Ann Hallenberg: “Arias from Luigi Marchesi” – “Agrippina”
Arias for Luigi Marchesi – The Great Castrato of the Napoleonic Era – Giuseppe Sarti: “Vedi l’abisso orrendo” (Armida e Rinaldo), “Rendi, oh cara, il prence amato” (L’Olimpiade); Niccolò Antonio Zingarelli: “Chi mi dà consiglio, aita” (Pirro); Giuseppe Sarti: “Lungi da te, ben mio” (Armida e Rinaldo); Johann Simon Mayr: “Oh qual contento” (Lauso e Lidia); Luigi Cherubini: “Quanto è fiero il mio tormento” (Alessandro nelle Indie); Gaetano Pugnani: “Misero pargoletto” (Demofoonte); Francesco Bianchi: “Sembianze amabili” (Castore e Polluce); Domenico Cimarosa: “Superbo di me stesso” (L’Olimpiade); Josef Myslivicek: “Se cerca, se dice” (L’Olimpiade); Niccolò Antonio Zingarelli: “Qual mi sorprende e agghiccia”, “Cara, negl’occhi tuoi”(Pirro); Luigi Cherubini: “Quanto è fiero il mio tormento” (Alessandro nelle Indie).Ann Hallenberg (mezzosoprano); Francesca Cassinari (soprano); Stile Galante, Stefano Aresi (direttore). Registrazione: Bergamo, Sala Piatti, Aprile 2015. T.Time: 71.45. 1 CD Glossa GCD923505
Questa registrazione conferma l’interessante lavoro di ricerca che Ann Hallenberg in collaborazione con il musicolo e direttore Stefano Aresi, stanno conducendo sulla musica del XVIII secolo, spesso ingiustamente dimenticata considerando l’altissimo valore che molti brani proposti presentano.
Se un tema era alla base del precedente programma, qui il protagonista è un cantante, il milanese Luigi Marchesi, il più importante castrato della fine del XVIII secolo e uno dei massimi divi che l’opera abbia conosciuto in ogni tempo circondato da un’ammirazione immensa e spesso oltre il limite del fanatismo come attestano le cronache del tempo e che il cantante coltivava con atteggiamenti spesso volutamente eccessivi e stravaganti. L’attento lavoro filologico condotto ha portato a riscoprire una serie di brani non solo di altissima qualità musicale ma essenziali per comprendere quale fosse la realtà musicale dell’Europa neo-classica e napoleonica che poi è il brodo di coltura da cui nascerà in genio di Rossini ma anche di riproporre prassi esecutive dell’epoca recuperando le variazioni e gli abbellimenti originali di Marchesi. Il programma mette in evidenze l’evoluzione avuta dalla Hallenberg in questi anni con la voce che si è sviluppata maggiormente verso l’acuto assumendo spesso caratteri decisamente sopranili che dovevano essere quelli della vocalità di Marchesi. Certo l’amplissima tessitura del castrato milanese e il suo funambolico virtuosismo giungono a tratti a costringere al limite anche una cantante tecnicamente superba come la Hallenberg che comunque mostra una convinzione ed un’identificazione con questa musica veramente non comuni.
