Live at Wigmore Hall. Joseph Haydn: “Arianna a Nasso”; Gioachino Rossini: “Beltà crudele”, “La danza”; Francesco Santoliquido: “L’assiolo canta”, “Alba di luna sul bosco”, “Tristezza crepuscolare”, “L’incontro” (I canti della sera); Ernesto De Curtis: “Non ti scordar di me”; Stephen Foster: “Beautiful dreamer”; Jerome Kern: “The siren’song”, “Go little boat”; Havelock Nelson: “Lovely Jimmie”; Celius Dougherty: “Love in the dictionary”; Jerome Kern: “Lazy afternoon”; William Bolcom: “Amor”; Heitor Villa-Lobos: “Food for thought”; Jerome Kern: “Can’t help lovin’dat man”; Richard Rodgers: “My funny Valentine”; Jerome kern: “All the things you are”; Irving Berlin: “I love a piano”; Harold Arlen: “Over the rainbow”. Joyce DiDonato (mezzosoprano); Antonio Pappano (pianoforte). Registrazione: Londra, Wigmore Hall, 6 & 8 settembre 2014. 2 CD Erato 0825646107896
Testimonianza di un impegnativo concerto londinese in occasione dei BBC Proms, questo doppio CD Erato vede protagoniste due delle figure più note dell’attuale scena musicale internazionale il direttore d’orchestra Antonio Pappano, qui in veste di pianista accompagnatore, ed il mezzosoprano Joyce DiDonato, una delle maggiori virtuose belcantiste della sua generazione. Purtroppo il risultato non è forse all’altezza delle attese soprattutto per quanto riguarda la DiDonato che, pur essendo sempre la straordinaria artista che tutti conosciamo, sembra, tuttavia, al contempo mostrare qualche riga sul piano prettamente vocale, forse conseguenza di un repertorio troppo pesante – e non ideale – per la sua delicata voce di mezzosoprano d’agilità con cui si è cimentata nelle ultime stagioni. Il settore grave – che della DiDonato è sempre stato il punto più problematico – appare a tratti forzato e poco naturale ma anche le salite all’acuto presentano sintomi un po’ preoccupanti sulla salute vocale della cantante con suoni che tendono ad impoverirsi di armonici o ad indurirsi dando l’impressione di una certa fissità. Nulla che comprometta in modo grave la riuscita complessiva – per altro i brani proposti raramente presentano autentici scogli vocali – ma che dovrebbero rappresentare un campanello dall’allarme in vista di futuri impegni. Posta in apertura del programma la cantata “Arianna a Naxos” Hob. XXVIb:2 di Franz Joseph Haydn è il brano più corposo e interessante presentato. Ampia composizione da concerto di un’estetica per molti aspetti ancora post-gluckiana organizzata in due ampie sezioni drammatiche formate da un recitativo declamato seguito da un’ampia aria, il tutto giocato su contrapposizioni di modi e d’affetti. La DiDonato pur con qualche difficoltà vocale – qui più evidente che nel resto del programma, viste le maggiori richieste sul piano vocale – ha facile gioco a far valere la sua personalità e le sue doti di interprete anche se la pronuncia italiana non è sempre chiarissima specie nei recitativi dove questa dovrebbe essere condizione primaria. Resta il dubbio da parte dello scrivente se oggi abbia un senso proporre una cantata di Haydn con il semplice accompagnamento pianistico – e neppure con un fortepiano ma con un moderno pianoforte da concerto – lontanissimo dalla prassi esecutiva e dal gusto estetico del tempo anche se vanno riconosciute a Pappano notevoli doti di accompagnatore e una capacità di evidenziare con sicuro istinto teatrale le differenti sezioni.
