Teatro Verdi di Padova, Stagione lirica 2014-15
“LA TRAVIATA”
Melodramma in tre atti. Libretto di Francesco Maria Piave
Musica di Giuseppe Verdi
Violetta Valery MARIA KATZARAVA
Flora Bervoix ALICE MARINI
Annina GIOVANNA DONADINI
Alfredo Germont PAOLO FANALE
Giorgio Germont FRANCO VASSALLO
Gastone / Visconte di Letorières RODRIGO TROSINO
Barone Douphol WILLIAM CORRÒ
Dottor de Grenvil GIANLUCA LENTINI
Marchese d’Obigny MATTEO FERRARA
Giuseppe, servo di violetta ANTONIO VITALI
Un domestico di Flora MIRKO QUARELLO
Commissionario FEDERICO CAVARZAN
Orchestra Regionale Filarmonica Veneta
Coro Li.Ve.
Direttore Eduardo Strausser
Maestro del Coro Dino Zambello
Regia Paolo Giani Cei
Coreografia Nicoletta Cabassi
Padova, 27 Dicembre 2015
La Traviata è per tutti i teatri una sfida di estrema complessità: si dice che talvolta una buona Violetta possa salvare tutto il resto, o che non esista l’Alfredo perfetto. Gli stravolgimenti registici si sprecano, come le scelte musicali dei direttori. Talvolta si finisce per analizzare puntigliosamente il libretto, cercando di cogliere le sfumature psicologiche su cui costruire un allestimento, dimenticando che la musica di Verdi approfondisce caratteri e moti interiori dei personaggi dal 1853. Paolo Giani Cei mostra di avere idee interessanti, ma forse sarebbe stato ancora più interessante cercare una maggior coesione con quanto la musica già racconta da sé, piuttosto che sforzarsi di approfondire alcuni simbolismi un po’ sterili. Buona l’idea di creare un primo atto “spezzato” come la protagonista stessa, ancora apparentemente frammentata tra cavatina e cabaletta, palpito e voluttà. Da una parte la festa, una grande sala fornita di bar, in cui tutti gli ospiti si preparano al brindisi innalzando i cocktail. La scena ruota di 90° e troviamo in parte la camera di Violetta, arredata solo di un letto e di un mazzo di palloncini rossi. Nel terzo atto ritroveremo la stessa scena, con la carta da parati stracciata e un mazzo di palloncini neri. Quando finalmente Violetta resta sola e può dedicarsi al proprio travaglio interiore, sullo sfondo i domestici stanno ancora sistemando il mobile bar, ripulendo i bicchieri e creando un effetto complessivo lontano dall’introspezione intimistica che ci aspetteremmo. L’espediente andrebbe forse approfondito, ma certamente desta qualche scetticismo. Ciò che invece abbiamo trovato di scarso interesse è la scelta di trasformare la scena delle zingarelle sul finale del secondo atto in una triste marcia di ballerine a seno nudo (ma era proprio necessario?), probabilmente a significare la depravazione dei borghesi presenti in scena e la cui ipocrisia impregna tutta l’opera. Inusuale la scelta di sottolineare il momento (generalmente solo richiamato dal coro fuori scena) del “bue grasso”, facendo nuovamente ruotare la scena su un piccolo carnaval in penombra dove riappaiono i palloncini rossi del primo atto. Quanto accade in scena non si amalgama perfettamente con la direzione orchestrale, affidata al giovanissimo direttore brasiliano Eduardo Strausser, debuttante in Italia. Strasser sembra trovarsi complessivamente a suo agio con la partitura, realizzando un bel momento sinfonico nel preludio, mentre nei momenti d’assieme ci sono diverse scollature col Coro. I protagonisti, d’altra parte, seguono un fraseggio spesso troppo libero, sorvolando sul solfeggio e lasciandosi andare a corone e fioriture su cui il direttore non sembra riuscire ad intervenire. Spiace sempre non poter valorizzare dei giovani talenti in crescita a causa di una scelta del cast poco condivisibile. Siamo certi che entrambi i protagonisti proseguiranno la loro carriera brillantemente, ma La Traviata è opera troppo scoperta e pericolosa per poter essere affrontata con superficalità nella scelta delle voci. Decisioni azzardate rischiano solo di compromettere la carriera di talenti che si stanno ancora affermando: se l’obiettivo voleva essere quello di avvicinare al teatro un pubblico più giovane, forse il prezzo è un po’ troppo alto. Non convince Maria Katzarava nel ruolo di testa: nonostante la facilità nel registro acuto il suono è tendenzialmente spinto e le dinamiche difficilmente si scostano dal fortissimo, non rendendo giustizia ai filati e alle sfumature della partitura e del personaggio; a ciò si sommano problemi di memoria testuale e fraseggio che ne inficiano la performance. Il momento migliore per la Katzarava è il duetto con Germont padre, probabilmente anche perché è qui che emergono maggiormente le notevoli doti sceniche del soprano messicano. Fuori ruolo il pur acclamato Paolo Fanale: un peccato, perché la morbidezza del timbro è notevole e la dizione ben intelligibile; tuttavia la voce fatica a librarsi sui volumi orchestrali e scompare quasi completamente negli insiemi. Alfredo è un ruolo sicuramente ingrato, ma è sbagliato ridurre tutto alla difficoltà delle tessiture e “avere gli acuti”, in questo caso, non è sufficiente. Franco Vassallo, Germont, realizza una performance complessivamente buona, pur mancando di smalto e della necessaria aggressività nell’incredibile pagina centrale del secondo atto. Il padre di Alfredo è un borghese ottuso fino alla crudeltà, spietato e manipolatore, caratteristiche che non emergono né dal canto né dalla figura di Vassallo, che comunque porta a casa ovazioni da stadio. La voce è in ordine, come anche fraseggio e scelta dei fiati nel Di Provenza il mar e il suol. Vassallo si mostra disinvolto anche nella cabaletta, ormai sempre meno eseguita. Tra le parti di fianco spicca la brava Alice Marini, Flora convincente e di carriera ormai avviata. Poco comprensibile la scelta registica di creare intorno ad Annina, un’apprezzabile Giovanna Donadini, un’aura quasi spettrale, particolarmente nel secondo atto, quando la intravediamo aggirarsi dietro le enormi tende bianche calate sul palco. Molto bene il Dottor de Grenvil, Gianluca Lentini, basso di voce interessante, cui viene risparmiato il sempre bastonato “è spenta!” nel finale. Scenicamente e vocalmente in ordine anche Rodrigo Trosino nel duplice ruolo di Gastone e del Visconte di Letorières e come sempre adeguato e convincente William Corrò nel ruolo del Barone Douphol. Nessuna défaillance nemmeno per il Marchese d’Obigny, Matteo Ferrara. Completano efficacemente il cast Antonio Vitali (Giuseppe), Mirko Quarello (Domestico) e Federico Cavarzan (Commissionario). Un pubblico folto e caloroso saluta l’ultima produzione in cartellone al Verdi per la stagione 2014/2015. Foto © Giuliano Ghiraldini