Torino, Teatro Regio: “Carmina Burana”

Torino, Teatro Regio, Stagione lirica 2015-16
“CARMINA BURANA”
Cantiones profanae dal Monastero Beneditktbeurn per soli, coro e strumenti.
Musica di Carl Orff
Orchestra e coro del Teatro Regio di Torino
Direttore Jonathan Webb  
Maestro del coro Claudio Fenoglio
Soprano Laura Claycomb
Baritono Thomas Johannes Mayer
Tenore John Bellemer
Regia, scene e video Mietta Corli
Costumi Manuela Bronze,  Laura Viglione
Coreografia Marcelo Ferreira
Luci Marco Filibeck
Produzione originale Círcuito Portuense de Ópera (Oporto)
Torino, 19 dicembre 2015  
Spesso eseguiti solo in forma di concerto, i “Carmina Burana” ritrovano nell’esecuzione scenica la propria autentica natura, quella originariamente pensata dall’autore e troppo spesso disattesa nella prassi esecutiva. Merito quindi del Teatro Regio di averli proposti in un’edizione teatralmente molto riuscita anche se resta il dubbio che la fin troppo limitata durata della composizione non avrebbe reso più opportuno associarla ad un altro titolo, magari ad un’esecuzione complessiva dei “Trionfi” che così raramente si ha la fortuna di ascoltare nella loro interezza.
La parte visiva – firmata da Mietta Corli per regia, scene e proiezioni video, Manuela Bronze e Laura Viglione per i costumi e Marco Filibeck per le luci – rappresentava sicuramente uno dei punti di forza dello spettacolo che si presenta modernissimo nella concezione e nelle componenti scenotecniche ma al contempo rispettoso del contesto storico e dell’immaginario visivo dell’opera, senza forzature o inutili stravolgimenti. L’impianto scenico più che essenziale si componeva di pannelli trasparenti spesso disposti su più livelli che facevano da campo su cui venivano proiettati i diversi ambienti evocati dal testo. Ogni sezione era aperta da un fotogramma di un codice miniato da cui le immagini sembravano prendere vita. Sono stati scelti nell’ordine i seguenti fotogrammi: la Tavola sciaterica di Athanasius Kircher del 1636 di cui venivano animate le rotazioni dei corpi celesti per lo spazio astratto del prologo è stata scelta; una foresta lussureggiante per Primo Vere; uno spazio vuoto, astratto che riproduce semplicemente se stesso per In taberna, il non luogo in cui le differenze sociali e culturali si annullano, e, infine, cangianti scenari di una città medioevale ed architetture di taglio giottesco per Cour d’Amour. I costumi semplici e lineari non mancano di efficacia e si richiamano direttamente alle miniature del XIII e XIV secolo soprattutto a quelle di taglio più popolare, legate al mondo degli scriptoria universitari che poi è lo stesso da cui nasce l’esperienza dei Carmina Burana. La Regia della Corli è precisa, puntuale, segue con cura gli snodi narrativi e non manca di ironia e, se qualche ingenuità poteva essere evitata, nel complesso risulta assolutamente godibile così come le coreografie di Filibeck.
La parte musicale appare invece più altalenante. Jonathan Webb ha della partitura un’idea di estrema vitalità ma tende a farsi prendere un po’ troppo la mano sia sul volume orchestrale spesso fin troppo eccessivo sia sulle dinamiche ritmiche e agogiche con improvvise e brutali accelerazioni spesso neppure chiare nella loro logica di fondo come quella veramente eccessiva fra le due sezioni di “O Fortuna”,  rischiando inoltre in alcuni punti di scollare palcoscenico e orchestra. Di contro l’orchestra del Regio suona magnificamente e ancor più superlativa appare la prova del coro guidato da Claudio Fenoglio che ha offerto una prestazione maiuscola per pulizia, pienezza di suono, capacità espressive come raramente si è ascoltato; altrettanto positiva è stata la prova del coro di voci bianche.  La centralità delle masse corali nella cantata ha offerto una splendida occasione al coro del Regio per mostrare al meglio l’altissimo livello raggiunto e che ne fa una compagine di assoluto vertice sulla scena non solo nazionale. Per quanto riguarda la pronuncia del latino si è optato per la pronuncia ecclesiastica italiana classica senza concessioni ad inflessioni germanizzanti pur presenti nella tradizione interpretativa di questi brani.
Laura Claycomb, subentrata alla prevista Marina Rebeka costretta a rinunciare alla produzione per problemi fisici, è stata l’elemento migliore del cast. Voce certo piccola ma molto corretta ed educata con grande facilità nel registro acuto, molto adatta alla parte. Certo manca il fascino timbrico che poteva esprimere la Rebeka così che il “Dulcissime” non ha forse l’incanto che dovrebbe esprimere ma non si può negare che la prova della cantante americana sia stata più che apprezzabile. Un gradino più in basso  i colleghi uomini. Thomas Johannes Mayer è apparso decisamente sotto tono. Parte bene nella cantabilità distesa di “Omnia Sol temperat” ma è messo decisamente in difficoltà dalle salite in acuto in “Estuans interius” dove la voce tende ad indurirsi mostrando non poche difficoltà e un senso generale di pesantezza che lascia intuire qualche situazione di malessere confermata anche nella sezione successiva dove soprattutto i melismi di “Circa mea pectore” apparivano forzati con tendenze a suoni eccessivamente falsettanti. John Bellemer non ha una voce indimenticabile e tecnicamente non è esente da lacune tecniche – i falsetti tendono ad essere spoggiati e l’intonazione non sempre ineccepibile – però l’aria del cigno concede qualche cosa al riguardo e anche grazie alla simpatia scenica riesce comunque a portare in porto una prestazione ben accolta dal pubblico. Successo convinto per tutti – nonostante le riserve qui avanzate – per uno spettacolo nel complesso piacevole con cui il Teatro ha salutato il pubblico prima delle festività che porteranno al nuovo anno.