Shakespeare in musica: “Roméo et Juliette” di Charles Gounod

Parigi, Théâtre-Lyrique 27 aprile 1867

Charles GounodAppena il mio maestro Halévy ebbe corretto la mia lezione, il più velocemente possibile lasciai la classe per andare a rannicchiarmi in un angolo della sala da concerto, e, lì, m’inebriavo di questa musica strana, appassionata, coinvolgente che mi apriva orizzonti così nuovi e pieni di colori. Un giorno, tra gli altri, avevo assistito a una prova della sinfonia Roméo e Jiuliette, allora inedita e che Berlioz avrebbe fatto eseguire, pochi giorni dopo, per la prima volta. Fui talmente colpito dall’ampiezza del grande finale della Réconcialition des Montaigues et de Capulets, che uscì portando tutta intera nella mia memoria la superba frase di Frate Lorenzo: «Giurate sull’augusto simbolo!».
Qualche giorno dopo, andai a vedere Berlioz, e, mettendomi al pianoforte, gli feci sentire interamente la suddetta frase.
Egli aprì i suoi grandi occhi, e, guardandomi fissamente:
Dove diavolo l’avete presa? Disse.
Ad una delle vostre prove, gli risposi.
Non poteva credere alle sue orecchie”. (C. Gounod, Mémoires d’un artiste, Paris, 1896, p. 338.)
Così lo stesso Gounod raccontò il suo primo giovanile incontro, risalente agli anni di studio in Conservatorio, con i due infelici amanti di Verona la cui dolorosa vicenda, già resa immortale da Shakespeare, era diventata il soggetto della sinfonia di Berlioz composta nel 1839. Non molto tempo dopo, nel 1841, il ventitreenne compositore francese, durante il suo soggiorno romano in qualità di vincitore del prestigioso Prix de Rome, iniziò a comporre un’opera ispirata a questo soggetto utilizzando il vecchio libretto in italiano dei Capuleti e Montecchi di Bellini che Romani aveva rifatto da un suo precedente testo scritto per Vaccaj, ma non portò a termine l’impresa della quale sono rimasti soltanto sei frammenti musicali. Soltanto più di vent’anni dopo, nel 1865, il sogno di Gounod di mettere in musica la tragica storia dei due amanti di Verona poté essere realizzato grazie al libretto redatto da Jules Barbier e Michel Carré, già autori di quello di Faust. Composta in breve tempo tra l’aprile del 1865 e il mese di agosto dell’anno successivo, l’opera, però, andò in scena soltanto due anni dopo, il 27 aprile 1867, al Théâtre-Lyrique di Parigi sotto la direzione di Adolphe Deloffre e con un cast d’eccezione formato da Marie-Caroline Miolan-Carvalho (Juliette), Pierre-Jules Michot (Roméo), Jean Cazaux (Frère Laurent), Auguste-Armand Barré (Mercutio), ottenendo uno straordinario successo testimoniato dai giornali dell’epoca. Eugène Tarbet dalle colonne di «Le Figaro» del 29 aprile 1867 scrisse:
“In questa nuova opera Gounod – molto ben assistito dai suoi librettisti che questa volta hanno fatto con straordinaria abilità il libretto – ha superato se stesso. Regna su questo caos, che vi resta nella testa dopo un solo ascolto di una simile opera, un ricordo di grandezza che domina tutto. La tenerezza e la passione sono ardenti, le battaglie piene di colori, le lacrime sono vere, ma in ogni misura, il segno distintivo dell’opera è: la grandezza. Il soffio che l’ha ispirata è potente ed esce da un petto robusto. Roméo et Juliette può collocarsi accanto alle più ammirevoli opere musicali create in questo secolo e al di sopra di quanto è stato fatto già da anni. Tutti, negli intervalli, parlavano di Faust, e paragonavano Faust a Roméo. Perché? La sola somiglianza che esiste tra queste due opere, è lo stile. Gounod – e qui sta la sua gloria – imprime come un sigillo alle sue armi su tutto ciò che scrive. Perché quanto è permesso al poeta o allo scrittore dovrebbe essere interdetto al compositore, senza la pena di sentirsi dire: copia da se stesso! In ciò consiste la sua gloria, al contrario, nel non poter scrivere una misura che non dica fieramente di chi è figlia e qui la rende famosa. Per mia parte sono felice di essere uno dei primi a di mostrare a Adelina Patti e Mario alla prima ingleseGounod la mia sincera ammirazione. Come io non nascondo mai una cattiva impressione, io ho il diritto di abbandonarmi oggi a un entusiasmo che una sala intera ha condiviso chiamando l’autore molto tempo ancor dopo che la rappresentazione era terminata. Posso dire che sono uscito dal Théâtre-Lyrique commosso e trasportato, e che in questo momento io sono ancora turbato da quanto ho sentito”.
