Grand’opera in quattro atti su libretto di Eugene Scribe, registrazione delle sole parti autografe di Gaetano Donizetti. Laurent Nouri (Le Duc d’Albe), Angela Meade (Hélène d’Egmont), Michael Spyres (Henry de Bruges), Gianluca Buratto (Daniel Brauer), David Stout (Sandoval), Trystan Llyr Griffiths (Carlos), Robin Tritschler (Balbuena), Dawid Kimberg (Un taverniere). Hallé, Opera Rara Chorus, Mark Elder (direttore). Registrazione Hallé St.Petet’s, Manchester giugno 2015. 2 CD Opera Rara ORC54
Il Donizetti che nel 1838 giunge a Parigi non è certo uno sconosciuto alle scene francesi, in quanto molte sue opere sono già comparse sui palcoscenici parigini. Già nel 1835 egli, infatti, aveva destinato alla capitale francese il suo “Marin Falliero” pensato anche per il gusto francese nonostante il libretto italiano come di prassi al Théâtre des Italiens. La conquista del palcoscenico dell’Opera rappresentava però qualche cosa di diverso, una sorta di consacrazione definitiva per qualunque compositore del tempo.
Donizetti si era avvicinato cautamente a quel palcoscenico optando in prima battuta per un rifacimento di un precedente lavoro italiano; erano nati così “Les martyres”, evoluzione di quel “Poliuto” che tanti problemi aveva avuto con la censura napoletana. Il successo di questo primo lavoro apre la strada ad un nuovo progetto, questa volta originale. Scribe mette mano a un grand’opéra che ha tutti i tratti caratteristici del genere: soggetto storico, spettacolarità di scene, forti contrasti emotivi. La scelta cade sul tema della lotta dei protestanti fiamminghi contro il dominio spagnolo nel XVI secolo, tema molto in voga al tempo dopo il successo dell’”Egmont” di Goethe – quello per cui Beethoven scrisse la celeberrima ouverture – di cui il nuovo “Le Duc d’Albe” rappresenta per certi aspetti la prosecuzione.
Donizetti si mese subito al lavoro cercando di portare avanti quell’arricchimento del proprio linguaggio che già si era avviato con “Les martyres” e che veniva incontro alle più esigenti richieste del pubblico francese per quanto riguarda la scrittura orchestrale. Nonostante queste intenzioni i lavori si interruppero assai presto; Donizetti aveva composto i primi due atti e impostato le linee vocali per i seguenti quanto il progetto venne abbandonato. Le ragioni di questo cambio di strategia non sono a tutt’oggi chiarite, leggenda vuole che l’opera trovasse la ferma opposizione di Rosine Stoltz, diva assoluta dell’Opera contraria alla scelta per il ruolo di protagonista di Hélène di un soprano drammatico d’agilità all’italiana, inadatto alla propria voce di mezzosoprano acuto. Se probabilmente vi è più pettegolezzo che sostanza in questa versione è però un dato di fatto che la successiva “La favorite” – in cui confluiranno anche brani originariamente pensati per “Le Duc d’Albe” – vedrà il ruolo di protagonista di Léonor perfettamente modellato sulle caratteristiche della Stoltz.
L’opera cadde a quel punto totalmente nell’oblio – tanto che lo stesso Scribe non si fece scrupoli a riutilizzare il libretto con poche modifiche per “Les Vêpres siciliennes” andato in scena con musiche di Verdi nel 1855 – fino al 1881 quanto Matteo Salvi, già allievo di Donizetti, decise di completare l’opera seguendo le indicazioni del maestro e facendosi aiutare da un gruppo di amici fra cui Amilcare Ponchielli. E’ in questa versione che l’opera vide la luce nel 1882 e in cui viene eseguita nelle rare riprese moderne a partire da quella diretta da Thomas Schippers per il “Festival dei due mondi” del 1959.
