Teatro dell’Opera di Roma: “Il barbiere di Siviglia”

Teatro dell’Opera di Roma – Stagione Lirica 2015/2016
“IL BARBIERE DI SIVIGLIA”
Opera buffa in due atti su libretto di Cesare Sterbini dalla commedia omonima di Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais.
Musica di Gioachino Rossini
Il conte di Almaviva MERTU SURGU
Dottor Bartolo OMAR MONTANARI
Rosina TERESA IERVOLINO
Figaro JULIAN KIM
Don Basilio MIKHAIL KOROBEINIKOV
Fiorello VINCENZO NIZZARDO
Ambrogio SAX NICOSIA
Berta ELEONORA DE LA PENA
Un ufficiale FABIO TINALLI
Orchestra e coro del Teatro dell’Opera di Roma
Direttore Donato Renzetti
Maestro del coro Roberto Gabbiani
Fortepiano Marco Forgione
Regia scene e luci Davide Livermore
Costumi Gianluca Falaschi
Video D-WOK  – Effetti magici Alexander
Nuovo allestimento
Roma, 14 febbraio 2016    
Spettacolo presentato al Teatro dell’Opera di Roma in occasione della celebrazione del bicentenario della prima rappresentazione assoluta del Barbiere di Siviglia di Rossini, avvenuta al Teatro Argentina di Roma del Duca Sforza Cesarini nel febbraio 1816 con esito tumultuoso. Anche la prima di questa edizione per restare simpaticamente nel solco della tradizione, da quanto riferito dai presenti e da noi visto dalla diretta televisiva, è stata oggetto di vistose ed accese contestazioni. L’idea del regista sembrerebbe essere quella di inscenare una sorta di summa di “tutti i barbieri” succedutisi in questi duecento anni di ricchissima vita teatrale dell’opera, partendo dalla rivoluzione francese e da Beaumarchais, per giungere ai nostri giorni. L’idea in se è divertente ma viene sviluppata in maniera discontinua e con un eccessivo ricorso a effetti, citazioni, proiezioni che distraggono dall’ascolto musicale, dal seguire lo sviluppo della vicenda, costringendo lo spettatore ad un continuo lavoro di decodificazione che probabilmente ha indispettito. Lo spettacolo inizia con l’animazione della sinfonia con un vorticoso susseguirsi di proiezioni, passando dalle nuvole che ricordano l’inizio delle trasmissioni RAI ai tempi del bianco e nero, per giungere ad una serie di ritratti che accomuna monarchi di vera nobiltà a dittatori sanguinari emersi dalle pieghe della storia, tutti simpaticamente sbarbati e poi decapitati probabilmente da un Figaro del momento, in un gioco di rubinetti che spargono sangue. Un topo, o meglio un “sorcio” come si sarebbe detto un tempo a Roma, si aggira per i meandri della storia cercando la strada dentro un labirinto, attraversando più volte il palcoscenico e straripando poi nel finale dell’opera in una sorta di invasione di massa. La testa del buon Luigi XVI, che va ricordato fu fatta cadere dai “Bartoli” borghesi e non dai “Figaro” popolani, ed il molto sangue sparso dalla cieca e crudele follia ideologica del Terrore e non solo, sembrano, dopo vari e tristemente ripetitivi passaggi, essere servite solo a costruire un mondo di topi, dominato dai toni del grigio e nel quale la futura contessa di Almaviva guarda la televisione in “ciavatte e vestaglietta” per dirla nella lingua del Belli, in un mondo di opaca e tecnologica volgarità e indifferente a tutto, anche al passaggio del topo che attraversando il palcoscenico spaventa solo Berta, la quale indossa una cuffia simile a quella di Maria Antonietta condotta al patibolo, ritratta nel celebre schizzo. Impossibile descrivere qui tutte le citazioni che affollano lo spettacolo. Una ghigliottina decapiterà il conte all’inizio dell’opera dopo la serenata quando avrà offerto delle brioches al posto della meritata ricompensa ai musicisti, riproposizione del celebre falso storico della propaganda antimonarchica liberal-massonica e per il quale l’ultima regina di Francia è ingiustamente ricordata, ma.. “la calunnia è un venticello”. Insomma lo spirito del