Gioachino Rossini (1792 –1868): “Il barbiere di Siviglia, o sia L’inutil precauzione”

Dramma comico in due atti su libretto di Cesare Sterbini
Roma, Teatro Argentina, 20 Febbraio 1816 (ducento anni dalla prima rappresentazione) “Rossini trovò l’impresario del teatro Argentina a Roma vessato dalla polizia che gli respingeva tutti i libretti col pretesto che contenevano allusioni […]. In un momento di stizza l’impresario romano propose al governatore di Roma Il Barbiere di Siviglia, bellissimo libretto già musicato da Paisiello. Il governatore, che quel giorno era stufo di parlare di costumi e di decenza, accettò. Questa approvazione mise Rossini in grave imbarazzo, poiché ha troppo spirito per non essere modesto di fronte al vero merito. Si affrettò a scrivere a Paisiello a Napoli. Il vecchio maestro, al quale non mancava un certo fondo di guasconismo, tormentato inoltre dalla gelosia per il successo dell’Elisabetta gli rispose con molto garbo che applaudiva con vera gioia la scelta fatta dalla polizia papale. Contava ovviamente su un fiasco clamoroso. Rossini scrisse per il libretto una prefazione piena di modestia, mostrò la lettera di Paisiello a tutti i dilettanti di Roma e si accinse al lavoro. In tredici giorni finì la musica del Barbiere”.
Non si conosce con precisione in quanto tempo Rossini compose la partitura del Barbiere, cioè se in tredici giorni, secondo quanto affermato da uno dei suoi biografi, Stendhal, sulla base di una dichiarazione in tal senso dello stesso compositore, oppure se in un tempo più lungo, ma è certo che la composizione dell’opera fu abbastanza rapida, come si evince dal raffronto di alcune importanti date. Il 15 dicembre 1815 Rossini aveva stipulato con il duca Francesco Cesarini Sforza, proprietario del Teatro Argentina, un contratto con il quale si impegnava a scrivere un’opera buffa entro il 20 gennaio 1816 dietro corresponsione di un compenso di quattrocento scudi e delle spese di abitazione; cinque giorni dopo era stata scelta la compagnia dei cantanti, operazione necessaria per la definizione del soggetto in base alla prassi teatrale dell’epoca. Per questa compagnia, formata dal contralto Gertrude Righetti Giorgi, dal buffo Luigi Zamboni e dal famoso tenore sivigliano Manuel Garcia, in onore del quale si era deciso di scrivere un’opera di ambientazione spagnola, non fu facile trovare né un soggetto né un librettista dal momento che Jacopo Ferretti, precedentemente contattato, aveva proposto argomenti non soddisfacenti sia per Rossini che per la direzione del teatro. Alla fine il compositore decise di rivolgersi a Cesare Sterbini, già autore del libretto della sua opera Torvaldo e Dorliska, che doveva essere rappresentata, proprio in quei giorni, al Teatro Valle di Roma, concorrente del Teatro Argentina. Sterbini, al quale fu proposta come soggetto la commedia di Beaumarchais Le Barbier de Séville, già messa in musica da Paisiello su libretto di Petrosellini, accettò malvolentieri e iniziò la stesura del libretto il 18 gennaio 1816, completando il primo atto il 25 dello stesso mese e il secondo quattro giorni dopo. Nel frattempo l’impresario aveva deciso di spostare al 20 febbraio la prima della nuova opera rossiniana, lasciando al compositore poco tempo per completarla; intanto dalla stipulazione del contratto alla rappresentazione della prima erano trascorsi poco più di due mesi. Per la fretta sembra che Rossini abbia dimenticato di scrivere la canzone di Almaviva, Se il mio nome saper voi bramate, e che alle lamentele del tenore durante le prove abbia risposto: Vivaddio, io ne ho abbastanza; se proprio la vuoi, fattela da te. Questo aneddoto sembra, però, destituito di fondamento, in quanto il brano è certamente di Rossini e non del tenore Garcia, anche se furono numerosi, dati i tempi molto ristretti, i prestiti da altre sue opere, soprattutto dal Sigismondo, dall’Aureliano in Palmira, dal quale il Pesarese trasse la sinfonia, già riutilizzata nell’Elisabetta regina d’Inghilterra, la cui partitura, inoltre, gli fornì una parte della cavatina di Rosina.
