È un artista poliedrico che sa vestire i panni di cantante, attore, regista e attualmente direttore artistico al Teatro Verdi di Pisa. In occasione di “Una gigantesca follia” l’abbiamo intervistato per conoscere meglio i retroscena dei “Don Giovanni” da lui diretti: oggi i riflettori si accendono su il baritono Marcello Lippi.
È stata un’impresa difficile seguire il progetto dei Don Giovanni al Teatro Verdi di Pisa?
Certo, è stata “una gigantesca follia” pensare di fare un Festival lungo tredici mesi rappresentando sette Don Giovanni operistici di autori diversi, con, in più, versioni in prosa, balletti, concerti, un’enorme rassegna cinematografica e più di venti conferenze sull’argomento! Nessun teatro ha mai osato fare tante opere sullo stesso tema nella stessa annualità. Il nome del Festival è nato proprio per raccontare il nostro sentirci folli, noi del Teatro Verdi di Pisa, i docenti dell’Università di Pisa e i responsabili del cineclub Arsenale, nel tentare questa impresa senza avere finanziamenti appositi, ma usando ognuno le proprie risorse. La difficoltà c’è stata, ma la bellezza ed il senso di pienezza che abbiamo provato ha sovrastato la fatica. Il pubblico ha risposto in maniera straordinaria. Alcune opere erano pressoché ineseguite per cui è stato bellissimo tornare ad eseguirle e vedere come uno stesso tema, la storia del seduttore per eccellenza, cambi se trattata da compositori di diverse epoche e culture. È stato come ascoltare un grande tema con variazioni. Per limitarci alle opere abbiamo eseguito quelle di Mozart, Melani, Dargominskji, Scarlatti, Gazzaniga, Tritto e Pacini. Una gigantesca follia!
Quanto tempo c’è voluto per mettere in piedi una produzione così importante?
Il Festival, come ho detto, è durato tredici mesi. Per pianificarlo c’è voluto più o meno altrettanto. Dopo un periodo iniziale per convincere i partner ed i nostri dirigenti, la preparazione è stata tutto sommato rapida, perché si è creato un team formidabile. Si pensi che nelle ultime quattro settimane sono andati in scena quattro don Giovanni diversi, intersecando le produzioni! L’entusiasmo ci ha sorretti, con la coscienza che quello che avremmo fatto sarebbe stato un importante passo verso un approccio differente alle stagioni liriche, non più come assieme di opere scollegate, ma con un filo logico potente, al quale affiancare ovviamente opere più conosciute al di fuori del “tema”principale, evitando il rischio di un eccessivo monotematismo. Questo Festival è nato per lasciare una traccia.
Qual è il suo Don Giovanni preferito tra quelli messi in scena nella sua produzione?
Sinceramente non saprei come risponderle. Sarebbe troppo ovvio dire che quello di Mozart è in assoluto di un livello irraggiungibile. Dovrei liberare la mia memoria e la mia storia da questo “convitato di pietra” per esprimere un giudizio libero sugli altri. Se quello di Melani suona un po’ troppo “antico” per affascinare il pubblico di oggi, quello di Gazzaniga ha entusiasmato per la sua bellezza e quello di Tritto lo ha divertito e sorpreso per la sua freschezza; Dargominskji ha un testo (di Puskin) straordinario ed una struttura musicale originalissima. Insomma ognuno ci ha donato un momento di puro godimento ed ognuno, se non ci fosse stato Mozart, avrebbe oggi sicuramente un gran successo.
L’abbiamo vista cantare in tutto il mondo e con grandi nomi dell’opera lirica; si provano sicuramente emozioni diverse tra dirigere una produzione e cantarla. Ci dica il suo punto di vista.
Emozioni diversissime. Quando canto, innanzitutto, interpreto un personaggio che ha anche dei momenti fuori dalla scena in cui “stacca” un poco dalla tensione; poi sono responsabile direttamente della mia riuscita: il mio stesso corpo è il mio strumento. Quando dirigo artisticamente una produzione dipendo invece dagli altri, dalle loro prestazioni, e non stacco mai. Canto ogni nota di ogni personaggio perché la sento dentro di me e soffro con i cantanti, respiro con loro, mi spavento se sento che una nota è presa male e so, da tecnico, che comprometterà le seguenti, insomma è come se cantassi tutti i ruoli. È stancantissimo. Comunque, qualunque cosa accada sul palcoscenico in termini di resa artistica è mia responsabilità, per cui sono come un allenatore di calcio su una panchina bollente: gioisco del successo e soffro se l’artista soffre.
La vedremo nuovamente alle prese di una nuova produzione Lirica? Se si, con quale opera vorrebbe ripetere questa impresa?
