Parma, Teatro Regio, Festival Verdi 2015
Recital di canto
soprano Jessica Pratt
pianoforte James Vaughan
Gaetano Donizetti: “Convien partir” (La figlia del reggimento)
Gioachino Rossini: “Bel raggio lusinghier” (Semiramide)
Vincenzo Bellini: “Ma la sola ohimè! son io … Ah! La pena in lor piombò” (Beatrice di Tenda)
Gaetano Donizetti: “Oh luce di quest’anima” (Linda di Chamounix); “Regnava nel silenzio … Quando rapito in estasi” (Lucia di Lammermoor)
Vincenzo Bellini: “Qui la voce sua soave … Vien diletto” (I Puritani)
Saverio Mercadante: “Di quai soavi palpiti” (Orazi e Curiazi)
Giacomo Meyerbeer: “D’una madre sventurata” (Il Crociato in Egitto)
Parma, 30 ottobre 2015
Verdi appare solo al momento del bis. Ed è un bis che arriva dopo innumerevoli chiamate alla ribalta. Il Teatro Regio di Parma esplode d’applausi e lei, Jessica Pratt, ospite del Festival Verdi, si cimenta con Traviata. A Melbourne il sopranissimo australiano aveva affrontato Violetta l’anno scorso. Nell’impaginato del concerto parmigiano si muove però nel suo terreno d’elezione, quello del belcanto puro, con due incursioni in Mercadante e Meyerbeer. Risuonano qui i pregi (tanti) e i difetti (qualcuno: la perfezione non è di questo mondo e in fin dei conti un recital come questo si presta alla vociologia) della Pratt. In “Convien partir” da La figlia del reggimento (in italiano, come andava una volta) sfoggia la consueta bellezza di timbro, ma il fraseggio non rapisce. Ci vuole la cavatina di Semiramide a infiammare davvero la platea, complice un pianista – James Vaughan – che ad onta di qualche sbavatura, qui e altrove non perde la pulsazione né illanguidisce, cade sempre a piombo con la diva e si concede qualche chiusa teatrale. La Pratt sgrana la coloratura in scioltezza e tratteggia la regina rossiniana senza perdersi in stilizzazioni. Il loggione si scalda, lei attacca “Ma la sola ohimè! son io” dalla belliniana Beatrice di Tenda. In quelle semicrome in zona acuta, screziate di filati impeccabili, sta il lato elegiaco del personaggio di Beatrice. Forse troppo aperto l’acuto in finale di cabaletta (ma prodigioso è il trillo), torna a Donizetti con una spigliata versione di “Oh luce di quest’anima” da Linda di Chamounix. E una grande scena donizettiana apre la seconda parte del concerto. Spiace dirlo, appare un po’ generica questa sua Lucia: in “Regnava nel silenzio” non si racconta granché e l’apparizione dell’ombra non entusiasma. Meno infallibili le mezze voci, ma tutte le note ci sono e sempre belle. Ben altro clima regna nella grande scena della follia di Elvira da I Puritani: tornano prepotenti il personaggio, l’intenzione, l’accento dolente e mai sguaiato nel cantabile; la Pratt arrota le erre di “cor” nella cabaletta e varia con grande competenza. Boato del pubblico (sarà almeno il terzo?) e partono le arie in cui il peso vocale si fa più cospicuo: l’irruenta “Di quai soavi palpiti” da Orazi e Curiazi di Mercadante e “D’una madre sventurata” da Il Crociato in Egitto di Meyerbeer (aria di vasto impianto, con tanto di tempo d’attacco e coloratura non meno pirotecnica di quella richiesta dalle partiture dei colleghi italiani) sono certo ben risolte, pur con qualche fatica. E qui sta la generosità della Pratt, che non si risparmia anche dopo le fatiche di un concerto come questo. Allora, tornando alla Traviata da bis, rimangono nella testa, più che i picchiettati demodé e certe parole inventate qua e là, la morbidezza del cantabile e quei “gioir!” intonati ora forte, ora piano, sempre intensi, brucianti, credibili. Teatro e belcanto riescono a fondersi.