Felice Romani e i suoi melodrammi: “Parisina d’Este” di Gaetano Donizetti

Reduce dallo strepitoso successo ottenuto con l’Elisir d’amore che aveva stupito lo stesso autore tanto da indurlo a scrivere al suo maestro Giovanni Simone Mayr «La Gazzetta giudica dell’Elisir d’amore e dice troppo bene, troppo credete a me… troppo!», Donizetti lavorò ad un altro progetto insieme con Felice Romani; si tratta di Parisina che, rappresentata per la prima volta al Teatro degli Immobili, conosciuto oggi con il nome di Pergola, il 17 marzo 1833 con Carolina Ungher (Parisina), Gilbert Duprez (Ugo), Domenico Cosselli (Azzo) e Carlo Ottolini Porto (Ernesto), ebbe un certo successo, come lo stesso Donizetti affermò in una lettera del 6 agosto 1833a Lanari, l’ impresario che gli aveva commissionato l’opera,:
“Non ignori che io quando protestai, era in tutta regola coi patti, e doveva esser pagato senza scrivere quasi una nota, e sai invece che a rompicollo ti ho servito non male [accennando a Parisina]. Che qualunque altro maestro forse avrìa preso il danaro senza faticare, che il danno non ti venga per colpa tua; ma io onorato, amico disinteressato, e che ti stimava preferii la fatica pel solo patto di anticipazione di due mille franchi o che; danaro che mi era dovuto per quell’opera, a meno che non vuoi far credere che mi davi 3000 e tanti franchi lì a Firenze, e pochi mesi dopo a Venezia per la mia bella faccia 7000 e tanti. E se la scrittura così dice, lo dice, e tel lasciai scrivere, perché tu mettesti avanti che lì non potevi pagarmi, che alla Fenice la dote era più, e per conseguenza non era che un ritardo di paga”.
Del successo si può raccogliere l’eco anche sui giornali e, in particolar modo, su «Il Commercio» dalle cui colonne il recensore, oltre a lodare la sinfonia, le scene di sortita del Duca e di Parisina, il duetto tra Ugo e Parisina nel primo atto, affermò, rivelandosi, però, un cattivo profeta:
“Siccome il robusto della musica porta di principio un’ascosa bellezza, così tale Opera, comeché fu bastantemente onorata da applausi, pure lo sarà di più a mano a mano che i concertati suoni s’intenderanno più volte, e l’orecchio si accorderà coll’intendimento a ponderarne le non comuni armonie”.
In realtà l’opera scomparve dai cartelloni per tutto l’Ottocento e lo stesso Donizetti stranamente non si mostrò particolarmente felice di eventuali riprese forse perché non convinto del cast che, a suo giudizio, vocalmente non avrebbe reso vocalmente al meglio la musica, come testimoniato da una lettera del 17 gennaio 1834 nella quale il compositore scongiurava il Duca Visconti di non mettere in scena Parisina:
“Mi scrivono inoltre che si voglia dare la mia Parisina. Per carità nò, Sig. Duca. Io non ci vedo per nulla la compagnia adattata, ed ora non farebbe altro l’Ecc. Vost. che mettere in male aspetto al pubblico il povero Donizetti il quale deve scrivere la prima in Carnevale venturo”.
La composizione dell’opera, del resto, non era stata semplice e soprattutto i rapporti tra Romani e Donizetti avevano vissuto qualche tensione, come si evince da quanto il librettista scrisse nell’Avvertimento:
“Costretto qual fui da imperiose necessità a comporre un dramma alla spezzata, e in pochi giorni, e senza aver modo di rivederlo e correggerlo, se non mi è lecito invocare indulgenza pe’ suoi difetti, mi sia concesso almeno di deplorare la trista circostanza di non poter offrire alla Italiana Atene un lavoro meno indegno di Essa, ed oso dirlo, meno indegno di me medesimo”.
Per questo libretto, che non può essere definito certo un capolavoro contrariamente a quanto affermato da Emilia Branca, Romani si ispirò all’omonimo poemetto di Lord Byron, scritto nel 1816 e ambientato nella corte degli Estensi a Ferrara. Protagonista è, infatti, Parisina, moglie di Azzo d’Este, che morirà per il dolore causato dalla morte per esecuzione capitale del suo amante, il giovane Ugo, figlio di Azzo, come si scoprirà nel corso dell’opera.
