Venezia, Palazzetto Bru Zane, Festival Édouard Lalo tra folklore e wagnerismo (26 settembre-10 novembre 2015)
Quatuor Hermès
Violini Omer Bouchez, Elise Liu
Viola Yung-Hsin Chang
Violoncello Anthony Kondo
Édouard Lalo:Quatuor à cordes; Namouna (”Sérénade” arrangée pour quatuor à cordes)
Gabriel Fauré: Quatuor à cordes
Venezia, giovedì 5 novembre
Ancora dei giovani interpreti – attualmente residenti presso la Chapelle Musicale Reine Elisabeth a Waterloo – erano protagonisti del concerto svoltosi presso il Palazzetto Bru Zane, quale penultimo appuntamento nell’ambito del festival – si può dire ormai riuscitissimo – incentrato su Édouard Lalo, che si concluderà martedì prossimo con una serata dedicata a “Trii romantici” dello stesso Lalo e di Cécile Chaminade. Davvero entusiasmante la prestazione di questi solisti, poco più che ragazzi, che si sono messi insieme, dopo essersi conosciuti nel 2008, a formare il Quartetto Hermès. Come abbiamo potuto constatare, l’ensemble ha già raggiunto un’intesa, si può dire, perfetta, una qualità del suono veramente pregevole, una maturità interpretativa sorprendente, considerata l’età di questi musicisti dal curriculum di tutto rispetto, per i quali Alfred Brendel ha previsto un brillante futuro: premio SACEM per la miglior interpretazione dell’opera di Henry Dutilleux Ainsi la nuit al Concorso Internazionale di Musica da Camera di Lione (2009); primo premio al prestigioso Concorso Internazionale di Ginevra (2011), che ha offerto loro l’opportunità di incidere due CD con opere di Haydn, Beethoven e Schumann; primo premio alle audizioni «Young Concert Artists» di New York (2012). E si potrebbe continuare … Impegnativo il programma da eseguire per l’occasione: il Quartetto per archi di Lalo e quello di Fauré. Entrambi i pezzi richiedono un’interpretazione prevalentemente vigorosa e appassionata, oltre a grande padronanza tecnica e perfetto coordinamento tra le parti. E il Quartetto Hermès ha dato prova di essere totalmente all’altezza del compito affidatogli: non è mai venuta meno la concentrazione, né la sensibilità nello scegliere di volta in volta il giusto accento, nel rendere la più sottile sfumatura o il più imperioso attacco, con impareggiabile gioco d’insieme. Merita, a questo proposito, sottolineare la prestazione del violoncellista Anthony Kondo, che si è assunto il ruolo – verosimilmente abituale – di concertatore, aiutandosi con significative occhiate lanciate, all’occorrenza, agli altri componenti dell’ensemble.
Il Quartetto in mi bemolle maggiore op. 45 di Lalo, vero capolavoro nell’ambito di questo genere, si inserisce pienamente nel panorama quartettistico fin-de-siècle in Francia, quando le composizioni per questa formazione si fanno più dense e profonde, assegnando pari dignità a tutti gli strumenti, in base all’esempio fulgido di Beethoven e degli altri grandi austro-tedeschi. Iniziato nel 1856 ed eseguito nella sua prima versione tre anni dopo dal Quatuor Armingaud (di cui Lalo era stato uno dei fondatori), questo quartetto venne rielaborato dall’autore nel 1883 e ripresentato sotto questa forma nel dicembre dell’anno successivo presso la Société Nationale de Musique. Vigorosa e appassionata l’interpretazione del Quatuor Hermés: dal primo tema fortemente ritmato del movimento iniziale (Allegro vivo), cui seguono il secondo tema sincopato e lo sviluppo con rapidi scambi tra gli strumenti; al successivo Andante non troppo, assai espressivo, che evoca il tardo Beethoven dei bruschi silenzi e delle melodie di grande eloquenza; all’irruento scherzo del terzo movimento (Vivace), inframezzato da un più leggero trio, tra i pizzicati del violoncello e le agili figurazioni del violino; al finale (Appassionato), che riprende il tono patetico del secondo movimento.
Quanto al successivo titolo in programma, si tratta del secondo brano della Suite orchestrale, che Lalo trasse dal balletto-pantomima Namouna, composto nel 1881-1882 su un soggetto di Charles Nuitter, basato su un “racconto orientale” in versi di Alfred de Musset, ispirato, a sua volta, alle Orientales di Victor Hugo, e andato in scena all’Opéra nel 1882, mentre la Suite fu eseguita l’anno dopo presso il Théâtre du Château d’Eau sotto la direzione di Charles Lamoureux, essendo inseguito oggetto di varie trascrizioni per formazioni da camera, destinate alle esecuzioni salottiere. Una danzante leggerezza ha caratterizzato l’interpretazione dell’arrangiamento per quartetto di Sérénade, interamente costruita su un ostinato di crome dal ritmo molto marcato, caratterizzato da giochi di accenti e motivi sinuosi, che evocano appunto la danza e l’ispirazione orientalista del balletto.
Per quanto riguarda il Quartetto per archi in mi minore op. 21 di Fauré, è opportuno ricordare che si tratta del suo primo tentativo in questo genere canonico – sul quale per tutto l’Ottocento ha continuato ad aleggiare l’ombra di Beethoven –, e anche il suo ultimo lavoro. Composto nel 1923-1924 e dedicato al critico musicale Camille Bellaigue, il Quartetto fu eseguito per la prima volta il 12 giugno 1925 presso il Conservatorio di Parigi, alcuni mesi dopo la morte dell’autore. Anche in questo caso l’interpretazione del Quatuor Hermès ha sottolineato ogni particolare – senza perdere di vista l’insieme – di questa composizione basata su una scrittura, in cui un uso sapiente del contrappunto si unisce a una notevole raffinatezza armonica. Suggestivo il movimento iniziale (Allegretto moderato), dall’atmosfera malinconica, il cui primo tema è costruito da una frase interrogativa della viola, alla quale replica un delicato arabesco del primo violino, che intona poi il secondo tema cantabile, mentre lo sviluppo è di carattere contrappuntistico. L’Andante costituisce il vertice espressivo dell’opera per la ricchezza dell’ispirazione melodica, la densità della trama polifonica e la trasparenza della scrittura: un primo tema viene esposto dal primo violino, cui segue una melodia ascendente affidata alla viola e poi al violino, sul sottofondo di una serie di crome suonate dagli altri strumenti. L’esposizione di questa forma ternaria, che ha qualcosa anche del rondò, si conclude con un malinconico motivo della viola. Il breve quartetto termina con un Allegro imperniato su un tema-refrain di ispirazione popolare, esposto dapprima dal violoncello. Successo pieno e un bis: l’Adagietto dalla Suite n. 1 dall’Arlésienne di Georges Bizet (ovviamente trascritto per quartetto).