I brani in programma alternano autori praticamente dimenticati ad altri più noti ma dei quali vengono proposte arie meno conosciue. Alla prima categoria appartengono Giuseppe Sarti di cui sono proposte arie da “Rinaldo e Armida” e da “L’Olimpiade”; la prima è caratterizzata da un nobile recitativo di matrice gluckiana cui segue un autentico cimento virtuosistico ancora di gusto tardo barocco ma in cui si notano anche stilemi che confluiranno nella produzione seria di Rossini, mentre la seconda esibisce un senso melodico e una cantabilità quasi mozartiana. Totalmente dimenticato il torinese Gaetano Pugnani il cui “Demofoonte” del 1788 fu uno dei maggiori successi del Teatro Regio del tempo; l’aria “Misero pargoletto” è un brano di intenso lirismo che contrasta con il virtuosismo di gran parte del programma e che permette alla Hallenberg di sfoggiare non solo notevoli doti di interprete ma soprattutto un’eleganza ed una pulizia di canto che altrove tendono ad essere come sommerse dal profluvio dei passaggi di bravura. Non mancano di interesse il cremonese Francesco Bianchi il cui “Castore e Polluce” unisce ad una cantabilità tutta italiana gli echi della conoscenza di Rameau acquisita durante il soggiorno parigino dell’autore. Del napoletano Niccolò Antonio Zingarelli sono presentati alcuni brani dal “Pirro” in cui la voce della Hallenberg si sposa alla perfezione con quella della Polissena di Francesca Cassinari; particolarmente interessante la scena “Qual mi sorprende e agghiaccia” dove sulla lezione di Gluck e dei francesi le singole formule tendono a svilupparsi l’una dall’altra in modo libero e non schematico ma in cui nuovi fremiti cominciano a palpitare come in una sorta di ponte fra il classicismo settecentesco e quello rossiniano.
Fra gli autori più noti il boemo Josef Myslivecek si conferma fra i compositori più interessanti della sua generazione; la sua versione de “L’Olimpiade” è fra le più intense ed espressive, di un lirismo quanto mai prossimo all’espressività mozartiana esaltata al meglio dalla Hallenberg nonostante l’impegno virtuosistico che la parte prevede. Ancora il libretto di Metastasio serve a Cimarosa per una sua versione sicuramente di grande effetto ma forse fin eccessiva nella marcata spettacolarità. Dopo “Oh qual contento” da “Lauso e Lidia” di Johann Simon Mayer che ci trasporta nelle atmosfere dell’opera buffa frequentata con regolarità da Marchesi al fianco del repertorio serio, particolare interesse hanno le due versioni di “Quanto è fiero il mio tormento da “Alessandro nelle Indie” di Cherubini. La prima con le variazioni appositamente realizzate da Marchesi persino eccessive nell’esibizione virtuosistica che quasi annulla ogni altro aspetto, la seconda più fedele al dettato dell’autore con i passaggi di bravura più contenuti e finalizzati ad evidenziare le ragioni espressive del brano che risulta più compiuto e coinvolgente. Il tutto è accompagnato con ricchezza di colori, eleganza stilistica e brillantezza di suono dal complesso Stile Galante diretto da Stefano Aresi.
“Agrippina” – Giacomo Antonio Perti: “Date all’armi o spirti fieri” (Nerone fatto Cesare); Nicola Antonio Porpora: “Mormorando anch’il ruscello”, “Con troppe fiere immagini” (L’Agrippina); Carl Heinrich Graun: “Se la mia vita, o figlio”, “Mi paventi il figlio indegno” (Britannico); Giuseppe Maria Orlandini: “Tutta furie e tutto sdegno” (Nerone); Georg Friedrich Handel: “Ogni vento”, “Pensieri, voi mi tormentate”, “L’alma mia fra le tempeste” (Agrippina); Georg Philipp Telemann: “Rimembranza crudel” (Germanicus); Paolo Giuseppe Magni: “Date all’armi o spirti fieri” (Nerone Infante); Giovanni Battista Sammartini: “Non ho più vele”, “Deh, lasciami in pace” (Agrippina moglie di Tiberio); Giovanni Legrenzi: “O soavi tormenti dell’alma” (Germanico sul Reno).Ann Hallenberg (mezzosoprano); Il Pomo d’Oro; Riccardo Minasi (direttore). T.Time: 74’54”. 1 CD Sony 8875055982.
