Napoli, Teatro di San Carlo, stagione di balletto 2015-2016
“ROMEO E GIULIETTA”
Musica Sergej Prokof’ev
Coreografia Leonid Lavrovskij ripresa da Michail Lavrovskij
Romeo LEONID SARAFANOV
Giulietta OLESJA NOVIKOVA
Tebaldo EDMONDO TUCCI
Mercuzio CARLO DE MARTINO
Benvolio SALVATORE MANZO
Paride STANISLAO CAPISSI
Lady Capuleti ALESSANDRA VERONETTI
Lord Capuleti FABIO GISON
Lord Montecchi FORTUNATO D’ANGELO
Il Duca MARCO SPIZZICA
La Nutrice VALENTINA ALLEVI
Frate Lorenzo MARCO D’ANDREA
Orchestra e Corpo di Ballo del Teatro di San Carlo
Direttore Aleksej Bogorod
Scene Nicola Rubertelli
Allestimento della Fondazione Teatro dell’Opera di Roma
Napoli, 24 giugno 2016
Immancabile titolo per celebrare i quattrocento anni dalla morte di William Shakespeare, Romeo e Giulietta su musica di Sergej Prokof’ev torna sulle scene del Teatro di San Carlo, per la prima volta nella versione coreografica di Leonid Lavrovski, del 1940, ripresa dal figlio Mikhail. Un allestimento che mancava al Massimo partenopeo, dove, nel corso Novecento, sono state applaudite le coreografie di Kenneth MacMillan (1965 e 2003), Nicolas Beriozoff (1972 e 1981), Mario Pistoni (1977), Roberto Fascilla (1987), John Cranko (1997).
Superfluo ribadire la fortuna della tragica vicenda degli amanti veronesi, un exemplum di amore infelice, che culmina nell’ultimo di una serie di lutti familiari causati dall’odio di adulti ciechi e sordi e che affonda le proprie origini nel triste idillio di Piramo e Tisbe, tramandato in età ellenistica. Una storia che, insieme a una tradizione soprattutto rinascimentale, sarà tra le fonti di Shakespeare.
Se il testo si pone su una sorta di linea tracciata dalle altre fonti, la musica di Prokof’ev rompe con la tradizione ballettistica russa e con gli schemi tradizionalmente imposti allo spettacolo danzato. Compositori di grandi balletti, come Čjajkovskij e Glazunov, avevano dovuto “inquadrare” la musica nelle rigide richieste di Petipa, per assecondare gli schemi della danza accademica e riuscendo in ogni caso – soprattutto il primo – a conservare la qualità e il respiro sinfonico. Il successo, com’è noto, non fu immediato e lo stesso Lavroskij giudicò la partitura «troppo complessa», per cui fece apportare tagli e modifiche; per gli stessi danzatori del Teatro Bolŝoj la essa appariva «non danzabile», a causa della sua sofisticatezza. L’abitudine a un certo tipo di partitura funzionale al ballo era troppo radicata e, in effetti, nella scrittura coreografica di Lavroskij, è possibile notare questo problema. Senza dubbio la penetrazione del linguaggio pantomimo nel corpo delle sezioni più strettamente tecniche è una delle importanti tappe storiche nell’evoluzione del linguaggio coreico; inizia un utilizzo delle possibilità fisiche sopra i toni usuali, ma il movimento è ancora in parte ancorato al vocabolario legato ai tipi di partiture musicali precedenti. Non sono sfruttate a pieno le grandi potenzialità offerte dall’uso dell’orchestra che Prokof’ev mette a disposizione dei danzatori; i Leitmotiv non sono certo una novità, servono allo spettatore per riconoscere subito l’aspetto emozionale di questo o quel personaggio, ma in alcuni punti lo sviluppo del carattere si allontana da quanto la musica descrive e suggerisce. La coreografia diviene lenta e “insegue” il racconto musicale: con ogni probabilità il linguaggio di Lavroskij (importante punto di partenza per le versioni successive) non possedeva, in toto, il lessico adatto alla complessità della partitura, successivamente apprezzata dai più grandi coreografi del XX secolo come Frederick Ashton (1955), John Cranko (1958), Sir Kenneth MacMillan (1965), John Neumeier (1974), Rudoplh Nureyev (1978) e non solo. Dalla fine del Settecento e fino ai giorni nostri, sono fiorite versioni contemporanee, Passi a Due isolati o contaminazioni di genere e la tragedia shakespeariana non ha mai smesso di ispirare i coreografi. Tra queste la versione MacMillan, il coreografo definito il “poeta della passione”, appare (per la danza teatrale “in punta”) quella più aderente al dettato musicale, sbiadendo il sapore di una riscrittura come quella di Lavroskij. E, in effetti, se quella è ben impressa nella mente, potremmo rubare una battuta dal film Il Gattopardo di Luchino Visconti, dove per Angelica, nel confronto fra Tancredi e il conte Cavriaghi, amare quest’ultimo «sarebbe come bere acqua, dopo aver assaporato the e marsala». Di the e marsala sa la coreografia di MacMillan. Se non acqua, almeno the potrebbe essere la coreografia di Lavroskj, che risolve molti punti musicali con grand jeté e grand pas de chat. Ma bisogna ricordare che ogni coreografia è figlia del suo tempo, così come ogni pubblico e ogni danzatore.