Nonostante i numerosi prestiti da opere di successo, la prima fu un clamoroso fiasco, causato da un clima, reso teso dai sostenitori di Paisiello e dagli impresari del Teatro Valle oltre che da una serie di circostanze sfortunate che si verificarono nel corso della rappresentazione. Durante l’esecuzione della già citata canzone, Se il mio nome saper voi bramate, si spezzarono le corde della chitarra, con la quale il tenore si accompagnava, proprio in corrispondenza dell’ultima strappata prima della cadenza finale. Rossini non riuscì ad opporre nessun rimedio, come raccontò egli stesso:
“Io non avevo cembalo sotto le mani e gridai, ma invano, al violoncello di fare un arpeggio in pizzicato. Quell’animale mi guardò con un’aria di melenso, non capiva. Furioso dell’ingiustizia del pubblico, cominciai allora a sfidar le fischiate applaudendo io stesso il cantante, e il pubblico esasperato dalla mia audacia: «l’abito nocciola [era chiamato così con ironia Rossini che si era presentato con un improponibile abito color nocciola suscitando, all’inizio, una grande ilarità tra il pubblico] si fa beffe di noi!» E i fischi e le grida diventarono urli di rabbia”.
Come se non bastasse, Don Basilio, entrando in scena, per cantare la celeberrima Aria della calunnia, incespicò su un asse e cadde a terra ferendosi al naso, che sanguinò durante tutta la sua performance, mentre nel secondo atto entrò in scena un gatto, che fece fuggire dal palcoscenico, in preda allo spavento, la cantante Righetti Giorgi, suscitando l’ilarità tra il pubblico. Dopo la sfortunata prima del Barbiere, andato in scena, per evitare di urtare la suscettibilità di Paisiello, con il titolo Almaviva, ossia L’inutile precauzione, Rossini decise di non partecipare, ventiquattro ore dopo, alla prima replica credendo che l’opera sarebbe stata accolta con una nuova bordata di fischi, ma non fu così e, alla fine, il compositore, che già stava tranquillamente dormendo, fu svegliato dagli amici, costretto a rivestirsi e trascinato all’Argentina dove colse il meritato successo.
Diventata l’opera più famosa di Rossini, Il barbiere di Siviglia, nonostante i prestiti di origine eterogenea, presenta una straordinaria unità e una ricchezza di situazioni musicali rese attraverso strutture formali diverse, semplici e, al tempo stesso, complesse a partire dalla sinfonia che, formalmente organizzata secondo il classico schema rossiniano con un’introduzione lenta a cui segue l’Allegro in forma-sonata, si distingue per l’incisività del ritmo e per gli sbalzi d’umori tali che secondo Stendhal:
“L’ouverture del Barbiere divertì molto i romani; vi videro o credettero di vedervi i rimbrotti del vecchio tutore innamorato e geloso, e i lamenti della pupilla”.
Una straordinaria incisività ritmica caratterizza non solo la sinfonia, ma tutta l’opera sin dalla celeberrima cavatina di Figaro, Largo al factotum, con la quale il personaggio, uscito dalla penna di Beaumarchais, è presentato in tutta la sua vitalità, resa anche dal contributo efficace dell’orchestra che avvolge il canto con la sua energia ritmica. A questa vivacità ritmica si unisce una grande cura nelle scelte formali che contribuiscono a dare al personaggio connotazioni precise; a tale proposito sono esempi significativi la cavatina di Rosina, Una voce poco fa, nella quale la forma bipartita rappresenta perfettamente l’indole del personaggio, docile e, al tempo stesso, astuto e l’aria della Calunnia, in cui Don Basilio passa da un tono sottovoce idoneo a ricordarne l’iniziale, sottile diffusione all’esplosione orchestrale che rende bene gli effetti violenti e distruttivi della calunnia, quando essa è, ormai, portata in piazza.
Autentici capolavori sono i finali d’atto, dei quali quello dell’atto primo, in base ad una prassi consolidata nel genere buffo, è una piccola opera nell’opera per la grande varietà dei numeri che si susseguono fino alla stretta finale dove, nella confusione generale, l’unico a mantenere i nervi saldi è l’astuto Figaro, vero e proprio motore dell’opera. Infaticabile e inesauribile creatore di situazioni sceniche e di inganni finalizzati al raggiungimento dello scopo, il matrimonio del Conte d’Almaviva con la sua amata Rosina, Figaro appare come l’erede del servo plautino, astuto e, al tempo stesso, alter ego del compositore, che, come il suo personaggio, capace di districarsi in situazioni intricate, riesce a garantire l’unità ad un’opera eterogenea, ma ricca di contenuti.