Precedente come registrazione, abbiamo una protagonista imperiale o meglio protagoniste imperiali ovvero le tre donne di nome Agrippina che hanno scandito le fasi iniziali della storia imperiale di Roma: Vespsania Agrippina figlia del primo matrimonio di Agrippa, moglie di Tiberio e madre di Druso Cesare; l’omonima – meglio noto come Agrippina maggiore – figlia di Agrippa e Giulia moglie di Germanico e madre di Caligola e infine la più nota Iulia Agrippina – o Agrippina Minore – sorella di Caligola, sposa prima di Domizio Enobarbo e poi di Claudio, e madre di Nerone. L’opera barocca sempre attenta alle vicende della storia romana ha portato sul palcoscenico queste tre donne e a dargli voce è qui il mezzosoprano svedese Ann Hallenberg una delle poche autentiche virtuose contemporanee del canto barocco accompagnata dalle brillanti sonorità del complesso il Pomo d’oro sotto la direzione di Riccardo Minasi. Il repertorio scelto attraversa tutta la grande stagione dell’opera seria barocca; il brano più antico è “O soavi tormenti dell’alma” tratto da “Germanico sul Reno” di Legrenzi del 1676 ancora legato alla tradizione post-monteverdiana dell’opera veneziana con proporzioni contenute, centralità del ruolo della parola come strumento espressivo cui sono sottoposti i pur presenti passaggi di bravura. I successivi brani da “Nerone fatto Cesare” di Giacomo Antonio Perti del 1692 danno il segno dell’evoluzione del genere – da segnalare l’impressionante controllo del fiato esibito nelle prese di voce di “Date all’armi o spirti fieri” – anche se il vero salto di qualità si ha con il “Germanicus” di Telemann del 1703, brano di autentica, commossa liricità che anticipa i grandi lamenti handeliani e in cui la Hallenberg può sfoggiare la pulizia della sua linea di canto e le sue capacità espressive prima di dar fuoco alle polveri con i brani che seguiranno. Le due arie da “L’Agrippina” di Porpora del 1708 danno il polso della realtà musicale agli inizi del nuovo secolo; sono questi dei brani non originalissimi come concezione ma che costituiscono una preziosa testimonianza del gusto del tempo con le sue contrapposizioni di affetti e l’emergere sempre maggiore di un dettato.
La più nota delle Agrippina operistiche è sicuramente quella di Handel del 1709 affrontata più volte in teatro dalla cantante svedese e quindi perfettamente posseduta sotto ogni aspetto. A paragone con la maniera di Porpora il genio handeliano appare immediatamente; “Pensieri, voi mi tormentate” è un brano di grande complessità formale dove su una scrittura orchestrale particolarmente ricca e contrastata la cantante è chiamata a continui cambi di registro espressivo mettendo alla prova tutte le capacità tecniche ed espressive e la Hallenberg ne esce autentica trionfatrice. Ma altrettanto ammirevole è la capacità di unire slancio virtuosistico e leggerezza di tono in un brano come “Ogni vento” con la sua eleganza galante e i suoi ritmi quasi di danza.
La più recente fra le opere presentate è il “Britannico” di Carl Heinrich Graun del 1751. “Mi paventi il figlio indegno” è uno dei più abbaglianti cimenti di bravura dell’intero repertorio barocco e la prova della Hallenberg basta da sola a far consigliare il CD. La voce è solida, timbricamente chiara ma compatta e omogenea; le richieste vocali sono estreme per l’ampia tessitura e per la dimensione autenticamente funambolica dei passaggi di coloratura, ma la Hallenberg supera ogni ostacolo con una naturalezza quasi sovrumana, come si può apprezzare nel rigore e nella pulizia con cui sono sgranate le rapidissime colorature di quest’aria che lasciano l’ascoltatore incantato. Completano il programma brani di Giovanni Battista Sammaritani, Paolo Giuseppe Magni, Giuseppe Orlandi e Johann Mattheson che offrono un quadro quanto mai interessante sulla realtà musicale della prima metà del XVIII secolo e delle sua varietà stilistiche mentre l’esecuzione proposta si mantiene a livelli altissimi per tutto il programma confermando la non comune qualità complessiva di questo album.
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