Di Rossini – il compositore cui più è legata la carriera della DiDonato – sono presenti solo due brani. La celeberrima “La danza”, staccata da Pappano con tempi autenticamente vorticosi, e la meno nota ma molto interessante “Beltà crudele” caratterizzata da un universo espressivo e vocale molto prossimo a quello di certi ruoli seri rossiniani e che non si faticherebbe ad immaginare sulle labbra ad esempio di Elena ne “La donna del lago” tanto per citare un ruolo per il quale la DiDonato sarà sempre ricordata. Seguono i “Canti della sera” del cremonese Francesco Santoliquido, generazione dell’ottanta, caratterizzati da una vocalità tutta legata al mondo della giovane scuola fra Puccini e Zandonai. La DiDonato non è nel suo terreno ideale né come impostazione vocale – l’impressione è quella che ci vorrebbe un autentico mezzosoprano di taglio post-verdiano e non una delicata voce di soprano corto come quella della DiDonato – né stilistico, ma si affida al mestiere e all’esperienza per portar in porto una lettura corretta e che, se non altro, ha il merito di proporre all’ascolto brani eseguiti molto raramente. Meglio per spontaneità e naturalezza il “Non ti scordar di me” di De Curtis che chiude la sezione italiana. Tutta anglosassone la seconda parte del programma con brani da musical, canzoni popolari irlandesi e brani americani di derivazione jazzistica. Qui la DiDonato gioca al massimo la parte della diva concedendosi scambi di battute con Pappano in uno studiato gioco delle parti che sicuramente doveva funzionare molto bene in scena ma che non alleggerisce la monotonia complessiva di questa sezione del programma con la quale si poteva essere più parchi. Affrontati da Pappano con tocco quasi impressionistico – si ascoltino le sonorità quasi alla Debussy di “Beautiful Dreamer” di Forster – pur nelle differenze di stile e atmosfera (si va dai toti popolari a vagamente folkloristici di “Lovely Jimmie” di Nelson al gusto ormai pienamente jazz di “Amor” di Bolcom fino alla teatrale energia del Villa-Lobos di “Food for Thought) rimane la sensazione di un repertorio un po’ troppo lontano dal gusto italiano ed europeo che si stenta ad apprezzare in così massiccia dose. Resta il fatto che è innegabile che per ironia e raffinata eleganza i due interpreti si muovano con un’assoluta e affascinante leggerezza in questi brani (anche se qualche difficoltà vocale della DiDonato nei passaggi più jazzistici si nota). Chiude l’intero programma “Over the Rainbow” di Arlen, resa celeberrima dall’inserimento nella colonna sonora del film “Il mago di Oz” (1939) in cui resta qualche dubbio per l’eccessiva lentezza dei tempi scelti da Pappano.
“Stella di Napoli” – Bel Canto Opera Arias. Giovanni Pacini: “Ove t’aggiri, o barbaro” (Stella di Napoli); Vincenzo Bellini: “Dopo l’oscuro nembo” (Adelson e Salvini); Michele Carafa: “Oh, di sorte crudel” (La sposa di Lammermoor); Gioachino Rossini: “Riedi al soglio” (Zelmira); Saverio Mercadante: “Se fino al cielo ascendere” (La vestale); Gaetano Donizetti: “Par che mi dica ancora” (Elisabetta al castello di Kenilworth); Vincenzo Bellini: “Deh! tu, bell’anima” (I Capuleti e i Montecchi); Carlo Valentini: “Se il mar sommesso mormora” (Il sonnambulo); Gaetano Donizetti: “Deh! Tu di un’umile preghiera” (Maria Stuarda); Giovanni Pacini: Gran scena finale (Saffo). Joyce DiDonato (mezzosoprano), Orchestra e Coro de l’Opéra National de Lyon. Riccardo Minasi (direttore). Registrazione: Opéra de Lyon, ottobre 2013. Total Time: 72′ 15. 1 CD Erato 08256 46365623
La Napoli dei primi decenni dell’Ottocento aveva mantenuto, nonostante le vicissitudini storiche vissute al passaggio del secolo, il suo ruolo di grande capitale culturale europea specie nell’ambito musicale. Ed a quella Napoli è dedicato il recente CD di Joyce DiDonato che presenta una serie di brani, alcuni in prima registrazione assoluta, di autori più o meno noti attivi sulla scena napoletana in quel momento storico (i brani si datano fra il 1822 e il 1825). La parte strumentale è affidata ad uno dei complessi più interessanti sulla scena europea come quelli dell’Opéra National de Lyon mentre decisamente di routine la direzione di Riccardo Minasi molto interessante da leggere