Dopo questo successo l’opera, il cui libretto è maggiormente fedele al testo di Shakespeare rispetto a quello di Romani che, invece, aveva attinto a fonti diverse, conobbe ben altre tre versioni, le cui differenze sono dovute principalmente alla destinazione teatrale. Oltre a due versioni realizzate nel 1873 per l’Opéra-Comique, Gounod ne approntò una, rimasta definitiva, nel 1888 per l’Opéra. Nella prima versione, l’opera si era già affermata in tutta Europa e nel 1867^ era stata ripresa a Londra con Adelina Patti e Giovanni Matteo Mario riscuotendo un grande successo testimoniato dai giornali. Il famoso giornalista Henry Sutherland Edwards scrisse sulla «St. James’s Gazette»:
Roméo et Juliette di Gounod, nella quale il compositore è sempre piacevole, sebbene raramente imponente, potrebbe essere descritta come il potente dramma di Romeo and Juliet ridotto alle proporzioni di un’egloga per Giulietta e Romeo. Il lavoro si impone alla memoria come una serie di graziosissimi duetti, variati da una frizzante aria di valzer di Giulietta nella quale la signora Patti dispiega quel genio tragico, che appartiene a una par sua, con quell’altissima attitudine alla commedia. Romeo e Giulietta di Vaccai è un’ammirevole opera per Giulietta, nella quale Romeo non è dimenticato”.

L’opera
Prologo

Gounod Es. 1Le suggestioni di Berlioz appaiono evidenti nel Prologue, un brano sinfonico-corale aperto da un’introduzione orchestrale caratterizzata da due sezioni, delle quali la prima è incentrata su un tema di carattere perentorio esposto dagli ottoni (Es. 1) che rappresenta il fato incombente sui due sfortunati amanti, mentre la seconda è un fugato su un tema brillante (Es. 2) di semicrome. Subito dopo uno straniante coro (Vérone vit jadis deux familles), a cui partecipano anche i personaggi dell’opera, sintetizza i punti salienti del dramma in una scrittura a cappella ed omoritmico-accordale con rari interventi dell’orchestra che conclude il Prologue con un malinconico e bellissimo tema esposto dai quattro violoncelli che rappresenta l’amore dei due protagonisti.

Atto primo
Gounod Es. 2Nella galleria riccamente addobbata del palazzo dei Capuleti
, Dame e Cavalieri stanno partecipando a una festa in maschera sulle brillanti note di un elegante valzer (coro: L’heure s’envole). Tra gli invitati ci sono anche Tybalt (Tebaldo), cugino di Juliette, e Paris (Paride), promesso sposo di quest’ultima, i quali discutono della bellezza della fanciulla che Paris è ansioso di conoscere (Eh! Bien? Cher Paris). L’ingresso di Juliette è salutato da un coro (Ah! Qu’elle belle) dalla struttura omoritmica che sembra ricreare uno stato contemplativo, mentre la ragazza si mostra in tutta la sua innocenza infantile in un’aria dalla struttura formale libera che mostra la sua spensieratezza (Tout un monde enchanté). Subito dopo, Capulet, padre della ragazza, invita i suoi ospiti a riprendere le danze e a festeggiare la giovinezza in un’aria dalla struttura formale tripartita (Allons! Jeunes gens!) alla quale non sono estranei echi del valzer iniziale che viene ripreso a conclusione della scena dopo l’intervento del coro che accoglie l’invito di Capulet.
Gounod Es. 3Alla festa giunge in incognito Roméo accompagnato dal fido Mercutio (Mercuzio) che cerca di fugare le ansie e i dubbi, suscitati da un sogno, dell’amico con la brillante Ballade de la Reine Mab, una pagina dalla struttura tripartita, nella quale, secondo gli studiosi di Gounod, sono presenti alcune suggestioni di un passo analogo della sinfonia di Berlioz. Mercutio, pur facendo riferimento a questa mitica e leggera regina che presiederebbe il sonno, non fuga le ansie di Roméo il quale, però, si lancia in una lirica esaltazione della bellezza di Juliette, quando questa appare accompagnata da Gertrude, sua nutrice, sul cui aspetto ironizza Mercutio. Le due donne parlano e Juliette, dopo aver affermato di non pensare alla sua età al matrimonio, esprime il suo desiderio nella celebre arietta Je veux vivre dans le rêve (Es. 3) dalla struttura tripartita e dalla dolce ed infantile melodia incastonata dal ritmo del valzer. Juliette, però, è subito dopo turbata dall’incontro con Roméo che, dopo averla fermata prendendola per mano, le chiede scusa e nel frattempo tenta nel successivo duettino, chiamato in modo aulico Madrigal à deux voix, un approccio (Ange adorable) nei confronti della ragazza che, inizialmente ritrosa, finisce quasi per cedere a questo nuovo turbamento provocato dalla presenza del giovane. I due giovani vengono turbati dall’arrivo di Tybalt che scopre Roméo, l’acerrimo nemico dei Capuleti; l’uomo vorrebbe sfidarlo a duello, ma Capulet lo ferma esortando gli invitati a continuare le danze, mentre Roméo, dopo aver manifestato il suo disappunto per aver scoperto che Juliette è la figlia di Capulet, è trascinato via da Mercutio.
