Venezia, Teatro La Fenice, Stagione sinfonica 2015-2016
Orchestra del Teatro La Fenice
Direttore Yuri Temirkanov
Anton Bruckner: Sinfonia n. 4 in mi bemolle maggiore WAB 104 “Romantica” (versione 1878-1880) Venezia, 15 aprile 2016
La Quarta è, insieme alla Settima, una delle sinfonie bruckneriane più eseguite, oltre ad essere l’unica ad avere un titolo caratterizzante voluto dall’autore che, a titolo esplicativo, aveva anche prodotto una serie di didascalie – per quanto non riportate in partitura, e dunque non così vincolanti – che suggeriscono alcuni temi e personaggi di derivazione storico-letteraria, spaziando dal romanticismo di Tieck, Novalis e Hoffmann, al medioevo delle grandi cattedrali gotiche, al mondo dei cavalieri erranti come Lohengrin. Comunque la sinfonia – sebbene vi si possano cogliere addirittura alcuni richiami naturalistici come quello legato al secondo tema del primo movimento, che evoca il verso della cinciallegra – non va intesa come musica descrittiva o a programma, ma rimane, in buona sostanza, uno dei più alti esempi di musica assoluta.
Anche la genesi della Quarta fu alquanto travagliata: la sua composizione, iniziata il 2 gennaio 1874, si concluse il 22 novembre dello stesso anno, ma successivamente l’autore, quasi ossessionato dalle richieste di apportare modifiche alla partitura, si lasciò prendere dalla consueta smania autocritica, in seguito alla quale ritenne di aver trovato passaggi ineseguibili dei violini nell’Adagio e difetti nell’orchestrazione. Così dal gennaio 1878 al giugno 1880 si dedicò – in più fasi – alla revisione della partitura, componendo, tra l’altro, quello Jagdscherzo (Scherzo da caccia) – in sostituzione del precedente –, che diverrà una delle pagine più famose di Bruckner. La sinfonia venne finalmente presentata al pubblico del Musikvereinsaal di Vienna il 20 febbraio 1881, con i Filarmonici della capitale diretti da Hans Richter. L’autore riportò il suo primo successo, ma i rifacimenti continuarono …
Quanto all’interpretazione di Temirkanov, diciamo subito che essa si è caratterizzata – come ci si poteva aspettare da un direttore che non cerca mai il facile effetto – per l’abile concertazione, che ha saputo trovare sempre il giusto bilanciamento tra le varie sezioni orchestrali, di fronte a una partitura, che – come accade normalmente in Bruckner – si basa su un’orchestrazione alquanto contrastata per la contrapposizione tra archi e legni da una parte e ottoni dall’altra, con questi ultimi che – rappresentati da una nutrita schiera, pur in assenza dall’organico di questa partitura delle tube wagneriane – possono arrivare ad una preponderante potenza sonora. Equilibrata anche la scelta dei tempi senza mai arrivare a parossismi o esagerate dilatazioni. Eccellente la prestazione dell’orchestra – che ha seguito con sensibilità il chiaro, essenziale gesto direttoriale –, impegnata in uno sforzo davvero notevole, soprattutto – in questa come in altre sinfonie dell’autore austriaco – a livello degli ottoni. Nondimeno corni, trombe, tromboni e basso tuba non hanno mostrato, fino alla fine, alcun segno di stanchezza. Nell’iniziale Mosso, non troppo veloce, il primo tema, che si viene a formare a poco a poco su un tremolo indistinto degli archi (uno stilema tipicamente bruckneriano), è stato aperto con grande solennità dal corno, cui è affidato un motivo modellato su intervalli di quinta e di sesta minore, ricorrente in tutta la partitura; di pasta omogenea il suono dolcemente affettuoso degli archi nell’intonare il secondo gruppo tematico con il verso della della cinciallegra (che il compositore chiama Zizi-Be), mentre gli ottoni hanno brillato di riflessi dorati nel terzo gruppo tematico a mo’ di fanfara, basata su un ritmo binario e ternario (ancora un topos bruckneriano).
Nel successivo Andante quasi allegretto – secondo alcuni una marcia funebre – è stata la volta degli archi: dapprima si sono imposti per bel suono e giusto accento i violoncelli con il loro tema lamentoso che ricompare nei successivi sviluppi –, accompagnati da violini e viole in un insieme di grande suggestione; poi gli archi insieme in un corale; infine le viole cui è affidato un lungo tema derivato da quello dei violoncelli. L’intenzione naturalistico-descrittiva del primo tempo (“una città medievale – l’alba – la sveglia risuona dalle torri”, recita la didascalia) si è riproposta nel terzo, che si apre con richiami di caccia (l’abbaiare dei cani, lo squillare dei corni e i richiami dei cacciatori). Qui di nuovo gli ottoni sono stati encomiabili protagonisti: i corni hanno esordito con concitata baldanza, su un tremolo degli archi, scandendo un motivo venatorio che dall’iniziale pianissimo si è intensificato in un crescendo, culminante in un fortissimo, in cui ai corni si sono uniti i tromboni e la tuba. A tanto dinamismo si è contrapposta l’oasi di pace rappresentata dal Trio, un Ländler dalle venature rustiche e serene, reso dalle dolci sonorità dei legni e degli archi. Tutta l’orchestra si è fatta ancora apprezzare nel Finale che – con la solennità del primo tempo – esordisce con un’introduzione senza una netta determinazione tematica, sfociante in un poderoso unisono, ed è percorso da tre temi: un primo tema caratterizzato dall’intervallo di quinta con cui inizia l’intero lavoro; un secondo tema, proveniente dall’Andante, esposto dai violini accompagnati dal pizzicato degli archi gravi; un terzo tema, dove si sono potentemente messi in luce gli ottoni ai quali, dopo lo sviluppo e la ripresa, è affidata la perorazione basata sul nucleo generatore della partitura, in una conclusione che appare come un solenne inno di lode all’ordine e alla perfezione del cosmo.