Bezalel Aloni (1940): “Love songs”; Anonimo: “Kyriah Yefeifiah“, “Fire Dance”; Delilah Gutman (1978): “Ossé Shalòm”, “La memoria parla un canto”; Joel Engel (1868-1927): “Numi numi”; Anonimo: “Sheyibanè”, “Kuando el rey Nimrod”, “Durme, durme”, “Sing mir ein liedele”; Shlomo Secunda (1894-1974): “”Dona dona”; Daniel Galay (1945): Partita, andante con moto; Anonimo: “Shalom Aleichem”, “Yedid Nefesh”; Max Janowski (1912-1991): “Avinu Malkeinu”; Samuel Cohen (1870-1940): “Hatikva”; Gershom Lev: “Prok Yas Anach”; Anonimo: “Hinné ma tòv”, “Adio Kerida”, “Nani nani”, “Tarantino”, “Havenu Shalom Aleichen”, “Shalom Aleichen”, “Shemà”; Ilse Weber (1903-1914):”Wiegala”; L.Ssaminsky (1882-1959): “Ani’ Hadal”. Delilah Sharon Gutman (voce), Rephael Negri (violino). Registrazione: Rimini, maggio 2014. T.Time: 56′ 28 1 Cd Stradivarius STR33985
I-Tal-Ya” in ebraico significa “Isola della rugiada divina” e l’assonanza con il nome d’Italia era ben presente già alle comunità israelitiche residenti negli stati italiani del tardo Medioevo e del Rinascimento e in quel mondo ebraico mediterraneo strettamente connesso al suo interno che risiedeva sulle varie sponde del Mare Nostrum in cui così attiva era la presenza delle città marinare italiane. Questo è il titolo scelto dal soprano Delilah Sharon Gutman e dal violinista Raphael Negri per questo omaggio alle tradizioni musicali degli ebrei d’Italia dal Medioevo fino alla modernità alla ricerca di linee di lungo periodo all’interno di questa tradizione e del suo più generale rapporto con la cultura musicale italiana.
I-Tal-Ya” in ebraico significa “Isola della rugiada divina” e l’assonanza con il nome d’Italia era ben presente già alle comunità israelitiche residenti negli stati italiani del tardo Medioevo e del Rinascimento e in quel mondo ebraico mediterraneo strettamente connesso al suo interno che risiedeva sulle varie sponde del Mare Nostrum in cui così attiva era la presenza delle città marinare italiane. Questo è il titolo scelto dal soprano Delilah Sharon Gutman e dal violinista Raphael Negri per questo omaggio alle tradizioni musicali degli ebrei d’Italia dal Medioevo fino alla modernità alla ricerca di linee di lungo periodo all’interno di questa tradizione e del suo più generale rapporto con la cultura musicale italiana.
Il programma proposto va in realtà oltre queste premesse iniziali presentando di fatto una personale rielaborazione – nell’insolita associazione fra canto e violino solo – di un vasto repertorio che va dalla Spagna moresca alle comunità yiddish dell’Europa orientale in una sorta di excursus antologico sulle musiche dell’identità ebraica europea. Pluralità di origine che corrisponde a pluralità di lingue – italiano, giudeo-spagnolo, yiddish –e di linguaggi musicali.
Molto forti i legami con una tradizione semitica e orientale – nel senso ampio del termine, comprendendo quel mondo che dai Balcani va all’Iran safavide in un continuo gioco di influenze reciproche – in cui si assommano la nostalgia per una terra sentita come la propria patria perduta e le strette relazioni che il mondo ebraico italiano manteneva con i correligionari dell’Impero Ottomano. In altri brani sono invece le suggestioni del Magreb e dell’Andalusia moresca a prevalere come in quelli di matrice iberica – “Kuando el rey Nimrod” – espressione di quella compente andalusa che tanto peso avrà nella definizione del mondo sefardita dopo le espulsioni della fine del XV secolo e la riunificazione con le comunità ottomano-balcaniche.
Fra i brani proposti si possono segnalare la purissima melodia a cappella della Canzone d’Amore che apre il programma e che si collega ad una tradizione di matrice renana passata poi al mondo yiddish; l’insolito canto di “Kyriah yefeifiah” con la voce che procede per sillabe scandite su suoni staccati del violino per poi aprirsi in una melodia ascendente di pretta matrice orientale; le struggenti melodie dell’Hatikvah, il canto composto nel 1882 da Naftali Herz Imber di cui sono presentate due versioni; lo “Shalom Aleichem” classico della tradizione cabalistica del XVIII secolo, riproposto in una versione di rara suggestione, dal cullante ritmo quasi di ninna nanna carico di struggente nostalgia.
Chiude il programma un brano italiano “La memoria parla un canto” composto dalla stessa Gutman su un testo di Haim Baharier in cui si assiste alla fusione degli elementi tradizionali, ancora pienamente riconoscibili ma ormai integrati in un linguaggio complessivamente moderno in cui si riconoscono i moduli della romanza da salotto dello scorso secolo.
La Sharon Gutman è interprete attenta e sensibile, pienamente coinvolta nello stile e nelle atmosfere dei brani proposti; è, inoltre, dotata di una voce piacevole e duttile e quindi capace di adattarsi alle caratteristiche di volta in volta diverse dei singoli brani. Negri sa mettersi pienamente a disposizione del canto e delle sue necessità facendo valere buone doti di solista nei brani per violino solo che si alternano al cantato e che spesso si distinguono per ritmi danzanti di derivazione popolare.