Venezia, Palazzetto Bru Zane, Festival “Benjamin Godard nei salotti parigini”: Alessandro Deljavan

Venezia, Palazzetto Bru Zane-Centre de Musique Romantique Française, Festival “Benjamin Godard nei salotti parigini (9 Aprile-15 Maggio 2016)
“SCENE ITALIANE E NON SOLO…”
Pianoforte Alessandro Deljavan
Benjamin Godard: Barcarolle n° 2 op. 80; Barcarolle op. 105; Scènes italiennes op. 126; Vingt Pièces pour le piano op. 58
Venezia, martedì 26 aprile 2016   
Quarto appuntamento con la musica di Benjamin Godard presso il Palazzetto Bru Zane. Questa volta il programma era incentrato sul “pezzo di genere” pianistico, fiorito in età romantica, in adesione ad uno degli atteggiamenti più tipici dell’epoca, vale a dire il rifiuto delle regole, delle costrizioni formali, per lasciare libero sfogo all’ispirazione. Nascono i preludi di Chopin, Kalkbrenner, Hummel e, contemporaneamente, notturni, intermezzi, rapsodie ad opera ancora di Chopin, oltre che di Heller, Mendelssohn, Schumann, Brahms e anche del nostro Godard. Lo stesso “studio” pianistico e altre composizioni a carattere didattico, accanto alla loro finalità tecnica, spesso non rinunciano ad una forte carica espressiva, come si è potuto verificare anche nel corso del concerto, in cui i pezzi di genere erano costituiti da due Barcarolles, seguite da una piccola suite di danze, le Scènes italiennes, mentre le opere didattiche erano rappresentate dalle Vingt Pièces pour le piano op. 58. Alla tastiera, come di consueto, un giovane promettente interprete, che ha dimostrato fin dalle prime battute una professionalità davvero ragguardevole, oltre a musicalità e capacità di concentrazione.
La Barcarolle n. 2 op. 80 di Benjamin Godard, pubblicata nel 1884, si inserisce nel panorama socio-culturale della Francia fin-de-siècle, in piena seconda rivoluzione industriale, allorché si fa strada una nuova tendenza dell’alta borghesia del commercio e dell’industria, che – di fronte al progresso apparentemente sempre più rapido e alla nascente società di massa – si compiace di imitare le antiche classi dirigenti, assumendo modi sempre più aristocratici e rifugiandosi nel passato, vagheggiato come un’età dell’oro, in cui – diversamente dalla tumultuosa vita moderna – vi era ancora spazio per coltivare i valori dello spirito, almeno da parte di minoranze privilegiate. La “barcarola” rappresenta, appunto, una risposta a questo stato d’animo nostalgico: nascono brevi brani, in ritmo ternario ad evocare il dondolio delle gondole e lo sciabordio prodotto dai remi nei canali, con cui una nuova generazione di compositori rivisita lo spirito del primo romanticismo.  La barcarola inizialmente (in epoca barocca) indicava il canto dei gondolieri veneziani ed era intimamente legata, nell’immaginario musicale, a Venezia, ma nell’Ottocento perde tale connotazione extra-musicale, per assumere più ampi significati evocativi. Essa torna di moda, come si è detto, negli anni Ottanta – dopo la sua precedente fioritura con Mendelssohn, Chopin, Liszt – grazie a Gabriel Fauré, che nel 1881 inaugura un ciclo di tredici barcarole (portato a termine nel 1921), e ad altri musicisti tra cui Godard, il quale amava particolarmente questo tipo di composizione, come si può vedere dalla quantità di barcarole per pianoforte presenti nel suo catalogo. Sensibile e brillante Alessandro Deljavan nell’affrontare l’op. 80, in fa minore, Andantino, tranquillo e, in particolare, nell’esporre il tema di accattivante, spensierata eleganza su cui si basa, riuscendo a rendere appieno la fondamentale leggerezza, nonché il virtuosismo di certi passaggi, che caratterizzano questa pagina concepita per l’intrattenimento salottiero.
Attenzione alle sfumature, anche attraverso un tocco cangiante, si è colta nella Barcarolle op. 105, pubblicata intorno al 1887, che ricorda nella sua scrittura i Lieder ohne Worte di Mendelssohn, mentre dal punto di vista melodico si riallaccia maggiormente alla musica di Schumann, che costituisce un punto di riferimento importante per l’intera produzione di Godard. Ancora con grande sensibilità il pianista italiano ha affrontato le sottili variazioni melodiche e armoniche di un medesimo motivo, su cui si fonda la composizione, evidenziando di volta in volta il diverso carattere che rispettivamente le distingue e dimostrandosi, in particolare, perfettamente a proprio agio nel rendere le sfumature di grande dolcezza, oscillanti dal pianissimo al piano, che conferiscono al brano un’aura “crepuscolare”.
Analogamente attenta alle sfumature e ai caratteri l’interpretazione delle Scènes italiennes op. 126, composte tra il 1890 e il 1891, in cui Benjamin Godard, continuando una tradizione inaugurata nel primo Ottocento da compositori profondamente segnati dal loro viaggio iniziatico in Italia (da Mendelssohn a Berlioz), punta alla caratterizzazione di tre luoghi d’oltralpe, attraverso tre generi musicali, loro rispettivamente corrispondenti: la Sérénade florentine, una pagina di estrema leggerezza, basata su motivi vorticosi; la Sicilienne, caratterizzata da un ritmo al tempo stesso ternario e puntato, che ha accenti più malinconici, alla stregua di quella di Fauré; infine la Tarentelle, una danza indiavolata dal carattere frenetico, ardua prova di virtuosismo strumentale.
Venendo all’ultimo titolo in programma, le Vingt Pièces op. 58, pubblicate intorno al 1887, sono una raccolta di pezzi pianistici a destinazione pedagogica, come attestano le dediche di molti di essi ad altrettanti allievi del compositore, che insegnò al Conservatorio parigino e diede lezioni private: esse sono finalizzate all’esercizio delle competenze tecniche, oltre che alla conoscenza della tradizione musicale da Bach ai romantici. Qui le doti di Alessandro Deljavan si sono potute apprezzare con dovizia di riscontri: inValse Villageoise e Ballade, da cui ha saputo far trasparire la tenue tristezza; negli scanzonati Scherzetto e Pantins, proposti con verve e tocco cristallino; nel Vieux Conte en Style moderne, in cui la successione degli accordi ha assunto la solennità d’una fiaba; in Près de la Mer, Variations sur un Air Écossais e nella “bachiana” Courante, dove ha brillato per virtuosismo; in Do, Do, l’Enfant do, Bagatelle e Prélude, affrontati con sapiente tecnica del rubato ed eleganza di tocco; negli “onomatopeici” Les Patineurs e Dig Ding, Don!, dove si è fatto apprezzare per il nitore del suono ad evocare rispettivamente le evoluzioni dei pattinatori e il cupo rintocco delle campane. Successo vivissimo. Due bis chopiniani: gli sudi n. 12 e n. 5 op. 25, eseguiti con spavalda sicurezza.