Opera di Firenze – Stagione d’opera e balletto 2015-2016
Orchestra e coro del Maggio Musicale Fiorentino
Direttore Speranza Scappucci
Tenore Saimir Pirgu
Musiche di Gaetano Donizetti, Vincenzo Bellini, Giuseppe Verdi, Charles Gounod, Jules Massenet, Giacomo Puccini.
Firenze, 1 marzo 2016
“Un fatto comunque è certo. Una bella voce di tenore, perfino incolta, esercita un’immediata suggestione. Perché è la voce più adatta a cantare d’amore. Il suo timbro e il suo smalto possono evocare a volte l’idillio, a volte la passione tormentata, lacerante. Sempre, però, parlano della giovinezza e dei suoi ideali; mentre le altre voci maschili, il baritono e il basso, più scure e massicce, fanno pensare l’una all’età adulta, perentoria e disincantata, l’altra alla greve e crepuscolare sentenziosità della vecchiaia”. Così scriveva nella prefazione al suo libro “Voce di tenore” un critico tanto amato e altrettanto vituperato, specie post-mortem, Rodolfo Celletti, il quale, nel bene e nel male, di voci se ne intendeva, e in particolare a quella del tenore e alla sua singolarità aveva dedicato studi vasti e appassionati. Che si concordi o no con Celletti, specie nei suoi giudizi drastici e nelle sua famose stroncature, non si può negare che su questo aveva ragione. Tolti gli iper-raffinati, gli snob, i monomaniaci – quelli che amano solo il Barocco, solo Britten, solo il “teatro di regia” et similia – il popolo degli appassionati d’Opera, quello che riempie i teatri quando è in scena una Traviata o una Tosca, continua a subire il fascino di una bella voce di tenore e ad amare l’artista che la possiede in misura non paragonabile a quanto ammira i cantanti di altre corde, in un modo che rasenta quasi l’ingiustizia nei confronti degli altri artisti. Ma nessuno di questi se ne adonta, perché lo sanno tutti che è così; lo è da sempre o, per meglio dire, da quando, intorno al 1830, ha fatto il suo ingresso sulle scene il tenore romantico che impersona l’innamorato, l’eroe, il protagonista per eccellenza.
Che il mito del tenore sia ancora vivo e vegeto lo conferma in pieno l’entusiasmo suscitato l’altra sera dal giovane e bravo Saimir Pirgu; il suo concerto di arie d’opera ha infiammato il proverbialmente poco caloroso pubblico fiorentino: ben poche volte avevo visto l’intera sala alzarsi in piedi e prorompere in acclamazioni fragorose con una lunghissima standing ovation, a meno che non si trattasse di omaggiare qualche leggenda vivente o vecchia gloria. Pirgu invece ha solo trentaquattro anni, ma è già affermatissimo e canta nei più importanti teatri del mondo, dopo essere stato scoperto da Claudio Abbado nel 2003 ed aver debuttato al Metropolitan nel 2009 a soli ventotto anni. Per temperamento e per adeguatezza di mezzi, ha scelto i suoi ruoli di punta tra quelli del grande repertorio, dell’opera più popolare, da Donizetti a Verdi a Puccini, con una buona presenza di titoli mozartiani. La sua è una bella voce dal timbro luminoso, chiaro, ‘all’italiana’; dispone di un volume medio e di un ottimo squillo, quando tutto va per il meglio; non ha uno strumento da cannoneggiamenti sonori né da preziosi arabeschi, non ha risonanze baritonali e non esibisce sopracuti spericolati da contraltino. Ha una classica, bella voce, non piccola, non grande, da tenore lirico puro. La sua formazione accurata – diploma in violino e in canto – gli garantisce musicalità nel fraseggio e un gusto sobrio, asciutto; è un interprete attento, capace di sfumature e di varietà dinamica. Possiede una tecnica sostanzialmente corretta che gli consente una buona proiezione di suono e una salita sufficientemente facile ad un registro acuto piuttosto penetrante. Ottiene gli esiti migliori nelle frasi più concitate e mordenti, nel forte la voce risulta perfettamente a fuoco e ‘avanti’; nei cantabili eseguiti piano o mezzoforte si avverte un’opacità, una screziatura laringea che tende a mortificare il timbro e a diminuire la ‘gittata’ vocale. In altre parole si ha l’impressione che, quando il nostro tenore tenta di raccogliere la sonorità, il fiato lavori meno bene e che la voce ‘corra’ meno. Viceversa la mezzavoce è soffice e suadente. Il concerto al quale abbiamo assistito fa parte di un tour mondiale che promuove un CD di recente uscita, in cui sono raccolte quindici arie scelte tra quelle più conosciute e solitamente frequentate dai tenori, in disco e in concerto; molte delle opere dalle quali provengono i pezzi fanno già parte del repertorio di Pirgu, ad eccezione di qualche titolo verdiano, “I lombardi alla prima Crociata”, “Luisa Miller”, “Simon Boccanegra”, un’opera di rara esecuzione integrale come “L’Arlesiana” e “Der Rosenkavalier”.