L’ouverture
L’ouverture del Barbiere di Siviglia è un esempio di sinfonia trasferita da un’opera ad un’altra. composta originariamente per l’opera seria Aureliano in Palmira, la sinfonia fu riutilizzata per l’Elisabetta regina d’Inghilterra, prima di trovare la sua collocazione definitiva nel Barbiere. Formalmente organizzata secondo il classico schema rossiniano con un’introduzione lenta a cui segue l’Allegro in forma-sonata, si distingue per l’incisività del ritmo che informa il celeberrimo primo tema affidato agli archi, a cui si contrappone il secondo di carattere lirico affidato all’oboe, sostenuto dal clarinetto.

Atto primo
La scena si apre su una piazza della città di Siviglia
, dove Fiorello, servitore di Almaviva, ha radunato un gruppo di suonatori, ai quali intima di non far rumore (Piano, pianissimo), per accompagnare il Conte d’Almaviva, che canta una serenata (Ecco ridente in cielo) alla bella Rosina sotto il balcone della casa dove la donna è tenuta nascosta dal suo geloso tutore Don Bartolo. La serenata del Conte non sortisce alcun effetto e l’orchestrina si scioglie facendo un rumore tale da infastidire Almaviva, ormai senza alcuna speranza, mentre si sente la voce di Figaro, che si presenta al pubblico, cantando Largo al factotum. Figaro è una vecchia conoscenza del Conte, al quale può tornare molto utile, in quanto ha libero accesso nella casa di Don Bartolo essendone il factotum. Mentre i due discutono, Rosina riesce a gettare per il Conte dal balcone un biglietto, nel quale chiede al suo ignoto spasimante il nome, il suo stato sociale e le sue intenzioni. Nonostante l’intervento di Don Bartolo, il biglietto giunge a destinazione e in assenza del vecchio tutore, il Conte, su suggerimento di Figaro, canta una canzone (Se il mio nome saper voi bramate), nella quale, però, cela la sua vera identità dietro il falso nome di un fantomatico Lindoro, povero, ma innamorato, per evitare che Rosina si possa innamorare dei suoi titoli nobiliari. Rosina non riesce a rispondere al suo Lindoro, perché vengono chiuse bruscamente le finestre e il Conte, deciso ad introdursi nell’appartamento con qualche stratagemma, promette a Figaro una lauta ricompensa a patto che possa aiutarlo nel suo intento; il barbiere, felice al pensiero del guadagno, accetta di buon grado (All’idea di quel metallo) e suggerisce al Conte di travestirsi da soldato di un reggimento di stanza in quel periodo a Siviglia e di introdursi nella casa con il pretesto di un ordine di alloggio presso Don Bartolo.
La scena si sposta nella casa di Don Bartolo, dove Rosina, felice e lusingata per l’amore di Lindoro, l’unico che può sottrarla all’odiato tutore, esprime la sua decisione di coronare il suo sogno d’amore con il giovane (Una voce poco fa). Nel frattempo giunge Figaro, che inizia a parlare con la donna e poco dopo entra Don Bartolo, deciso ad affrettare le nozze con la sua pupilla, preoccupato per la presenza del Conte d’Almaviva, notoriamente innamorato della donna, a Siviglia. Il vecchio tutore convoca Don Basilio, che gli suggerisce di calunniare il Conte per rovinarne la reputazione (La calunnia è un venticello), ma, nel frattempo, Figaro, conosciute le intenzioni di Don Bartolo, informa la fanciulla, che, a sua volta, chiede notizie di Lindoro. Figaro le suggerisce di scrivere un biglietto per il suo spasimante, ma Rosina, che finge di non avere capito pienamente le intenzioni di Lindoro (Dunque io son… tu non m’inganni), ne estrae uno già pronto suscitando la meraviglia del barbiere che capisce di non essere un buon maestro di malizia nei confronti di una donna. Don Bartolo, avendo scoperto che Rosina aveva scritto un biglietto, alle scuse avanzate dalla donna risponde che è impossibile imbrogliare un uomo come lui (A un dottor della mia sorte).
