Teatro del Giglio – Stagione Lirica 2015/2016
“MEFISTOFELE”
Opera in un prologo, quattro atti e un epilogo su libretto di Arrigo Boito da Goethe
Musica di Arrigo Boito
Mefistofele RUBÉN AMORETTI
Faust GABRIELE MANGIONE
Margherita ELISABETTA FARRIS
Marta SANDRA BUONGRAZIO
Wagner SERGIO DOS SANTOS
Elena ALICE MOLINARI
Pantalis MOON JIN KIM
Nerèo SERGIO DOS SANTOS
Orchestra della Toscana
CLT Coro Lirico Toscano, con la partecipazione di Laboratorio Lirico San Nicola e dei Pueri Cantori di San Nicola e Santa Lucia
Direttore Francesco Pasqualetti
Maestri del coro Marco Bargagna, Stefano Barandoni, Emma Zanesi
Regia Enrico Stinchelli
Scene Biagio Fersini su ideazione di Enrico Stinchelli
Videomaker MAV Mad About Video di Malta
Disegno Luci Michele Della Mea
Nuovo allestimento del Teatro di Pisa
Coproduzione Teatro di Pisa, Teatro del Giglio di Lucca, Teatro Sociale di Rovigo
Lucca, 10 aprile 2016
Dopo l’esordio al Teatro Verdi di Pisa, capofila della co-produzione a tre (il terzo è il Teatro Sociale di Rovigo), l’allestimento con la regia di Enrico Stinchelli del Mefistofele di Arrigo Boito approda al Teatro del Giglio di Lucca con due cast quasi completamente diversi. Rimando alla recensione pisana per quanto riguarda l’ottima direzione d’orchestra di Francesco Pasqualetti e la spesso suggestiva ed efficace messinscena, anche se è doveroso sottolineare che sia la parte visiva che quella musicale hanno dovuto adattarsi alle più modeste dimensioni del teatro lucchese: in particolare il numero assai più ristretto dei membri del coro ha diminuito il frenetico e parossistico impatto sul pubblico nel prologo e nell’epilogo. Ho scelto di recensire la recita di domenica pomeriggio soprattutto per poter ascoltare un altro protagonista, il basso spagnolo Rubén Amoretti, che ha offerto una prova vocale molto convincente in virtù di un un bella voce timbrata, sicura negli acuti e anche nelle discese verso i gravi. Amoretti è fra l’altro noto per esser uno dei rari casi in cui, dopo una carriera decennale come tenore, a causa di un’eccessiva secrezione ormonale, è passato – con successo – alla corda di basso. Un precedente si ritrova agli inizi dell’Ottocento, quando Filippo Galli in seguito a una malattia da tenore si trasformò in uno dei più celebri bassi della storia del canto. Come già nel caso di Giacomo Prestia, anch’egli ha privilegiato, ed è stata probabilmente una scelta obbligata, il lato faceto e scanzonato del personaggio, intonando la musica della dannazione in maniera piuttosto blanda e assomigliando più a un maestro di scuola intento a mettere in riga gli studenti che allo spirito che nega: un tale approccio può funzionare a meraviglia per il Méphistophélès gounodiano. La creatura che rinnega un mondo che nonostante tutto lo attira ed anzi lo perseguita ha sempre affascinato Boito, che lo ha rappresentato con successo alterno nel Barbara della Gioconda, nella sua personale reinterpretazione di Iago e per finire nel Nerone incompiuto, ed è al centro di una tragedia di forze cosmiche. Bisogna sottolineare che trovare un Mefistofele con tutti i requisiti è impresa che nel corso dei molti decenni intercorsi a partire dall’entrata dell’opera in repertorio nel 1875 è riuscita assai di rado, per cui ben venga un basso vocalmente ben impostato come Amoretti a cercare di riportare questo strano, bizzarro capolavoro nei cartelloni dei vari teatri. Elisabetta Farris era stata, nella recita recensita a Pisa ed anche la sera prima di questa di cui scrivo, un’Elena di Troia di forte impatto, sensuale e languida nel duetto con Pantalis e soprattutto in grado di esprimere la tragica allucinazione del racconto della caduta di Troia, coadiuvata da uno strumento voluminoso e soprattutto tagliente, penetrante. In questa recita vestiva i panni di una Margherita volitiva, dotata di temperamento, portata, sicuramente per le proprie caratteristiche vocali, a sottolineare il lato più istrionico del ruolo. Anche in questo caso forte di una solida tecnica vocale, la Farris ha offerto una prova assolutamente persuasiva, assai ben cantata, anche se le mie preferenze personale si dirigono verso una Margherita più malinconica, che conferisca alla scena della prigione una commovente, tenera folle intimità: dell’angosciata fragilità che riassume il personaggio la Farris ha enfatizzato l’aggettivo piuttosto che il sostantivo. Ma solamente di mio gusto personale, appunto, si tratta. Ho già accennato in precedenza che Boito, in ossequio al concetto dell’eterno femminino goethiano, aveva pensato le due donne di Faust, il reale e l’ideale, per uno stesso soprano, e sarebbe stato interessante poter vedere Elisabetta Farris nei due ruoli nella stessa recita. Alice Molinari (Elena) possiede un’emissione non completamente equalizzata e omogenea, ma può contare su un registro acuto d’insolita potenza ed efficacia, ricco di squillo. Gabriele Mangione è un giovane tenore dai mezzi dal vasto potenziale, ma ancora piuttosto acerbi allo stato attuale, e ci sorprende che sia stato incoraggiato ad assumere un ruolo come quello di Faust, vocalmente irto di ostacoli di ogni tipo e psicologicamente assai sfaccettato ed elusivo, un personaggio che nasce come cinico e sfinito vecchio filosofo, si trasforma in un giovane alla spasmodica ricerca di ogni sensazione, e che infine trova la salvezza in una riconciliazione con la fede. È un personaggio che ha dato del filo da torcere a quasi tutti i cantanti, compresi i grandi nomi, nelle cui mani è spesso degenerato in un un altro tenore operistico come tanti, privo di spessore ed intelletto. E anche dal punto di vista meramente vocale, Mangione ha messo in evidenza troppi nodi tecnici da risolvere, dal canto troppo di fibra, dal falsetto impiegato al posto di un vera dinamica di piani, all’imprevedibilità del registro acuto: per una nota ben riuscita, piena e squillante (ad esempio il si naturale di “ Baluardo m’è il Vangelo”, se ne sono sentite molte altre troppo fibrose, faticose, e prossime all’incidente di percorso (il si naturale culmine di “Colma il tuo cor d’un palpito”). Riprendevano i loro ruoli Sandra Buongrazio (Marta), Moojin Kim (Pantalis) e Sergio Dos Santos (Wagner e Nerèo). Foto Massimo D’Amato