Nei panni dei protagonisti due nomi risonanti sulla scena attuale si sono alternati alla coppia di casa Alessandro Macario – Anbeta Toromani: Leonid Sarafanov, solista del Teatro Mikhailovskij di San Pietroburgo formatosi alla Scuola Coreografica di Kiev, e Olesja Novikova, Solista del Balletto del Teatro Mariinskij di San Pietroburgo e diplomatasi presso l’Accademia Vaganova nella stessa città nel 2002. Da tipici prodotti “seriali” della grande Russia, non si può discutere sulle linee superbe, la tecnica brillante, i grandi salti e le fluide pirouettes, per entrambi. Il punto (che non vale solo per i russi ovviamente) è la poca profondità dell’interpretazione, soprattutto in ruoli così drammatici. Non ci aspettavamo di certo una tragédienne del calibro di Maja Plisetskaja – giusto per restare geograficamente nella stessa zona – che in questo ruolo ha stupito intere platee in epoca sovietica, ma la compiacenza narcisistica alla fine di ogni passo ben eseguito trasuda in tutto lo spettacolo e il pubblico, anch’esso perennemente alla ricerca di evoluzioni tecniche da applaudire, sembra corroborare questa triste tendenza che dimentica buona parte del lato artistico-espressivo della danza come arte mimetica. Quello che arriva in platea è sempre diverso da ciò che si vede in sala prove, anche in un momento storico in cui l’estetica delle linee sembra farsi la principale portatrice del messaggio artistico.
In proposito, la tradizione italiana si difende bene. Tebaldo, infatti, batte Romeo. Edmondo Tucci, Primo ballerino di esperienza del Teatro di San Carlo, continua a distinguersi per presenza scenica e interiorizzazione del personaggio, anche in ruoli dove la tecnica non esplode, perché non deve. Riesce a imporsi all’attenzione del pubblico senza che siano previsti grandi salti o evoluzioni da brivido. È un personaggio che determina la vicenda e che Tucci ha caricato di tensione nervosa correttamente indirizzata. La scena della morte è stata la più verosimile fra tutte. Bravo Carlo De Martino nel difficile ruolo di Mercuzio, non solo dal punto di vista tecnico, ma anche nella caratterizzazione del personaggio. Il ruolo dell’amabile Benvolio è parso adatto a Salvatore Manzo, che non ha nulla da invidiare alle pirouettes degli ospiti russi. Prestazione interessante quella di Anna Chiara Amirante e Alessandro Staiano, che hanno interpretato la coppia di trovatori con sicurezza e senso artistico. Lei leggiadra e fluida nei movimenti, lui vigoroso nei grandi salti e a suo agio nelle difficoltà legate a sequenze complicate. Intensa ed efficace sul corpo senza vita di Tebaldo è stata Alessandra Veronetti, Prima ballerina del Massimo napoletano che in passato ha già dato prova di un particolare talento drammatico. Nel ruolo di Paride, altro amante infelice perché causa della rovina di Giulietta ma di lei innamorato, l’elegante Stanislao Capissi. Nel corpo di ballo emerge Luisa Ieluzzi, spesso in scena con sequenze solistiche, sempre gioiosa e sicura. Nel complesso buona prestazione del Corpo di Ballo, benché i momenti di pantomima tragica non siano ancora convincenti per un coinvolgimento emotivo non omogeneo.
L’Allestimento della Fondazione del Teatro dell’Opera di Roma presentato al San Carlo, elegante e ben riuscito, è apparso un tantino appesantito dai continui cali di siparietti per il passaggio da una scena all’altra. Peraltro, la cura del particolare estetico talvolta è sfuggita: una parrucca per non distogliere l’attenzione dello spettatore su qualche testa completamente rasata sarebbe stata utile, trattandosi di un allestimento “classico”.
L’orchestra, diretta da Aleksej Bogorad, Direttore d’orchestra del Teatro Bolŝoj dal 2011, ha eseguito la partitura con vigore e, grazie all’acustica che può vantare il San Carlo, la musica è stata grande protagonista. In vero sarebbe stato opportuno, sul Programma di Sala – già meritevole per la presenza di un bell’articolo sulle “Evoluzioni drammaturgiche” di Romeo e Giulietta, “dalla tradizione campana a William Shakespeare” a cura di Francesca Zardini ̶ la presenza di qualche pagina dedicata alla coreografia in senso stretto. Storia politica, musica e fonti sono importanti e imprescindibili, ma l’approfondimento degli aspetti specifici della danza da un punto di vista storico, in
occasione di un balletto, non dovrebbe mai mancare come paragrafo a sé. Per chi non fosse ancora andato a teatro, repliche fino a martedì 28 giugno: un’occasione da non perdere per conoscere una parte di storia della danza che, indipendentemente dai gusti, costituisce una tappa importante nell’evoluzione coreografica della tragedia degli amanti di Verona, portata in scena da una Compagnia giovane e grintosa (foto Luciano Romano e Francesco Squeglia).
Per il pubblico non residente a Napoli, invece, sarà possibile applaudire Edmondo Tucci e Luisa Ieluzzi (vincitori dei “GbOscar” della danza 2016) mercoledì 29 luglio al Teatro Zandonai di Rovereto, in occasione del Gala Lirico e di Balletto promosso da Gbopera Magazine e dall’Associazione Culturale Euritmus e nell’ambito del quale verranno assegnati i riconoscimenti ai vincitori.