Abbiamo appena terminato questo Festival ed è già iniziato il secondo, segno che l’idea ha funzionato. Il titolo è “Demoni ed angeli: il mito di Faust ”: sarà un festival ancora più vasto del precedente. Per quanto riguarda le opere, oltre agli ovvi “Faust” di Gounod e “Mefistofele” di Boito, indagheremo i rapporti tra Cielo ed Inferno attraverso “Sancta Susanna” di Hindemith, “Suor Angelica” e “Gianni Schicchi” di Puccini, “The tell-tale heart” e “The angel of the odd” di Coli (su testo di Edgar Allan Poe), “Orfeo ed Euridice” di Gluck, “Il flauto magico” di Mozart.
Abbiamo scoperto del prossimo impegno con “La Vedova allegra”, come sarà composto il cast?
Sarà interamente composto dai giovani cantanti lirici della prestigiosa accademia dei teatri toscani denominata LTL Opera Studio, insignita di recente del premio Abbiati della critica come migliore attività formativa in Italia.
Cosa consiglia ai giovani che approdano nel mondo della lirica?
Di verificare innanzitutto la propria vocazione: devono sapere se amano così tanto questa professione da affrontare tutte le umiliazioni che il mondo della lirica oggi riserva loro. Nel nostro tempo raramente il lavoro nella lirica è ricompensato, si paga con la “visibilità”; si chiede di cantare gratis agli artisti, non li si paga dopo che hanno lavorato, devono fare la fame e poi sul palcoscenico affrontare anche i giudizi della critica spesso volontariamente feroci. Non c’è cantante, anche i più famosi che non abbia dei crediti da recuperare nei confronti di teatri insolventi. Il cantante oggi non è più il divo di un tempo, ma la vittima designata di una situazione, l’anello debole di una catena, non protetto dai sindacati, dal posto fisso e nemmeno dalle leggi dello stato. Ai giovani dico che devono ricordarsi sempre che cantare è un dono, non un merito acquisito, e che non è il fine della vita, ma un arricchimento di essa che può anche cessare come possibilità senza per questo diminuire il valore supremo della loro persona che è sempre Altro, sempre Oltre. Cantare è una bellezza, è una preghiera, è un donarsi completamente, è un’occasione, non se ne facciano una ragione di vita, non si abbattano per un insuccesso, non si arrendano mai. Hanno già nel loro canto la loro stessa ricompensa.
Lei è regista, direttore artistico, cantante, attore, insegnante, ma Marcello Lippi ha del tempo libero per sé?
La domanda mi imbarazza un poco. Mi viene da risponderle che tutte le cose che lei dice e che effettivamente faccio sono in realtà già tempo che dedico a me stesso, perché io sono in tutte le cose che faccio, con tutto il mio entusiasmo e la mia passione. Non ho bisogno di avere del tempo libero da queste attività, perché facendo queste sono appagato e felice. Capisco però che lei si riferisca alla stanchezza ed all’esigenza di riposarmi e di stare con la mia famiglia. La prima cosa, il riposo, a volte mi è necessaria e me la devo negare perché ogni impegno ha le sue esigenze, spesso coincidenti; poi non sono capace d’inattività, il cervello è sempre in funzione e se ho un giorno senza impegni lo passo comunque leggendo, scrivendo, cantando, studiando: amo ciò che faccio. Sono un divoratore di tempo; per me il tempo è importante e non sopporterei l’idea di sprecarlo, anche perché non sono più un ragazzino e non so quanto ne avrò a disposizione. Nello stesso tempo però, cerco di vivere con lentezza, assaporando la bellezza della vita e delle persone che incontro. Il mirabile saggio di Kundera (“La lentezza”) ha molto ispirato il mio modo di vivere, grato, felice ed attento a cogliere il particolare, l’attimo, il raggio di luce. Amo la mia famiglia e cerco di godere il più possibile la gioia dello stare insieme. Mi divido tra molte attività, ma io sono assolutamente lo stesso in ognuna di esse. Solamente, come potrà ben capire, non mi annoio mai!
Se dovesse scegliere un’aria di un’opera lirica come colonna sonora della sua vita, quale sarebbe?
Domanda difficilissima, mi chiede l’impossibile. Per quanto ci siano creazioni stupende dal punto di vista musicale e poetico, opere di genio assoluto, nessuna può raccontare il miracolo di una vita o accompagnarla tutta. Potrei dirle che in alcuni momenti una certa aria ha raccontato qualcosa di me, ma Le darei un’indicazione parziale, frammentaria. Non esiste un brano che possa essere la colonna sonora della mia vita. Mi è più facile dirle un personaggio che ne è stato un faro, con la sua paternità, la sua onestà, la sua rettitudine e giustizia, la sua fermezza negli ideali, la sua capacità di amare gratuitamente e perdonare sempre: Simon Boccanegra come lo disegnò Verdi.