nelle suggestioni delle note di accompagnamento al CD ma che poi all’ascolto risultano troppo spesso disattese – su tutti i cori della “Maria Stuarda” – in teoria giustamente ricondotti all’ambito della musica sacra ma poi eseguiti con lo stesso spirito di un coretto da opera buffa. Il titolo al disco – scelto forse per la diretta evocazione dell’ambiente scelto – è quello di un’opera praticamente ignota di Giovanni Pacini “Stella di Napoli” la cui aria “Ove t’aggiri, o barbaro” apre il programma. Il taglio del brano è brillante su un ritmo di polacca unito a soluzioni di carattere vagamente “folkloristico”. La DiDonato è bravissima nei rapidi passaggi di coloratura; la voce è morbida, flautata, carezzevole, gli acuti sicuri e ben proiettati e solo in basso risulta un po’ vuota. L’unico dubbio è sul taglio dell’aria che, pur essendo brillante, è sempre un brano di un’opera seria mentre la direzione, in particolar modo, sembra virarla troppo verso atmosfere “comico-brillanti”. Due i brani belliniani: per primo è proposto “Dopo l’oscuro nembo” da “Adelson e Salvini” lavoro giovanile del compositore catanese che se da un lato è una sorta di incunabolo di “Oh! Quante volte” de “I Capuleti e Montecchi” dall’altra evidenzia chiaramente i debiti del giovane Bellini con un certo repertorio rossiniano (“Otello” in primis) e la DiDonato – da grande rossiniana – evidenzia molto bene quest’aspetto. E’ invece sostanzialmente mancato l’altro brano proposto “Deh! Tu bell’anima” da “I Capuleti e Montecchi”; in primo luogo la tessitura di Romeo è decisamente bassa per l’attuale evoluzione vocale (marcatamente sopranile) della cantante che manca anche del colore autenticamente contraltile richiesto dal ruolo cui tenta di compensare caricando la componente espressiva con il rischio di scivolare fuori da una corretta prassi stilistica. Di Rossini è presente solo “Riedi al soglio” da “Zelmira” composta nel 1822 per Isabella Colbran; è innegabile che la voce della DiDonato sia quella che più ha saputo ricreare le caratteristiche così particolari della creatrice del ruolo e il risultato sarebbe stato migliore con una direzione meno superficiale e con due cantanti più accettabili dell’Iro di Réne Mathieu e del Polidoro di Nabil Suliman decisamente troppo modesti nei loro pertichini. Due i brani di Donizetti: la virtuosistica “Par che mi dica ancora” da “Elisabetta al castello di Kenilworth” di taglio ancora tutto rossiniano e dall’insolita orchestrazione comprendente fra l’altro una glassarmonica a tasti e la scena della preghiera della “Maria Stuarda” dove pur senza disporre di una voce di autentico soprano drammatico d’agilità trova accenti di grande intensità emotiva uniti ad un canto di rimarchevole purezza che avrebbe avuto maggior risalto se la direzione non virasse piuttosto verso “L’elisir d’amore” (specie nelle pagine corali). Di rarissimo ascolto ma di rimarchevole interesse sono: “Se fino al cielo ascendere” da “La Vestale” di Mercandante dove all’interno di un gusto ormai romantico si recuperano moduli di una purezza tutta neoclassica; “Oh di sorte crudel” da “La sposa di Lammermoor” di Carafa, sullo stesso tema dell’opera di Donizetti ma antitetica come taglio espressivo essendo qui la scena della follia svolta su una melodia dolente e cantabile fortemente influenzata da Bellini di cui il Carafa fu amico e fervente ammiratore, e, infine, “Se il mar sommesso mormora” del lucchese Carlo Valentini – allievo di Pacini – il cui clima semi-serio calza come un guanto per la voce e le doti espressive della Di Donato. Posto in chiusura il grande finale della “Saffo” di Pacini richiede un giudizio più dettagliato. Pagina stupenda, di assoluta ricchezza formale e intensità drammatica è però pensata per una grande prima donna tragica e per un autentico soprano drammatico d’agilità; purtroppo la DiDonato non è nessuna delle due cose così che, pur nell’innegabile correttezza di fondo – tranne che per qualche durezza nel recitativo –, il tutto resta troppo freddo e costruito per essere veramente appassionante. Ritroviamo brevi interventi dei cantanti già ricordati nella “Zelmira” cui si aggiunge il mezzosoprano Héloise Mas senza che nessuno lasci però particolari tracce.