Atto primo
Dopo l’ouverture, la stessa di Ugo, Conte di Parigi, al quale si rimanda per l’analisi, la scena si apre sulla corte degli Estensi a Ferrara nel XIV sec.; nel dialogo tra Ernesto, ministro di Azzo, e il coro di cortigiani (È desto il duca) si apprende che il Duca Azzo sospetta di tradimento la moglie Parisina, a sua volta languente per amore. Il coro ed Ernesto tacciono all’arrivo di Azzo al quale il suo ministro annuncia la conquista di Padova, una notizia che avrebbe dovuto allietare il duca in realtà afflitto da ben altri pensieri. Questi, dopo aver ordinato di annunciare le liete notizie a Parisina, si produce nel dolce e malinconico cantabile della sua cavatina (Per veder su quel bel viso) nel quale afferma che il suo unico desiderio è quello di poter restituire il sorriso alla moglie. Rassicurato da Ernesto sul fatto che queste notizie renderanno lieta Parisina (tempo di mezzo: Lieta al par de’ tuoi desiri), il duca, nella cabaletta Dall’Eridano si stende, ribadisce il suo desiderio di donare la felicità alla moglie dopo aver ricordato con orgoglio la grandezza dei suoi domini. Nel successivo recitativo Azzo confida ad Ernesto che tutta la sua gloria e la sua potenza non sono in grado di placare il suo tormento dettato dalla sua scarsa fortuna in amore, in quanto egli pensa che Parisina, come già la prima moglie Matilde, lo tradisca con una persona a lui vicina, il giovane Ugo, un trovatello raccolto proprio da Ernesto ed allevato come un vero figlio. Andato via il Duca, fa il suo ingresso in scena Ugo (tempo d’attacco del duetto: Oh! Chi mai veggio? È desso), che è informato da Ernesto del pericolo che incombe su di lui, dal momento che è sospettato dal duca di essere l’amante di Parisina. La reazione di Ugo rivela il suo amore per la donna ribadito nel dolce e malinconico cantabile in sol minore Io l’amai fin da quell’ora (Es. 1). Ernesto, preoccupato per la sorte del giovane, lo scongiura di andar via, ma questi gli chiede di poterla vedere un’altra volta prima di allontanarsi definitivamente dalla corte (cabaletta: Per le cure, per le pene).
Parisina Es. 1La scena si sposta nel giardino dell’isola di Belvedere sul Po dove, introdotta da un tema leggiadro quasi idillico, Parisina insieme con le sue damigelle, guidate da Imelda, cerca inutilmente un po’ di riposo fra quegli ameni luoghi (recitativo: Sì, ne’ suoi Stati) e, interrogata da Imelda sulla ragione di tanta tristezza, ne imputa la causa al destino nel bel cantabile della cavatina dalla struttura tripartita Forse un destin che intendere. Imelda, che vorrebbe distogliere la duchessa dai suoi tristi pensieri (tempo di mezzo: Lassa! E te stressa affliggere), è interrotta da un drappello di cavalieri festanti (Coro: Alle giostre, ai tornei) introdotti da una fanfara militare. Niente e nessuno, però, possono consolare Parisina che, nella belcantistica cabaletta V’era un dì, dopo aver ricordato i dolci sogni della fanciullezza, afferma che la gioia è ormai sparita dalla sua vita. Congedati i Cavalieri (recitativo: La mie repulsa, o prodi), Parisina si accorge che uno di loro è rimasto; si tratta di Ugo che rivela alla donna di essere tornato di nascosto e che non sarebbe partito di nuovo senza averla vista per l’ultima volta. In questo duetto, una delle pagine più intense e belle dell’opera, i due si scoprono innamorati e chiede a Parisina di dichiarargli il suo amore (cantabile: Dillo… io te’l chieggo in merito). Alla fine i due decidono di scambiarsi, come ricordo, un fazzoletto (tempo di mezzo: È ver, è ver… non dirmelo) che possa alleviare i giorni più tristi e difficili (cabaletta: Quando più grave e orribile). I due sono sorpresi, però, dal Duca (tempo d’attacco del Finale I: Giunge il Duca) che interroga Ugo sulle ragioni che lo hanno spinto ad abbandonare l’esercito e a trovarsi al cospetto di Parisina; il giovane, dopo aver affermato di aver avuto un regolare permesso dal suo capitano, aggiunge che aveva saputo solo da poco del bando che pesava sulla sua testa e che aveva deciso di recarsi da Parisina affinché ella potesse intercedere per lui. Nel concertato di ottima fattura contrappuntistica (Ah! Tu sai che insiem con esso) i due continuano a chiedere un gesto di pietà ad Azzo che, alla fine, decide di simulare per scoprire la verità. Un festante coro di battellieri (tempo di mezzo: Voga, voga: qual lago stagnante) induce Ernesto a chiedere pietà per Ugo facendo notare al duca che sarebbe stato anomalo vedere una persona triste in quel giorno. Azzo cede alle preghiere e ordina che Ugo resti. La stretta finale (Vieni, vieni, e in sereno sembiante) è un tripudio di gioia.
