Teatro dell’Opera di Roma – Stagione Lirica 2015/2016
“IL TRITTICO” Musica di Giacomo Puccini
“IL TABARRO”
Opera in un atto. Libretto di Giuseppe Adami tratto dal dramma La Houppelande di Didier Gold Michele ROBERTO FRONTALI
Luigi MAXIM AKSENOV
Il Tinca NICOLA PAMIO
Il Talpa DOMENICO COLAIANNI
Giorgetta PATRICIA RACETTE
La Frugola ANNA MALAVASI
Un venditore di canzonette VLADIMIR REUTOV
Due amanti EKATERINA SADOVNIKOVA / ANTONIO POLI
“SUOR ANGELICA”
Opera in un atto. Libretto di Giovacchino Forzano
Suor Angelica PATRICIA RACETTE
La zia Principessa VIOLETA URMANA
La Badessa ANNA MALAVASI
La suora zelatrice ALESSIA NADIN
La maestra delle novizie ISABEL DE PAOLI
Suor Genoveffa EKATERINA SADOVNIKOVA
Suor Osmina/la novizia BEATRICE MEZZANOTTE
Suor Dolcina/ prima conversa CHIARA PIERETTI
La suora infermiera ROSSELLA CERIONI
Prima cercatrice SIMGE BUYUKEDES
Seconda cercatrice ERIKA BERETTI
Seconda conversa REUT VENTOTERO
“GIANNI SCHICCHI”
Opera in un atto. Libretto di Giovacchino Forzano ispirato a un episodio del canto XXX della Commedia di Dante Alighieri
Gianni Schicchi ROBERTO FRONTALI
Lauretta EKATERINA SADOVNIKOVA
Zita detta la vecchia NATASCHA PETRINSKY
Rinuccio ANTONIO POLI
Gherardo NICOLA PAMIO
Nella SIMGE BUYUKEDES
Gherardino LORENZO GIAMBENEDETTI
Betto di Signa ANDREA PORTA
Simone DOMENICO COLAIANNI
Marco ROBERTO ACCURSO
La Ciesca ANNA MALAVASI
Maestro Spinelloccio MATTEO PEIRONE
Ser Amantio di Nicolao FRANCESCO MUSINU
Pinellino LEO PAUL CHIAROT
Guccio DANIELE MASSIMI
Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera di Roma con la partecipazione della Scuola Corale del Teatro dell’Opera di Roma diretta dal maestro Josè Maria Sciuto
Direttore Daniele Rustioni
Maestro del Coro Roberto Gabbiani
Regia Damiano Michieletto
Scene Paolo Fantin
Costumi Carla Teti
Luci Alessandro Carletti
Allestimento del Det Kongelige Teater di Copenaghen e del Theater an der Wien
Roma, 23 aprile 2016
Il Trittico di Puccini mancava dalle scene del Teatro dell’Opera di Roma dal 2002, dove tuttavia nel tempo è stato presente con una certa regolarità e dove ebbe luogo la prima europea diretta da Gino Marinuzzi nel 1919 dopo il debutto al Metropolitan. L’esecuzione offerta in questa occasione è affidata alla direzione del maestro Daniele Rustioni il quale guida l’orchestra ed il nutritissimo stuolo di interpreti con braccio sicuro sia nella scelta dei tempi che nell’evocare i colori e le atmosfere descritte dalla musica di Puccini, trovando sempre una buona intesa tra buca e palcoscenico e un valido equilibrio tra le sonorità dell’orchestra e le voci dei solisti, questi ultimi tutti impegnati con ottimi risultati in una recitazione quasi cinematografica che non li ha risparmiati neppure nei momenti più esposti ed attesi delle loro arie e spesso chiamati a sostenere più parti nel corso della serata. Bravissimo il baritono Roberto Frontali nella parte di Michele del Tabarro e nel ruolo eponimo di Gianni Schicchi. Voce ampia, estesa, dizione impeccabile ma soprattutto grande capacità di caratterizzazione dei due personaggi così diversi e resi sempre con musicalità, raffinata appropriatezza e senso della misura. Lo “sgualdrina” detto da Michele al termine del duetto con Giorgetta è stato davvero un momento di grande teatro. Il tenore Maxim Aksenov ha interpretato Luigi del Tabarro in modo un po’ incolore, con qualche limite in termini di volume e proiezione del suono forse anche legato ad una forma vocale non ottimale. Patricia Racette è stata senza soluzione di continuità in questo allestimento rispettivamente prima Giorgetta e poi Suor Angelica riscuotendo un notevole successo grazie alla davvero straordinaria capacità di immedesimazione nei personaggi e di seguire le molte e non facili richieste di recitazione imposte dalla regia, nonostante alcuni limiti vocali nelle zone estreme della voce e l’incidente, va detto certamente occasionale, sulla nota finale del “senza mamma” di Suor Angelica che il pubblico le ha volentieri perdonato. Altrettanto brava vocalmente e teatralmente Anna Malavasi nel caratterizzare rispettivamente La Frugola, La Badessa e La Ciesca. Meno incisiva, corretta ma senza grandi brividi la Lauretta del soprano Ekaterina Sadovnikova impegnato anche nei ruoli minori di uno dei due amanti nel Tabarro e di Suor Genoveffa. Simpatico scenicamente il Rinuccio di Antonio Poli cantato con bella voce sia pure con un pò poco squillo negli acuti. Star della serata molto attesa era Violeta Urmana nel ruolo della zia Principessa, eseguito con autorevolezza ed il giusto peso vocale esibendo un registro di petto che usato con studiata intelligenza, sebbene non sempre perfettamente omogeneo timbricamente al resto della voce, le ha consentito di raggiungere risultati notevoli in termini di espressività. Infine tutti molto bravi e soprattutto funzionali alle richieste della regia gli interpreti delle numerose parti minori dei tre atti unici di cui si sarebbe dovuta comporre la serata. Il regista Damiano Michieletto infatti a differenza di quanto pensato da Puccini in termini di diversa caratterizzazione delle tre parti del Trittico, riunisce le tre diversissime storie un un’unica vicenda incentrata