Atto secondo
Nel giardino sul quale si affaccia il famoso balcone di Giulietta
, in un’atmosfera notturna rappresentata dal dolcissimo Entr’acte, un notturno elegante e romantico, Roméo, che vi si è introdotto furtivamente accompagnato dai suoi amici i quali gli augurano di riuscire nell’impresa (coro: Mystérieux et sombre), esalta con accenti appassionati nella celebre cavatine dalla struttura tripartita (Lève-toi, soleil!) la bellezza della fanciulla amata che subito dopo appare al balcone. Nella successiva scena, estremamente complessa dal punto di vista formale, ma sempre caratterizzata da quell’invenzione melodica che contraddistingue la musica di Gounod, i due amanti si scambiano le promesse d’amore con Juliette che si produce in un lungo declamato, formalmente un recitativo (Ah! Tu sais que la nuit te cache mon visage), che per le sue espansioni liriche indulge all’arioso. I due sono interrotti da Gregorio, il quale, a capo di alcuni famigliari, cerca inutilmente Roméo (coro: Personne) che nel frattempo si è nascosto, mentre Juliette rientra anch’essa su consiglio di Gertrude. Allontanatisi gli uomini di Gregorio, Roméo, riapparso, si lancia in un’invocazione alla notte. Juliette, udita la voce dell’amato, riappare e i due si scambiano le promesse d’amore in un appassionato duetto (Ô nuit divine), nel quale il limite tra il recitativo e la sezione lirica è estremamente sfumato dal momento che l’invenzione melodica di Gounod sfocia spesso nell’arioso. Alla fine, i due amanti sono costretti a scambiarsi un lungo commiato, mentre l’atto si conclude sulle dolci note dell’Entr’acte iniziale.
Atto terzo
Gounod Es. 4Un breve Entr’acte, formalmente un fugato su un soggetto solenne di carattere religioso (Es. 4), ambienta la scena iniziale del terzo atto che si svolge all’interno della cella di Frère Laurent (Frate Lorenzo), dove Roméo si è recato di prima mattina per parlargli dell’amore che nutre per Juliette, la quale entra subito dopo lanciandosi nelle braccia dell’amato. Anche questo recitativo trova delle espansioni liriche che indulgono all’arioso soprattutto negli appassionati accenti di Roméo. Nel successivo terzetto (Dieux, qui fis l’homme à ton image), del quale è protagonista Frère Laurent, la cui parte è costruita con una melodia di carattere ieratico, il religioso unisce in matrimonio i due amanti che, insieme a Gertrude nel quartetto Ô pur bonheur!, lodano Dio.
Bozzetto dell'atto terzoIl secondo quadro dell’atto terzo si apre su una strada di Verona nei pressi del palazzo dei Capuleti; qui Stéphano, paggio di Roméo, intona una chanson allusiva (Que fais tu, blanche tourturelle), con la quale provoca l’ira dei Capuleti, dal momento che nel testo si parla di una tortorella che tra breve fuggirà dal nido. Gregorio, infastidito, dopo un dialogo, nel quale la ripresa del tema della chanson ha uno spiccato senso ironico, sfida a duello il paggio accendendo una mischia alla quale partecipano anche Mercutio e Tybalt. Roméo, intervenuto, vorrebbe riportare invano la calma, dal momento che Mercutio viene ucciso da Tybalt, a sua volta trafitto da Roméo. Questi, in punto di morte, consiglia il padre di Juliette di affrettare le nozze con Paris, mentre il duca di Verona che ha assistito a quanto avvenuto, condanna all’esilio intimandogli di lasciare la città entro la sera Roméo che poco prima si era prodotto nell’arioso Ah! Jour de deuil a cui risponde il coro con una scrittura solenne e una melodia dalle ampie arcate.