Atto Secondo
Nel gabinetto privato di Parisina Imelda e le damigelle, introdotte e accompagnate da un leggiadro tema affidato ai violini primi raddoppiati dai flauti e dagli oboi, commentano la rinnovata felicità manifestata dalla coppia ducale durante un torneo nel quale è risultato vincitore Ugo. Il recitativo, nel quale Parisina afferma di aver consegnato lei stessa il premio a Ugo, e l’ardore della sue parole confermano il sospetto di Imelda sul sentimento d’amore della duchessa per il giovane, mentre Parisina si abbandona a un sogno di gioia e di libertà nell’incantevole romanza Sogno talor di correre. Dopo aver congedato le ancelle, Parisina si ritira nell’alcova dove è raggiunta da Azzo che, introdotto da un tema agitato, si chiede come possa riposare tranquilla una donna colpevole di adulterio (recitativo: Sì, non mentîr le ancelle). L’uomo, roso dalla gelosia, resta nella stanza e sussulta quando sente proferire nel sonno da Parisina il nome di Ugo (Tempo di mezzo: Ugo). Tra i due nasce un violento alterco nel quale Parisina, messa alle strette, rivela di amare Ugo e, impavida, chiede al marito di ucciderla (cabaletta: Vibra il ferro). Il Duca, dopo aver sguainato il pugnale, si arresta avendo deciso di punire la moglie procurandole il dolore per la morte dell’amato.  Ugo, ignaro di quanto avvenuto, mentre continua a festeggiare la vittoria nel torneo (recitativo: Né ancor vien ella), è raggiunto da Ernesto che lo informa del pericolo incombente, ma egli non lo ascolta ed anzi manifesta la sua gioia per l’amore ricambiato di Parisina nel cantabile dell’aria Io sentii tremar la mano. La gioia di Ugo dura poco, in quanto è interrotta dagli Armigeri che lo arrestano; il giovane, nella cabaletta Questo amor doveva in terra, non può non constatare la fine infelice di questo amore che sarà per lui foriero di morte.
Nel vestibolo, che immette alle due torri, Ugo e Parisina, entrambi in ceppi, sono condotti al cospetto di Azzo che li condanna a morte (recitativo: Ugo! Oh, ciel!). I due non nascondono il loro amore ed anzi Parisina accusa Azzo di averla condotta all’altare senza il suo consenso; il Duca è irremovibile e condanna a morte Ugo, nonostante Ernesto, sopraggiunto, gli riveli che Ugo è suo figlio e che gli era stato affidato dalla madre, Matilde, morente (tempo di attacco: Morte). Nello splendido concertato Per sempre, che blocca l’azione quasi impietrendo i personaggi, ognuno di loro appare sgomento di fronte a questa rivelazione, mentre Ernesto commenta sbigottito e sconcertato il fatto che tra i due non ci sia alcuna manifestazione di affetto paterno o filiale. Ugo, da parte sua, manifesta un fiero contegno (tempo di mezzo: Protettor d’un’empia madre) e, dopo aver accusato il padre di averlo rapito all’affetto della madre, si mostra desideroso di morire (stretta: Non è vita, è lunga morte), mentre Azzo gli impone di allontanarsi prima che i sentimenti paterni cedano il posto a quelli di furore.
Atto terzo
Parisina Es. 2Un dolcissimo tema affidato alle viole soliste che si muovono per terze (Es. 2 ) è utilizzato da Donizetti per il coro Muta, insensibile con il quale Damigelle e Armigeri commentano l’atteggiamento di Parisina disperata perché non sa come salvare Ugo dal supplizio a cui Azzo, offeso dal contegno del figlio, l’ha condannato. Un solenne tema dei corni, che dà l’impressione quasi del suono dell’organo, introduce la scena che anticipa per la sua struttura e per la situazione scenica quella splendida del Finale della Lucia; qui al posto di Edgardo c’è la triste Parisina che sembra rincuorata dalla notizia, riportatale da Imelda, secondo la quale Azzo ha perdonato Ugo, ma poco dopo riceve una lettera di Ugo con cui l’uomo mette in guardia Parisina su Azzo, pregandola, nel contempo, di fuggire con lui al suono della campana che avrebbe annunziato l’ora primiera. È probabilmente un altro inganno di Azzo che vuole scrutare le reazioni della donna, la quale, afflitta da tristi presagi, si mostra diffidente e manifesta tutto il suo sgomento nel cantabile dell’aria Ciel, sei tu che in tal momento. I tristi presagi di Parisina sono confermati da una lugubre marcia funebre che si sente in lontananza (tempo di mezzo: Silenzio, un suon lugubre) e accompagna un coro altrettanto lugubre. La donna tenta, allora, di fuggire, ma è fermata da Azzo il quale, con grande crudeltà, fa aprire i veroni che danno su un cortile dove si vede il cadavere di Ugo. Parisina, ormai fuori di sé, lancia una maledizione contro Azzo nella cabaletta in tempo moderato (Ugo è spento), prima di morire distrutta dal dolore.

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