Venezia,Teatro La Fenice, Stagione sinfonica 2015-2016
Orchestra del Teatro La Fenice
Direttore Eliahu Inbal
Anton Bruckner: Sinfonia n. 8 in do minore WAB 108 (versione 1887)
Venezia, 27 febbraio 2016
Prosegue alla Fenice la Stagione sinfonica, che ha come elemento programmatico di particolare interesse l’esecuzione integrale delle sinfonie di Bruckner, un autore non ancora metabolizzato da una parte del pubblico, almeno in Italia, e tutt’ora in qualche modo punto di contraddizione tra fautori e detrattori. La sua produzione non è certamente di facile fruizione, ma il compositore di Ansfelden rappresenta comunque uno snodo fondamentale per la musica mitteleuropea, in quanto, trasferendo in ambito sinfonico il suo personale culto per Wagner, fu trait-d’-union verso Maher e, in genere, verso il futuro dell’arte dei suoni. Questa volta è stata proposta l’Ottava sinfonia, la partitura forse più monumentale della pur ciclopica produzione sinfonica bruckneriana, la cui genesi compositiva è stata, tra l’altro, più sofferta rispetto a quella – pur sempre travagliata – delle altre sinfonie dell’autore austriaco, noto per l’arrendevolezza con cui accettava critiche e proposte di modifica ai suoi lavori. Non osiamo addentrarci nella vexata quaestio della filologia bruckneriana, se non per rilevare che nel concerto di cui ci occupiamo è stata proposta la versione datata 1887, quella del manoscritto originale, considerando meno attendibili le successive revisioni: quella del 1890 firmata da Bruckner stesso e l’altra del 1939 ad opera di Robert Haas, entrambe, peraltro, molto frequentemente eseguite. Attenta e sensibile la lettura di Eliahu Inbal, tra i più apprezzati interpreti di Bruckner e Mahler: il direttore israeliano ha sedotto il pubblico con il suo gesto essenziale ma autorevole, che ha saputo distillare dalla compagine orchestrale – in perfetta forma – un suono assolutamente rotondo nei poderosi ripieni orchestrali come nei passaggi più delicati, sfoggiando altresì senso delle sfumature e dei contrasti, in particolare quelli timbrici, costituenti una cifra distintiva del compositore-organista, che riproduce nell’orchestra le contrapposizioni tra i vari registi dello strumento a canne. Bruckner è – nell’immaginario collettivo – uno dei simboli della Finis Austriae (la Settima sinfonia venne scelta da Visconti come colonna sonora di uno dei suoi primi capolavori, incentrato anche su questo tema: Senso). Tuttavia l’interpretazione di Inbal – grazie anche a una scelta di tempi mai troppo dilatati – non indulge per nulla in morbose estenuazioni, mantenendosi all’interno di una visione genuinamente romantica, in cui il sentimento non trascolora affatto nel sentimentalismo, per accendersi invece di estremo vigore (e nitore) sonoro nelle pagine animate da un afflato titanico. Ragguardevole la prestazione dell’orchestra fin dal solenne inizio, in cui – secondo un tipico procedimento bruckneriano – su un tremolo di violini si stagliava il sinuoso primo tema cromatico, esposto dai bassi con mirabile coesione, poi ripetuto imperiosamente da tutta l’orchestra, da cui emergevano, con sonorità d’oro brunito, i tromboni. Coesi e perlacei i violini nel proporre il secondo tema cantabile, ripreso in successione dai legni e dal resto dell’orchestra, prima della comparsa di un terzo tema con l’intervento di archi e legni, alternato al pizzicato degli archi. Poi la rielaborazione e lo sviluppo dei tre temi, la ripresa e il finale, che nella versione proposta termina in forte diversamente dalle altre versioni, in cui invece il movimento si conclude con uno spegnersi progressivo delle sonorità. Briosa e scattante l’orchestra nel successivo Scherzo – che precede l’Adagio come nella Nona di Beethoven –, un movimento basato su ritmi e motivi ostinati, che – nelle intenzioni programmatiche dell’autore, peraltro, come spesso accade, assolutamente riduttive – evocherebbe la figura del Deutsce Michel, “l’onesto e buon tedesco”, che si sollazza ballando e bevendo birra, ma poi (nel Trio) si mette a fantasticare contemplando la natura. Di grande fascino sonoro l’esecuzione del terzo movimento, che rappresenta senza dubbio il vertice della composizione ed è una della pagine più straordinarie dell’intera produzione sinfonica di Bruckner: qui Inbal ha saputo trovare il giusto accento nel condurre il discorso che – con interventi imperiosi e cupamente dorati di ottoni e tube wagneriane – procede tra espressioni intensamente liriche e accessi passionali: dal primo tema meditativo e statico al secondo tema, al cui apparire il tessuto sonoro si fa sempre più lussureggiante, caratterizzandosi per le reminiscenze wagneriane e i solenni accenti di corale, che contrassegnano anche gli ultimi adagi di Mahler. Una concitazione dionisiaca – forse un po’ eccessiva, viste le indicazioni dell’autore, che prescrive: Solenne, non veloce – si è scatenata con il ritmico primo tema dell’ultimo movimento, affidato alle brunite sonorità degli ottoni, seguito da un secondo tema cantabile, esposto da archi e corno, e poi da un terzo tema caratterizzato da brevi incisi di legni e ottoni. Precisa l’orchestra nell’eseguire la complessa trama di carattere contrappuntistico, costituente lo sviluppo, come la ripresa insolitamente elaborata e la successiva coda finale, in cui si ripresentano i temi dei quattro movimenti, ma non giustapposti come nella Nona di Beethoven, bensì disponendosi uno sull’altro in verticale. Ovazione finale per il Maestro e l’orchestra.