sul tema della maternità, ambientandola in uno spazio buio e chiuso illuminato dal neon dove dei containers che si trasformano progressivamente definiscono le varie ambientazioni e nel quale il filo conduttore sarebbe costituito delle scarpettine da neonato che sono in grande evidenza presenti lungo tutta la serata. Giorgetta e Michele hanno perso il loro figlio e probabilmente questo contribuisce a generare quello che gli specialisti moderni definirebbero il disagio della coppia, Giorgetta stessa dopo la morte di Luigi viene internata in una specie di manicomio criminale trasformandosi in un’allucinata suor Angelica il cui figlio non è morto come lei e noi abbiamo sempre creduto di sapere ma probabilmente le viene solo dato ad intendere che lo sia. Lauretta infine si presenta nel finale con tanto di ecografia in mano per far capire che è incinta e tentare di regalarci quindi una speranza con l’immagine dei due ragazzi che si rotolano nelle stesse lenzuola che avevano accolto prima il cadavere del defunto Buoso e poi il truffaldino Schicchi. Il testo naturalmente non contiene alcun riferimento a tutto questo e le incongruenze tra ciò che dice il libretto, ciò che racconta la musica e ciò che si vede in scena sono molte ed a volte irritanti. Nessun riferimento nel Tabarro alla differenza di età dei personaggi, al fluire della Senna ed al confronto tra l’ondeggiante mondo del barcone e la terraferma come luogo in cui proiettare i sogni e le aspettative di una vita migliore così efficacemente dipinto dalla musica. Solo il bambino morto, carrozzine vuote e lattine di birra che fanno tanto operaio sfruttato. L’atmosfera tardo-romantica, oleografica e probabilmente giulebbata anche oltre misura per il gusto odierno della Suor Angelica viene trasposta in un contesto che evoca un manicomio criminale o comunque un luogo di detenzione ispirato per stessa ammissione del regista al film Magdalen che a suo tempo raccontò con compiaciuto anticattolicesimo ed in modo molto di parte la vicenda degli abusi consumatisi nelle case di correzione irlandesi gestite per conto del governo da suore cattoliche. Ma gli aristocratici si sa devono essere per forza spietati, inutilmente crudeli e antipatici e la clausura e la castità è risaputo che non possano produrre altro che alienazione mentale, abusi e violenze di ogni genere. Infine nessuna traccia dell’acre e sulfurea ironia toscana nel Gianni Schicchi trasformato in una sorta di commedia di borghesi arraffoni, avidi ed arricchiti, sorvolando tra l’altro sul fatto che non erano certo i Donati gli arricchiti della situazione. Senza addentrarsi in particolari e in discussioni probabilmente senza costrutto in merito a ciò che si sarebbe dovuto o desiderato vedere in scena e a ciò che invece è stato offerto anche perché l’elenco sarebbe davvero troppo lungo visto quanto i libretti sono particolareggiati e ricchi di indicazioni, lo spettacolo presenta senza dubbio dei momenti emozionanti ma francamente in gran parte avulsi dalla storia e da quanto le parole e la musica intendono raccontare. Non è questione di avanguardia o tradizione, di tabarro contro giacca a vento. Certamente il teatro deve essere uno spazio di libertà ma, sempre senza volersi addentrare perché non ne è questa la sede in disquisizioni neanche troppo nuove su questioni di semeiotica in materia di opera aperta e opera chiusa, crediamo per ragioni di elementare buon senso che utilizzare un testo così chiuso e rigorosamente definito nel libretto e nella struttura musicale in modo viceversa così tanto libero ed arbitrario sia un’operazione che lascia perplessi. Se si possiede o si crede di possedere una così incontenibile vis creativa forse potrebbe essere opportuno pensare con un po’ di umiltà a scrivere testi nuovi anziché tentare di precorrere una via espressiva che a nostro avviso non rappresenta né ricerca di avanguardia né tantomeno tradizione ma solo una nuova e un po’ saccente accademia. Altrettanta perplessità suscita per altro la scelta un po’ schizofrenica del teatro di proporre nel programma di sala a commento di questo genere di spettacolo un lungo ed interessante scritto di Fedele D’Amico nel quale viene dettagliatamente narrata la genesi dell’opera e posto largamente in evidenza come il compositore tenesse a che venisse sottolineata la diversità dei tre atti unici tra i quali nelle sue intenzioni non doveva sussistere nessun legame o elemento di continuità. La produzione in stagioni passate è stata già proposta a Vienna e Copenaghen con successo ma non ci sentiamo di dire che sia giunta a Roma oltretutto in concomitanza dell’anno giubilare come ad illuminare una sorta di oscura retrovia culturale. Forse la sensibilità di un pubblico non italiano e non educato a cogliere le sfumature linguistiche e la caustica e perfida ironia toscana è semplicemente diversa e viene stimolata anche comprensibilmente da altri aspetti. Al termine il pubblico ha applaudito poiché lo spettacolo riesce a trasmettere delle emozioni e presenta degli spunti di interesse ma, anche dai commenti raccolti estemporaneamente, la perplessità sull’operazione nel complesso indubbiamente resta. Foto Yasuko Kageyama