Auditorium Enrico Caruso, Gran Teatro Giacomo Puccini
Cerimonia di consegna del 44° Premio Puccini al tenore Jonas Kaufmann
Soprano Francesca Cappelletti
Mezzosoprano Carlotta Vichi
Tenore Simone Di Giulio
Baritono Raffaele Raffio
Basso Davide Mura
Pianoforte Massimo Morelli, Sandro Ivo Bartoli
Musiche di Giacomo Puccini
Mezzosoprano Carlotta Vichi
Tenore Simone Di Giulio
Baritono Raffaele Raffio
Basso Davide Mura
Pianoforte Massimo Morelli, Sandro Ivo Bartoli
Musiche di Giacomo Puccini
Torre del Lago, 18 dicembre 2015
Il colpo diretto, quello che avrebbe potuto mettere a tacere tutta l’acredine delle polemiche estive sorte intorno alla sua nomina a Presidente del Festival Pucciniano, Alberto Veronesi ha sicuramente cercato di sferrarlo, anche se il risultato, per quanto apprezzabile, non è stato di quelli tali da mandare definitivamente al tappeto avversari e detrattori. L’annuncio, un mese fa circa, che Jonas Kaufman, il tenore più richiesto e pagato del momento sarebbe venuto a Torre del Lago per ricevere il 44° Premio Puccini era rimbalzato immediatamente fra i vari social ottenendo vasta eco anche all’estero, effetto impensabile per la stragrande maggioranza delle sonnacchiose edizioni degli ultimi anni, con melomani subito dichiaratisi disposti a fare centinaia di chilometri e a pagare un biglietto d’ingresso non indifferente pur di vedere il divo. E appunto di vedere, e non di ascoltare, si è trattato. Capisco appieno la delusione degli ammiratori, ma i comunicati stampa non avevano mai menzionato la possibilità che il tenore avrebbe cantato. È comprensibile il “wishful thinking, espressione intraducibile che però rende a meraviglia il desiderio che avvenga qualcosa che si sa esser irrealizzabile o altamente improbabile, degli ammiratori del tenore tedesco, ma era pressoché inverosimile che Kaufmann aprisse bocca per cantare; la conferma si è avuta dal comportamento della manager che pur non essendo sul palcoscenico dirigeva l’azione con un linguaggio del corpo e gesti che non ammettevano repliche. Prima dell’arrivo del premiato, arrivato con un’ora esatta di ritardo a causa di un volo da Parigi non partito in orario (questa almeno la versione ufficiale), il presentatore Enrico Stinchelli ha fatto buon uso di tutta la sua esperienza per calmare ed intrattenere il pubblico certamente non troppo ben disposto dopo che per un’ora intera era stato tenuto all’oscuro di tutto; è venuto poi il momento dell’esibizione di un quintetto di giovani artisti che hanno preso parte all’Accademia del Festival Puccini, accompagnati al piano da Massimo Morelli. Fra loro il più maturo è parso il baritono Raffaele Raffio che ha interpretato l’aria di Michele dal Tabarro con bel timbro, fraseggio articolato e notevole senso ritmico. Le voci gravi, è ben risaputo, non erano molto amate da Puccini, per cui la scelta di un basso dovrà per forza di cose cadere su “Vecchia zimarra” dalla Bohème, intonata con molte acerbità da Davide Mura; ancora più ristretto il repertorio di un mezzosoprano, che ha costretto Carlotta Vichi a piombare negli abissi del breve monologo della Zia Principessa in Suor Angelica, davvero troppo grave per una vocalità ben emessa e sicuramente interessante e da seguire, ma non del tutto a proprio agio in quelle profondità contraltili. Considerato il profluvio di arie scritte per soprano, la decisione di Francesca Cappelletti di cantare “O mio babbino caro” da Gianni Schicchi è un po’ come se un soprano si presentasse ad un concerto dedicato a Mozart con una delle arie di Despina: in ogni caso non è sembrata pronta per la grande ribalta. Il tenore Simone Di Giulio, che ha offerto “Ch’ella mi creda” dalla Fanciulla del West ha messo in luce un materiale naturale di un valore che tuttavia necessita ancora di seria levigazione e messa a fuoco. Alla fine della serata i cinque cantanti hanno interpretato una riduzione del finale della Bohéme, a partire dal duetto Rodolfo/Marcello sino alla conclusione, e data la mancanza di un altro soprano Carlotta Vichi ha cantato i brevi interventi, tutti di tessitura medio grave di Musetta. Nonostante quanto sia stato detto in palcoscenico, la prima Musetta non era però un mezzosoprano: Camilla Pasini, la creatrice del ruolo, era infatti un soprano che aveva in repertorio Violetta, Norina, Suzel e persino Tosca, Elsa e Wally; probabilmente la confusione è nata dal fatto che una sorella della cantante, Enrica, era stata un mezzosoprano di una certa fama (e per finire, una terza sorella, Lina ebbe una buona carriera da soprano wagneriano). L’altra offerta musicale è stata l’esecuzione di Sandro Ivo Bartoli di “Piccolo Valzer”, un breve brano per pianoforte composto da Puccini nel 1894 in occasione del varo della nave da guerra “Re Umberto”, e che altro non è se non il “Valzer di Musetta” staccato con un tempo ancora più lento, e poco più tardi riciclato in Bohème. Nel frattempo era arrivato il divo, annunciato da un video di “E lucevan le stelle” proiettato su un maxi schermo. Se non ha cantato, ha comunque dimostrato di aver la lingua sciolta e una sorprendente padronanza della lingua italiana, appresa, come ha ricordato, da piccolo durante le numerose vacanze sulle spiagge italiane. Non si è risparmiato, dimostrandosi abile conversatore non privo di uno spiccato senso dell’umorismo, ha risposto a (quasi) tutte le domande di Stinchelli, che ha cercato di strappargli dichiarazioni pro o contro il teatro di regia, cui Kaufmann ha diplomaticamente dichiarato che secondo lui ci sono compositori come Wagner, Mozart e Strauss che tollerano maggiormente allestimenti non tradizionali, e che comunque anche per Verdi o Puccini, nonostante adesso si trovi in una posizione di forza superiore a quasi ogni regista in circolazione, è sempre disposto senza preconcetti a prendere in considerazione quello che gli propongono di fare, aggiungendo che spesso il pubblico reagisce in maniera diversa da quello che lui stesso aveva previsto, nel bene e nel male. Altrettanta diplomazia ha dimostrato allorché Stinchelli ha ripetutamente cercato di fargli dire il suo parere delle prestazioni dei giovani cantanti, ed ha infine tenuto una breve masterclass sulla corretta emissione vocale e sul controllo del fiato, svelando un piccolo segreto su come sia solito riscaldare la voce (in pratica vocalizzi “muti” che lo portano in chiave di soprano, l’unico momento in tutta la serata in cui si è sentita per qualche frazione di secondo la preziosa voce cantata, o meglio mugolata). Alla fine della premiazione, conferita dal sindaco di Viareggio Giorgio Del Ghingaro e da Alberto Veronesi, Kaufmann non si è sottratto alla ressa di ammiratori, facendosi fotografare e immortalare in “selfie”, ma, come mi è stato da più parti riferito (io non sono andato sul palco) rifiutandosi di firmare autografi sotto stretta sorveglianza della manager, nonostante le rimostranze di alcuni spettatori che con i trenta euro spesi per l’accesso avrebbero desiderato almeno un CD autografato. Per quanto mi riguarda l’aspetto più stimolante dell’evento è stato il venire a conoscenza di questa personalità da vero intrattenitore del tenore; il vero colpaccio Veronesi potrebbe segnarlo convincendolo a eseguire un concerto durante il Festival: c’è riuscito a suo tempo con Renée Fleming, quindi chissà…