Le sorprese non sono ancora finite per il povero Bartolo, che, poco dopo, vede introdursi in casa sua un soldato ubriaco, il Conte d’Almaviva ovviamente, che, sotto mentite spoglie, cerca di incontrare la sua amata (Ehi di casa… buona gente). Tra insulti e confusione il finto soldato consegna l’ordine di alloggio a Don Bartolo e nel frattempo si fa riconoscere da Rosina, alla quale consegna un biglietto. Nella confusione generale interviene la forza pubblica, attirata dal baccano che proviene dalla casa di Don Bartolo (Fermi tutti. Niun si muova); dopo un sommario e confuso interrogatorio in cui tutti spiegano le loro ragioni contemporaneamente, l’ufficiale decide di arrestare il falso soldato, che, però, rivela la sua vera identità mostrandogli un documento e impedendo, così, l’arresto. Tutti restano sorpresi (Freddo ed immobile come una statua) tranne Figaro che non perde occasione per manifestare la sua ironia.


Atto secondo
Ancora sorpreso per i recenti avvenimenti, Don Bartolo vede presentarsi in casa un sedicente maestro di musica, Don Alonso, che dice di esser stato mandato da Don Basilio malato per sostituirlo nella lezione di musica da impartire alla giovane (Pace e gioia il ciel vi dia); in realtà il maestro non è altri se non il Conte d’Almaviva travestito che cerca di guadagnarsi la fiducia di Don Bartolo mostrandogli il biglietto scritto dalla fanciulla a Lindoro e aggiunge che avrebbe instillanto in lei il sospetto che il nobiluomo si stesse prendendo gioco di lei, facendole credere che aveva ricevuto quel biglietto da un’altra amante del Conte. Rosina, condotta dal tutore nella stanza, riconosce immediatamente il suo amato e canta un rondò, tratto dall’Inutil precauzione (Contro un cor che accende amore), con il quale indirizza parole tenere al suo Lindoro. Don Bartolo, infastidito da questa musica che giudica moderna, canta un’arietta dei suoi tempi (Quando mi sei vicina), modificando il nome della donna, contenuto nel testo, Giannina, in Rosina. Intanto giunge Figaro che attira Don Bartolo in disparte con la scusa della barba, e, poco dopo, arriva inatteso Don Basilio, che si lascia convincere da una borsa di denaro datagli dal Conte a fingersi malato (Don Basilio!…). Don Basilio va via, ma Don Bartolo, nonostante i tentativi di Figaro di distrarlo, si accorge dell’inganno e, dopo aver smascherato i due amanti che stanno progettando un piano per la fuga della fanciulla, caccia tutti in malo modo. Chiamati i servi, Ambrogio e Berta, Bartolo ordina al primo di andare da Don Basilio e di sorvegliare la fanciulla alla seconda, che canta un’arietta (Il vecchiotto cerca moglie) sul carattere sconvolgente dell’amore che non lascia tranquillo nessuno, nemmeno una persona anziana come lei. Nel frattempo Don Bartolo, dopo aver contattato Don Basilio e aver scoperto che Don Alonso era un impostore, mostra alla fanciulla il biglietto scritto da lei, facendole credere che Lindoro non era altri che un intermediario del Conte. La donna, sentitasi ingannata, decide di sposare il tutore per dispetto, quando giunge un temporale, ed è furibonda e delusa quando il Conte e Figaro, bagnati fradici, entrano dalla finestra per rapirla. Il Conte, felice per aver scoperto che Rosina non mirava ai suoi titoli e alle sue ricchezze, rivela la sua identità (Ah! qual colpo inaspettato); la felicità dei due amanti è intensa da renderli sordi agli incitamenti di Figaro a scappare per mezzo della scala appoggiata al balcone che era servita a loro e che era stata rimossa da Don Bartolo. Nel frattempo giungono Don Basilio e il notaio che avrebbe dovuto celebrare le nozze di Rosina con Don Bartolo, ma il Conte convince Don Basilio con del denaro a fargli da testimone; le nozze tra Rosina e il Conte sono ormai celebrate, quando giunge Don Bartolo con un magistrato e i soldati che avrebbero dovuto arrestare i complici, dei quali aveva cercato di evitare la fuga togliendo la scala dal balcone e accelerando, di fatto, con questa inutil precauzione, il matrimonio. Alla fine tutti cantano la gioia di questo amore (Di sì felice innesto).