sulfureo, divertito e disincantato cinismo rossiniano sicuramente nello spettacolo c’è ma non emerge dalla musica che risulta sopraffatta da questo eccesso di didascalismo visivo che è probabile abbia irritato il pubblico della prima. Per paradosso è un po’ come se in una sala da concerto si volesse “animare” l’esecuzione di una sinfonia o di un ciclo di lieder con una proiezione di diapositive o la vaporizzazione di essenze. Splendida la cura evidente della recitazione di tutti i cantanti e la scelta del ritmo dei recitativi e molto belli sono parsi gli effetti creati dall’uso delle luci. Francamente disturbanti invece sempre per l’ascolto musicale alcune altre trovate, come ad esempio i rumori dell’arto artificiale di un Don Basilio in formato Gheddafi, in un continuo e instancabile movimento incerto tra saluto romano, pugno chiuso e soprattutto, per fortuna, molto più simpaticamente “Mano” della famiglia Adams. In sintesi non si ritrova in questo allestimento al di la delle molte, forse troppe, ma anche divertenti e gustose trovate, una sintonia tra questo tono del grigio topo e i colori della musica e lo spirito delle parole. Se “l’aria dicea Giannina, ma io dico Rosina…” l’effetto può essere comico come nel caso di Bartolo ma può anche esitare in un qualche cosa di irrisolto, come in una sorta di gioco pirotecnico con la miccia malauguratamente bagnata. Prudente e cauta la direzione di Donato Renzetti al di la di qualche incidentale fuori tempo che in teatro può capitare, probabilmente più preoccupata di non perdere il contatto con un palcoscenico così’ impegnativo che non di cercare colori o creare atmosfere. E veniamo agli interpreti vocali di questo Barbiere cosi prepotentemente condizionato dall’impronta del regista. Il conte di Almaviva era interpretato dal tenore Mertu Surgu con tanto di riapertura del taglio di tradizione dell’aria finale, agilità eccessivamente nasaleggianti e soprattutto una dizione arruffata nei recitativi, piuttosto stridente in un simile contesto esecutivo. Bravissimo Omar Montanari nella parte di Bartolo che viene realizzata con divertente partecipazione ma sempre nella musica e nella cura della parola, in maniera del tutto scevra da vuoti e risaputi effettacci . Chiarissimi sono parsi la dizione e la scansione del sillabato rossiniano, bello il timbro vocale e soprattutto ottima la resa della complessa e, possiamo intuire, scomoda recitazione imposta dalla regia. Molto brava anche Teresa Iervolino quale Rosina per precisione nelle agilità, bel timbro, omogeneità della voce e recitazione spigliata ma incomprensibilmente imbruttita e soprattutto incattivita oltre il ragionevole dalla regia. Dalla bella voce, preciso musicalmente ma forse un po’ troppo diligentemente compitato, il Figaro di Julian Kim che risolve la parte più che onorevolmente ed in modo funzionale all’impostazione dello spettacolo. Incolore ma musicalmente corretto il don Basilio di Mikhail Korobeinikov evidentemente più occupato probabilmente suo malgrado a manovrare l’arto artificiale e a seguire i tempi della regia che non a trovare il carattere del celeberrimo personaggio. Discreti nelle parti minori Vincenzo Nizzardo, Sax Nicosia e Fabio Tinalli rispettivamente Fiorello, Ambrogio e un Ufficiale. Simpatica e ben cantata la Berta di Eleonora de La Pena. Al solito molto curato nella scelta dei testi il ricco ed interessante programma di sala, soprattutto in considerazione dell’occasione commemorativa dell’avvenimento. Al termine di questa terza recita, applausi cordiali per tutti per un allestimento che se probabilmente non meritava di essere fischiato, conferma tuttavia alcune perplessità, non solo di oggi, sul senso e l’opportunità di un eccessivo protagonismo della regia negli spettacoli operistici. Foto Yasuko Kageyama