Nella sua meritoria attività di riscoperta dell’opera italiana del primo Ottocento l’etichetta britannica Opera Rara propone questa nuova registrazione filologica dell’opera; con grande rigore si è deciso di incidere solo quanto composto direttamente da Donizetti recuperando integralmente i manoscritti del compositore bergamasco e integrandoli con qualche breve passaggio di collegamento composto in stile da Martin Fitzpatrick per evitare fratture troppo stridenti. Operazione ovviamente possibile solo in sede discografica ma che permette di ascoltare alcune delle musiche più riuscite del compositore bergamasco eseguite al massimo livello possibile. Bisogna per altro riconoscere che quanto composto de “Le Duc d’Albe” è fra le pagine più alte di Donizetti capace qui di recuperare tutta la sua esperienza pregressa e di rinnovarla con una modernità e un’apertura verso il futuro in cui ormai si presagisce pienamente l’universo verdiano e di arricchirla con una cura delle componenti armoniche e strumentali di una qualità rara nella musica italiana del tempo.
L’edizione proposta è poi di un livello altissimo ed è certamente uno dei risultati più alti della casa discografica e uno dei migliori prodotti usciti in questo tempo sul mercato discografico. Mark Elder è una presenza frequente nel catalogo Opera Rara e qui offre una delle sue prestazioni migliori; una lettura tesa, intensa, molto teatrale ma al contempo capace di evidenziare la ricchezza della scrittura donizettiana in tutta la sua raffinatezza. L’orchestra Hallé e l’Opera Rara Chorus giungono a superarsi fornendo una prestazione inappuntabile sotto ogni aspetto.
Il cast è poi uno dei migliori messi in campo per Donizetti ormai da diversi anni. Angela Meade al debutto con l’etichetta inglese è una Hélène di livello assoluto. Autentico soprano drammatico d’agilità – forse uno dei pochissimi presenti sulla scena internazionale – è vocalmente perfetta per la parte. Il recitativo d’entrata è nobile, austero, solenne, la cavatina – sul medesimo testo e con la medesima temperie di quella notissima de “I Vespri siciliani” – è risolta con slancio soggiogante, le colorature di forza superate con assoluta facilità, ammirevole lo slancio sugli acuti. Nel secondo atto Hélène è chiamata a un ulteriore cimento, l’intensa “Ombre murmure” – tagliata nel rifacimento successivo – tutta rivolta su un lirismo intimo e dolente che all’ascoltare italiano non può non ricordare la grande scena del II atto di “Anna Bolena” prossima anche per il tipo di vocalità richiesta e dove la Meade sfoggia una pulizia vocale e una nobiltà d’accento che la inseriscono di diritto fra le grandi interpreti donizettiane.
Rispetto alla Meade, Michael Spyres è cantante più alterno e per certi versi meno canonico con una vena ribelle che calza a pannello in un ruolo come Henry specie nel duetto con il Duca che chiude il primo atto dove il cantante deve esprimere tutto l’idealismo eroico del giovane rivoluzionario. Spyres non solo vi riesce alla perfezione sul piano interpretativo ma sfoggia una baldanza vocale degna di nota, un’ottima tecnica e acuti autenticamente ricchi di suono e squillo che fanno rapidamente passare in secondo piano un timbro godibile ma non certo di particolare fascino. Le stesse caratteristiche si ritrovano nel duetto con Hélène del II atto caratterizzato da una tessitura particolarmente acuta e da ripetuti cambi di registro espressivo.
Laurent Nouri è forse il più penalizzato dalla versione scelta in quanto è il III atto, qui assente per ragioni filologiche, quello centrato sulla figura del Duca. Il baritono francese canta molto bene e rende compiutamente il fondo di umanità sotteso alla freddezza del governatore e che già traspare nel duetto con Henry del I atto. Rimane solo il rimpianto di non poterlo ascoltare maggiormente. Interessante rivelazione Gianluca Buratto (Daniel), voce calda e morbida, dal bel colore di autentico basso e dalla linea di canto aristocraticamente rifinita – quasi troppo per un personaggio popolare come Daniel – che farebbe piacere riascoltare in altre produzioni. Ottime le parti di fianco e inappuntabile la qualità della registrazione, ciliegina sulla torta di una registrazione assolutamente degna di nota.