Modena, Teatro Comunale “Luciano Pavarotti”, Stagione d’opera 2015/2016
TRISTAN UND ISOLDE
Libretto e musica di Richard Wagner
Tristan VINCENT WOLFSTEINER
König Marke ALEXEY BIRKUS
Isolde CLAUDIA ITEN
Kurwenal JOCHEN KUPFER
Melot JAVID SAMADOV
Brangäne ROSWITHA CHRISTINA MÜLLER
Un pastore / voce di un giovane marinaio MARTIN PLATZ
Un timoniere ROMANO FRANCI
Orchestra Regionale dell’Emilia Romagna
Coro della Fondazione Teatro Comunale di Modena
Direttore Marcus Bosch
Maestro del Coro Stefano Colò
Regia Monique Wagemakers
Scene Dirk Becker
Costumi Gabriele Heimann
Drammaturgia Sonja Westerbeck
Progetto e allestimento dello Staatstheater Nürnberg. Ripresa della Fondazione Teatro Comunale di Modena in coproduzione con Fondazione Teatro Comunale di Ferrara.
Modena, 14 novembre 2015
Si sente dire spesso che il dramma di Tristano e Isotta si consumi più fra i cromatismi dell’orchestra wagneriana che non nell’azione teatrale propriamente detta. Eppure anche la resa scenica vuole la sua parte. E dopo il primo atto di questo allestimento modenese di Tristan und Isolde, si fa fatica a capire come quest’opera abbia risvegliato (turbato?) i sensi e la coscienza di artisti e letterati. L’allestimento è tedeschissimo e viene dallo Staatstheater di Norimberga; arriva a Modena con un cast pressoché identico e con lo stesso direttore, Marcus Bosch, che sa ben gestire gli equilibri con il palcoscenico. Sotto la sua bacchetta, languido suona il preludio, ma senza un gran senso del tragico, e per il resto il suo tactus è assai mobile, con una certa tendenza all’accelerando. Italiani sono gli strumentisti, quelli dell’Orchestra Regionale dell’Emilia Romagna.
La compagine si trova qui e là in difficoltà, talvolta stonicchiano gli archi, ma gli assoli dei legni sono ottimi (lode a Stefano Franceschini, clarinetto basso, e al corno inglese di Marco Soprana) e la tenuta complessiva è assicurata. Ma torniamo alla messinscena. La regista Monique Wagemakers dichiara di volersi concentrare sulla psicologia dei personaggi. Risultato? La scena pensata da Dirk Becker è spoglia, tutta fatta di elementi scenici geometrici: cerchi concentrici e bianchissimi, a simboleggiare il conchiuso legame in cui vorticano i due protagonisti (e guardacaso, un cerchio programmaticamente spezzato pencolerà sui due amanti ricongiunti a chiusura dell’opera), una luna marezzata da modeste videoproiezioni, una lunga asta metallica che trafigge il centro della scena. Aria da Nuova Bayreuth, ma in formato assai ridotto e senza alcun sorprendente gioco di luci. Ma più sconcertante è l’impaccio dei due amanti nelle scene a due, nel loro rotolarsi a terra, nel tenersi per mano rivolti al pubblico, nel portare i costumi pensati da Gabriele Heimann, talvolta chiaramente inadatti alla loro fisicità (quel gilet di pelle – solito orpello tanto caro a certo Regietheater – che Tristano sfoggia al secondo atto, o il corpetto/armatura stretto al petto di Isotta da figuranti ben poco animosi).
I marinai (il dignitoso Coro della Fondazione Teatro Comunale di Modena) muovono l’azione brandendo rosso cordame. Si passi alle voci: Claudia Iten sembra sulle prime un’Isotta di acuti poco preziosi e di peso vocale troppo leggero per la parte. Manca spesso, a questa principessa d’Irlanda, la pronuncia granitica di altre interpreti e la statura tragica, e il personaggio che ne esce è piuttosto quello di una giovane donna alle prese con una storia più grande di lei. Uomo affaticato, affatto conturbante, appare il Tristano di Vincent Wolfsteiner, che col suo timbro non fascinoso e un legato tutt’altro che infallibile, si muove cauto nei primi due atti. Ma al terzo le cose cambiano: volume, squillo, intensità espressiva abbondano nel suo lungo monologo. La Iten da par suo regala un Liebestod ragguardevole, nelle intenzioni e nel fraseggio. Anche il Kurwenal di Jochen Kupfer, spigliato e di voce scura, sembra galvanizzato e acquista in quest’ultimo atto accento assai credibile. Corretti il Melot di Javid Samadov e il Timoniere di Romano Franci. Martin Platz presta il suo timbro fresco e giovanile al ruolo del pastore e a quello (fuori scena) del Giovane marinaio. In ultimo si lasciano Brangäne e Re Marke, e in entrambi i casi la prestazione è davvero di alto livello. Perché di gran temperamento, corposa nei centri e di acuti sicuri è Roswitha Christina Müller nel ruolo dell’ancella di Isotta. Così come Alexey Birkus ci regala un accurato ritratto del re tradito: scandito nella parola, giammai ingolato, di gravi sonori e sempre nel personaggio. Il suo intervento è forse il momento di più intenso respiro teatrale della serata e quel bacio in fronte a Tristano con cui chiosa la sua lunga scena resta nella memoria. L’impressione finale è che, a 150 anni dalla prima rappresentazione, allestire un Tristan completamente soddisfacente sia ancora complesso, tanto esigente è la partitura. Eppure, con tutti gli umanissimi limiti degli esecutori, va al teatro modenese il plauso di aver osato e (in certa misura) vinto la sfida. Il pubblico ha gradito.