Roberto Ripesi sarà protagonista come basso (Colline e Don Magnifico) e regista di Bohème di Puccini e Cenerentola di Rossini, in programma nei teatri La Regina di Cattolica, La Fenice di Senigallia, Sanzio di Urbino, tra il 30 gennaio e i prossimi mesi di febbraio e marzo.
Maestro Ripesi, la sua carriera musicale è caratterizzata da un impegno continuo nei più diversi versanti (Cantante in complessi corali e strumentali, interprete di numerose opere liriche, oratori e altro). Ha firmato la regia di una decina di lavori teatrali. Si sente un po’ come un “Giano bifronte”, da una parte il canto e dall’altra la regia?
Assolutamente no, perché amando contemporaneamente la musica e il teatro, riesco a trovare un giusto equilibrio. Gli spazi, i tempi, i movimenti scenici, i movimenti dei cantanti e dei coristi, rientrano nel mondo magico del teatro, che vuole, nella sua rappresentazione reale, cercare di immedesimare lo spettatore nell’opera in scena.
Parliamo un momento di Bohème, che debutterà il 30 gennaio alle 21,00 al teatro La regina di Cattolica. Quali sono le sue idee registiche?
La caratteristica principale è che sarà una Bohème moderna, ambientata nel 2016, fra i nuovi poveri della nostra società. Quattro disoccupati occupano abusivamente una casa occupata, senza luce, riscaldamento, acqua. Nel mio caso, che interpreto il filosofo Colline, devo entrare in un personaggio miserevole come il pittore, il poeta e il musicista, sdrammatizzando però una esperienza esistenziale, passando da una dama ad un’altra, sciorinando con voce soave e con le labbra strette al cuore, tutte le galanterie e i madrigali che si trovavano nell’Almanacco delle Muse. E se il quadro secondo è l’apoteosi dell’amore, il quadro terzo, inventato solo da Illica è basato su Barriere, la scelta del dazio. Il mutamento urbanistico e il passaggio tra città e campagna, che già Flaubert individuò nel suo capolavoro L’Educazione sentimentale. La barriera, l’ambiente malinconico si accompagnano con l’evocazione orchestrale dei Cameristi del Montefeltro diretti dal maestro Massimo Sabbatini. E solo nel finale quella gioia, quel senso ludico, trasformati in una riflessione incosciente di gente che non ha niente da perdere, porta ad un finale di morte, quella del personaggio più puro e fragile, Mimì.
Più che mai largo ai sentimenti espressi con il canto e la musica dominano la più nota opera di Puccini?
Certamente, la solidarietà e l’amicizia hanno il sopravvento su una scenografia scarna con un solo letto e un baldacchino e la luce delle candele. Solidarietà che anche oggi ritorna attuale di fronte alle ondate dei poveri, emarginati, senza tetto’’.
Dopo Bohème sarà la volta della Cenerentola di Rossini?
Per quest’opera di Rossini, dramma giocoso in due atti, ci sarebbe molto da dire. Vorrei partire da come ho concepito la regia. Ho voluto realizzare una scenografia agile con un muro in tre pari girabile che crea sostanzialmente due locations: la casa di don Magnifico, e la reggia con il trono di don Ramiro. Anche quest’opera come la gran parte delle opere rossiniane è giocata sugli equivoci e la figura di Dandini è proprio il simbolo di questo trasformismo, una specie di Barbiere di Siviglia, forse meno simpatico ma bizzarro e arruffone, turco in Italia. Ma nonostante ripensamenti e rifacimenti del Ferretti, Rossini compositore non sempre costante nella sua vena creativa, riuscì a trovare con quest’opera, per troppo tempo rimasta nel dimenticatoio, qualcosa che superasse il convenzionalismo dell’opera buffa e si spostasse velocemente dal giocoso al drammatico. Il coro della Città futura diretto dal maestro Giberto del Chierico e l’orchestra dei Cameristi del Montefeltro diretti dal maestro Stefano Bartolucci, creeranno l’architettura musicale, un palinsesto fra il fiabesco e il ludico intramezzati da numerosi crescendi rossiniani’’
> Paolo Montanari