Venezia, Teatro La Fenice, Stagione sinfonica 2015-16
Orchestra del Teatro La Fenice
Direttore Omer Meir Wellber
Pianoforte Alessandro Marchetti
Zeno Baldi: “Lo sciame all’interno” (prima esecuzione assoluta)
Wolfgang Amadeus Mozart: Concerto per pianoforte e orchestra in la maggiore n. 23 KV 488
Anton Bruckner: Sinfonia n. 6 in la maggiore WAB 106
Venezia, 4 marzo 2016
Quarto appuntamento della Stagione Sinfonica del Teatro La Fenice, che propone, tra l’altro in cartellone, l’esecuzione integrale delle nove sinfonie di Bruckner, un’iniziativa certamente coraggiosa da parte della Fondazione veneziana, che costituisce un impegno non indifferente, in particolar modo per l’orchestra del teatro, data la monumentalità della produzione sinfonica del compositore di Ansfelden: poche compagini orchestrali ne sarebbero all’altezza, come ha orgogliosamente notato il Direttore Artistico Fortunato Ortombina, apparso in palcoscenico per presentare il giovane compositore Zeno Baldi, cui il teatro veneziano ha commissionato una composizione da eseguire in prima assoluta nell’ambito del progetto “Nuova musica alla Fenice”, che si avvale del sostegno della Fondazione Amici della Fenice e dello speciale contributo di Marino e Paola Golinelli. Presente anche uno degli sponsor: Marino Golinelli. Subito dopo l’essenziale cerimonia, il concerto ha avuto inizio proprio con questo nuovo pezzo per orchestra, intitolato Lo sciame all’interno. Si tratta di una composizione di grande suggestione, raffinata nella scrittura, che, come suggerisce il titolo stesso, nasce dall’intervento di vari strumenti, che si inseguono e si sovrappongono in una trama sottile di note lungamente tenute, con modulazioni che prevedono anche i quarti di tono: l’atmosfera evanescente che si crea viene interrotta, qua e là, da qualche accensione sonoramente emotiva, senza peraltro modificare il carattere fondamentale del pezzo, che ha la delicatezza di un profumo, che si spande nell’aria – più intenso, meno intenso – fino a svanire. Eccellente la prestazione dell’orchestra, guidata con appassionato rigore dal maestro Wellber, ormai di casa alla Fenice.
Quanto al secondo titolo in programma, il Concerto per pianoforte e orchestra n. 23 in la maggiore di Mozart, anche in questo caso il pubblico ha potuto apprezzare un giovane talento: il pianista Alessandro Marchetti, vincitore del Premio Venezia 2014. Veramente apprezzabile l’esecuzione di questo concerto – una delle più sublimi realizzazioni del Genio salisburghese –, che ha come momento culminante l’Adagio, una pagina destinata da sempre ad incantare il pubblico. Lo stile, il tocco, il fraseggio, esibiti dal giovane virtuoso della tastiera, erano – a nostro avviso – quelli più appropriati per Mozart. Marchetti ha brillato, in particolare, per la leggerezza e la nonchalance esibite anche nei passaggi in cui la scrittura si fa più che mai insidiosa; per il pathos intenso, pur senza affettazione – come nel ricordato Adagio –; per la sicura padronanza tecnica, che gli ha consentito un virtuosismo mai esibito, ma intimamente funzionale all’altissima poesia che informa ogni nota. Allo strumento solista ha corrisposto un’orchestra dal suono nitido e brillante, sensibile e scattante, sotto la guida sicura del direttore israeliano. Successo pieno, con applausi ovviamente rivolti, in particolare, al solista, che ha concesso un bis alquanto ardimentoso, comunque perfettamente eseguito, tra l’altro con una scelta di tempi davvero travolgenti: il movimento finale della Settima sonata per pianoforte di Prokofiev.
Nella stessa tonalità di la maggiore, nonché analogamente impreziosita da un Adagio di assoluta bellezza, è la Sesta sinfonia di Bruckner, per troppo tempo considerata ingiustamente “il brutto anatroccolo” rispetto alle altre “sorelle”, mentre l’autore la riteneva con soddisfazione “la più ardita” tra la sua produzione sinfonica. Affascinate ed icastico il gesto di Wellber, dalle ampie volute, come a penetrare e plasmare la poderosa massa sonora spesso prorompente dall’orchestra. La sua interpretazione si è caratterizzata per l’intensa espressività, il suono teso, i tempi diffusamente stringati. Siamo lontani dal Bruckner “decadente” di Karajan o di Celibidache: quello offerto da Wellber è intriso di vitalismo, di un’empito sonoramente titanico, di un carattere virile, che si coglieva anche nei momenti di più intenso lirismo. Buona, in generale, la prova offerta dall’orchestra nell’affrontare questa partitura, fondata – com’è tipico in Bruckner – sulle contrapposizioni timbriche e dinamiche, sulla contrapposizione di ritmi binari e ternari, sull’ossessiva insistenza sulla stessa cellula ritmico-melodica, a imitazione di quanto fa il suo Nume tutelare – Wagner – alla fine del Rheingold, ad accompagnare – con qualche malcelata ironia – l’entrata pomposa degli dei nel Walhalla. Travolgente, in particolare, Wellber – toccando momenti di straordinaria energia sonora – nel primo movimento, caratterizzato da un’insistente pulsazione ritmica, che esordisce diversamente dalle altre sinfonie di Bruckner – che si aprono in pianissimo – con un tema molto vigoroso, cui segue, senza alcuna transizione, un secondo tema, liricamente delicato, mentre il terzo ha di nuovo carattere energico ed imperioso, prima del denso e animato Sviluppo e dell’esaltante Coda finale. Tutt’altro clima ha saputo evocare il maestro israeliano nell’Adagio, senza peraltro enfatizzarne il tono liricamente malinconico: dal pensoso e dolente primo tema al secondo più liederistico, al terzo che è quasi una marcia funebre che anticipa gli accorati accenti di certe pagine sinfoniche mahleriane. Stravagante – come dev’essere – lo Scherzo, che non evoca, come altre analoghe pagine bruckneriane, l’atmosfera di una festa contadina, bensì quella di una marcia misteriosa e spettrale, mentre il Trio ha carattere più sereno, quasi pastorale. Di straordinaria potenza sonora ed espressiva il Finale con la ricomparsa, in tono grandioso, del primo tema del movimento iniziale, cui seguono un secondo tema cantabile e un terzo dal ritmo puntato affine al riapparso tema primo. Il movimento si è caratterizzato per le vigorose impennate sonore che interrompevano la trama densamente contrappuntistica del discorso orchestrale – sapientemente tessuta sotto la bacchetta del direttore –, per arrivare, dopo un suggestivo episodio “a corale” (tipico in Bruckner), a una Coda impetuosamente festosa. Successo pieno.