Atto quarto
Introdotto dal tema dei violoncelli che concludeva l’ouverture-prologue, il quarto atto si apre sulla camera di Juliette, dove si svolge il terzo duetto tra i due amanti che si scambiano ancora una volta le promesse d’amore con accenti di passione (duetto: Nuit d’hyménée). Il richiamo dell’allodola, reso onomatopeicamente da alcune note ribattute del flauto, ricorda che il giorno è vicino e Roméo deve lasciare Verona. L’uomo è inquieto, ma non vorrebbe lasciare la fanciulla che alla fine lo esorta ad andar via (C’est l’aloutte, hélas). Juliette è raggiunta dal padre che si meraviglia del fatto che a  quell’ora sia ancora sveglia e in un arioso, (Que l’hymne nuptial succède aux bruit des armes) abbastanza convenzionale e ironico sin dall’introduzione orchestrale in stile rococò che rappresenta il carattere antiquato del personaggio, le annuncia che presto avrebbe sposato Paris. Presa da una forte agitazione, Jean de Reszke as Romeo Parigi 1888rappresentata da un instabile e inquietante accordo di settima diminuita, Juliette esprime a Frére Laurent la sua volontà di morire piuttosto che sposare Paris; il religioso, allora, comprendendo che la ragazza non teme la morte, le propone di bere una pozione capace di simulare una morte apparente in un numero musicale (Ainsi, la mort ne trouble point votre âme?) difficilmente classificabile dal punto di vista formale, in quanto, se per la struttura richiama la forma dell’aria francese settecentesca bipartita, in esso non è riconoscibile un vero e proprio fraseggio melodico, dal momento che si snoda su note ribattute che simulano il parlato. Dopo il congedo dei due, è collocata la celebre aria del veleno (Amour, ranime mon courage), tagliata sin dalla prima esecuzione assoluta all’Opéra-Comique e solo di recente ripresa, nella quale Juliette esprime il suo tormento prima di bere il filtro magico. Il numero musicale si caratterizza per un recitativo drammatico iniziale, che Gounod intercala anche all’interno della vera e propria aria che si segnala per un intenso e appassionato lirismo. Nell’aria, inoltre, la ragazza fa riferimento al pugnale che utilizzerà alla fine dell’opera per trafiggersi.
A questa scena segue un balletto che, composto da Gounod per l’Opéra e in genere tagliato nelle edizioni moderne, consiste in un’ampia pantomima che ha per oggetto i preparativi per le nozze di Juliette e si conclude con una marcia nuziale, in genere eseguita perché già presente nell’edizione approntata per l’Opéra-Comique. Preceduto e accompagnato dal suono dell’organo, Capulet invita la figlia a recarsi all’altare per il matrimonio, ma la fanciulla, il cui stato di malattia viene efficacemente rappresentato da quattro violoncelli divisi che eseguono angoscianti accordi in sincopato, si sente venir meno e perde conoscenza.
Atto quinto
Un brevissimo Entr’acte
, costituito da una semplice marcia-corale affidata al timbro scuro di legni e ottoni, introduce il quinto atto, ambientato nella cripta sotterranea, dove sono costruite le tombe dei Capuleti; la prima Scène, in genere tagliata sin dalla prima ripresa all’Opéra-Comique del 1873, vede come protagonista Frère Laurent il quale apprende da Frère Jean che Roméo non è stato avvisato del filtro. A questa breve Scène Gounod fa seguire un altrettanto breve poema sinfonico Le somneil de Juiliette (Il sonno di Giulietta) nel quale sono ripresi elementi tematici tratti dalla scena in cui Frère Laurent invitava Juliette a bere la pozione. Nelle tombe dei Capuleti è penetrato Roméo che si produce in un nuovo canto d’amore nei confronti della sua amata ed esprime il desiderio di rivederla. Il suo arioso (C’est là) è una lunga pagina estremamente complessa nella quale ritornano il tema dell’amore posto a conclusione dell’ouverture-prologue e qui rielaborato. L’uomo, dopo aver visto la sua amata nello stato di morte apparente, beve un veleno mortale poco prima che la fanciulla si risvegli; il suo risveglio è salutato dal dolce suono dell’arpa, già utilizzata da Gounod in Le sommeil de Juliette, ma la momentanea gioia, che si esprime nell’appassionato duetto Viens! Fuyons au bout du monde, è troncata dalla drammatica confessione di Roméo che prima dice all’amata di aver bevuto un veleno e, poi, nel toccante arioso Console-toi, pauvre femme, afferma che l’amore supera la morte, mentre in orchestra si sentono degli onomatopeici suoni che alludono al richiamo dell’allodola. Juliette, allora, vedendo che Roméo aveva consumato tutto il veleno, si trafigge con il pugnale e, insieme all’amato, chiede perdono a Dio prima di spirare.
Gli interpreti dell’edizione in ascolto: Alfredo Kraus (Roméo), Catherine Malfitano (Juliette), José Van Dam (Frère Laurent), Gino Quilico (Mercutio), Ann Murray (Stephano)…direttore, Michel Plasson (reg.1984)