a Don Bartolo di non conoscere Don Alonso che, essendo in possesso della lettera, doveva essere certamente un emissario di Almaviva. Don Bartolo decide di affrettare le nozze e dà la chiave a Don Basilio affinché nessuno possa entrare, mentre Rosina, che ha sentito parlare, entra in scena e si intrattiene con il suo tutore il quale le dice che Lindoro sarebbe pronto a cederla al Conte. La ragazza, sfiduciata, accetta le nozze con Bartolo che, informato della prossima venuta del Conte e di Figaro, va dalla polizia e lascia sola la ragazza. Questa è raggiunta da Figaro ed Almaviva, al quale, in un drammatico recitativo accompagnato, rinfaccia tutta la sua delusione per il comportamento di Lindoro che l’avrebbe ceduta al Conte. Almaviva felice rivela la sua identità e i due si scambiano le promesse d’amore in un tenero duetto Cara, sei tu il mio bene che apre il Finale. Figaro, accortosi che è stata tolta la scala del balcone (Eccellenza), informa Almaviva e nel frattempi giunge Don Basilio con il notaio il quale ha già steso il contratto di nozze senza aver scritto i nomi. I due si sposano costringendo Don Basilio con un lauto compenso a fare da testimone. Don Bartolo, di fronte al fatto compiuto, non può far altro che recriminare sulla sua ingenuità (stretta: Qualsivoglia precauzione).