Ad accompagnarlo, sia nel disco che nel concerto del I marzo, è stata l’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino, diretta in entrambe le occasioni da Speranza Scappucci. In concerto sono state proposte in ordine cronologico di composizione sette delle quindici arie presenti nel CD, poi ulteriormente integrate dai due bis. Ha aperto la serata l’aria di Edgardo dalla Lucia di Lammermoor “Tombe degli avi miei… Fra poco a me ricovero” nella quale la voce di Pirgu mostra di avere il peso perfetto per il ruolo; l’esecuzione è buona specie per una sortita a freddo; notevole il si naturale acuto della cadenza finale. “La mia letizia infondere” da I Lombardi alla Prima Crociata ha messo in luce un fraseggio nobile, un’ottima esecuzione delle fioriture e la facilità del registro acuto; curiosamente la puntatura non ha avuto lo squillo che ci si poteva aspettare, suonando un po’ arretrata come posizione. A seguire l’aria di Macduff dal Macbeth è stata complessivamente ben eseguita, anche se ho avuto l’impressione che la scrittura del Verdi più maturo e meno belcantistico, unita alla tessitura piuttosto bassa, non sia troppo adatta a valorizzare le caratteristiche vocali attuali di Pirgu; forse in futuro, se ci sarà un irrobustimento e un’evoluzione in senso drammatico, simili ruoli potranno essere affrontati con risultati più incisivi. Fermo restando che probabilmente è ancora presto per certi titoli e che il timbro e il peso sono più adatti a Donizetti o al Verdi più lirico, ho trovato veramente notevole l’esecuzione della successiva aria dal Simon Boccanegra. Fin dal recitativo l’interpretazione è stata assolutamente eloquente, giusto l’accento, perfettamente a fuoco la voce. Con l’aria successiva entriamo in un campo che appare più congeniale al temperamento del tenore albanese; nella serenata di Romeo dal Roméo et Juliette di Gounod troviamo un amoroso tenero e appassionato, timido e trepidante insieme. Il timbro e la tipologia vocale sono ideali per il ruolo, l’interprete sembra particolarmente ispirato; anche il physique du rôle lo favorisce in quello che, a giudicare da questa prova, immaginiamo sia in scena un importante Romeo. In chiusura attacca il si bemolle in mezzoforte e poi lo amplia con squillo perentorio, rivelando possibilità in acuto che nei pezzi precedenti non aveva ancora messo in luce. Sonore ovazioni e un lunghissimo applauso seguono il brano successivo, le strofe di Ossian dal Werther, eseguite con nobiltà di linea e grande partecipazione, con il primo finale di strofa in pianissimo a mezzavoce e il secondo fortissimo, così come scritto in partitura. Ho notato che Pirgu tende a portare il ‘registro di petto’ pieno fino a tutto il fa diesis, con il risultato che questa nota, tanto più se emessa fortissimo, suona, almeno al mio orecchio, spalancata e turba l’eleganza generale dell’esecuzione, specie in un’aria del repertorio francese. Evidentemente non tutti la pensano così, perché l’effetto scatena nel pubblico applausi scroscianti. L’ultimo brano in programma, “Che gelida manina” dalla Bohème di Puccini, calza come un guanto alla vocalità di Saimir Pirgu; tutto scorre con naturalezza, con una comunicativa semplice e immediata, un piglio fresco e giovanile; l’esecuzione vocale è ottima. A questo punto la platea esplode, tutti sono in piedi, applaudono e acclamano. Il tumulto si placa solo quando Pirgu si scioglie il papillon e tutti gli orchestrali voltano i fogli sul leggìo, pronti per attaccare il primo bis. L’aria è “Una furtiva lagrima” dall’Elisir d’amore di Donizetti. L’esecuzione è molto curata, specie sotto il punto di vista della varietà dinamica; ne risulta un Nemorino giovane e delicato, poco sempliciotto, anzi piuttosto raffinato. È una realizzazione interpretativamente e musicalmente notevole. Come rilevato in precedenza, nel piano la voce tende talvolta ad andare indietro e a stimbrarsi. Peccato! Viceversa brillante, sonora, perfettamente in posizione, nella forma migliore finora udita, suona la voce di Pirgu nell’ultimo bis, “La donna è mobile” dal Rigoletto. Non ho dubbi nel valutarla la migliore prestazione della serata; tutto è ad alto livello: l’articolazione, il brio, le smorzature, la cadenza, il si naturale conclusivo. C’è un Duca di Mantova che sarà estremamente interessante ascoltare integralmente, dal vivo. Prima di terminare devo segnalare l’ottima prestazione dell’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino guidata da Speranza Scappucci che oltre ad essere sempre pertinente nell’accompagnamento al canto, ha offerto tre prove di bravura, affrontando con pari competenza tre brani piuttosto distanti tra loro come linguaggio e come stile e riuscendo ogni volta ad essere perfettamente convincente; in particolare la bellezza sonora, la giustezza del fraseggio e l’intensità emotiva nell’Intermezzo della Manon Lescaut restano impressi nella memoria. Foto Michele Borzoni