Cagliari, Teatro Lirico
“LA JURA”
Opera in cinque quadri.
Libretto e musica di Gavino Gabriel
Prima esecuzione assoluta dell’ultima versione della partitura (1959)
Edizione a cura di Susanna Pasticci
Cicciottu Jacòni RUBENS PELIZZARI
Gjompàulu Filianu GIANLUCA LENTINI
Anna PAOLETTA MARROCU
Matalèna FRANCESCA PIERPAOLI
Pasca Ucchjtta NILA MASALA
Anghilesa Furitta LARA ROTILI
Battista Burédda NICOLA EBAU
Diécu Fasciòla ENRICO ZARA
Ciccittu Frési STEFANO CIANCI
Un pastore/Un vendemmiatore MORENO PATTERI
Orchestra e Coro del Teatro Lirico di Cagliari
Coro a tàsgia dell’Accademia Popolare Gallurese “Gavino Gabriel” (preparato da Fabrizio Ruggero)
Direttore Sandro Sanna
Maestro del coro Gaetano Mastroiaco
Regia, scene, costumi Cristian Taraborrelli
Luci Guido Levi
Video Fabio Massimo Iaquone
Coreografia Antonella Agati
Nuovo allestimento del Teatro Lirico di Cagliari
Cagliari, 20 novembre 2015
Scoperta di un capolavoro caduto nell’oblio o ritrovamento di un’opera di modesta fattura? Dopo anni di attese, va in scena per il Teatro Lirico di Cagliari La Jura di Gavino Gabriel, nell’ambito del progetto “Sardegna è Cultura”, che coinvolge il Teatro Lirico di Cagliari, l’Ente Marialisa De Carolis di Sassari e diverse realtà isolane. L’imponente progetto di costruzione e ricostruzione del mondo musicale colto dell’Isola ne sfrutta tre momenti, considerati dei veri e propri cardini espressivi: I Shardana di Ennio Porrino, La Jura di Gabriel e una nuova produzione tratta da Passavamo sulla terra leggeri di Sergio Atzeni. Due anni fa è stata realizzata l’opera di Porrino ispirata agli uomini dei nuraghi, che si è avvalsa della geniale regia di Davide Livermore, insieme alle scenografie di Giò Forma Production Design, al videodesign di D-wok, al costumista cagliaritano Marco Nateri ed alle luci di Loïc Hamelin, con un risultato davvero nuovo e monumentale. E’ ora alle ultime battute il concorso di Composizione per selezionare il lavoro ispirato al libro di Atzeni, con tre finalisti che presenteranno un melologo, una ballata sinfonica e un’azione scenico-vocale in un concerto pubblico il 4 dicembre prossimo. Mancava dunque all’appello soltanto La Jura di Gabriel – affiancata appositamente da un convegno di studi – che era già stata proposta a Cagliari in due distinte versioni, nel 1928 e nel 1959. Quella proposta adesso dal Teatro Lirico è una nuova versione, metodicamente studiata e approntata dalla musicologa Susanna Pasticci, che ha curato con assoluta dedizione l’edizione critica della partitura, dando forma a un testo musicale finalmente affidabile di un’opera altrimenti sfuggente. Gavino Gabriel, infatti, era un personaggio inquieto, chitarrista e cantadóri, pioniere dell’etnomusicologia, fondatore della Discoteca di Stato nonchè sostenitore dell’educazione musicale nelle scuole di ogni ordine e grado. Ma anche saggista, funzionario statale e professore, oratore e giornalista, rappresentante diplomatico… Nato a Tempio nel 1881, aveva studiato a Cagliari laureandosi poi con Giovanni Pascoli a Pisa. A Firenze, dopo gli studi universitari, era entrato nella redazione della “Voce” e aveva pubblicato la monografia Canti e Cantadóri di Gallura. In questi anni convulsi Gabriel insegue il sogno di scrivere un’opera lirica che metta finalmente al centro dell’attenzione degli spettatori dell’epoca la cultura della Sardegna: è La Jura (il giuramento), presentata nel 1913 a Torino e nel 1914 a Milano, di cui il tempiese scrive anche il libretto. La Grande Guerra interrompe l’attività musicale di Gabriel, in seguito impegnato soprattutto nello studio della tàsgia gallurese, che fa conoscere ovunque. E’ necessario attendere la fine degli Anni Venti perché La Jura vada in scena in Sardegna: è il 1928 quando l’opera debutta al Politeama Regina Margherita di Cagliari con scene di Giovanni Ciusa Romagna e con il principale ruolo femminile affidato al soprano Carmen Melis. Il libretto, illustrato da Melkiorre Melis e ambientato nella campagna gallurese del primo Ottocento, ha protagonisti “plebei” e una trama molto essenziale. La cifra speciale della Jura, già da allora, emerge potentemente nello straordinario tentativo di Gabriel di intrecciare la musica di tradizione orale sarda e quella del teatro musicale, trasferendo i canti sardi nel contesto operistico. Dopo il suo rientro in Italia dall’Eritrea, Gabriel può vedere in scena La Jura al Teatro San Carlo di Napoli (1958) e al Teatro Massimo di Cagliari (1959), dove riceve l’opera il plauso della critica e del pubblico, anche se non sarà più rappresentata.
Già nel tema e nel libretto emerge evidente il debito con Cavalleria rusticana di Mascagni e con il filone operistico conseguente: La Jura mette in scena una storia d’amore che ruota attorno a un giuramento ordalico tra il poeta pastore Cicciottu Jacòni e il ricco pastore Battista Burédda, che si contendono il cuore di Anna e della bella Matalèna, mentre sullo sfondo si aggira inquietante la presenza di una terza donna, Pasca Ucchjtta, sedotta dal ricco Burédda e resa folle dalla morte della loro figlioletta Salvatora. Dopo mille peripezie e colpi di scena, la vicenda si conclude con un lieto fine che celebra il trionfo del vero amore. Trama ‘verista’, dunque, che intende affermare in modo esplicito e senza complessi la modernità della cultura popolare. Il libretto non è però all’altezza del progetto gabrielano: cinque quadri che fissano altrettante situazioni, senza un vero e proprio sviluppo narrativo, e suggeriscono un immobilismo roccioso e totale, come se la cultura sarda dovesse essere rappresentata come una condizione immutabile.
Dal punto di vista musicale la scelta di Gabriel è stata quella di riprodurre il mondo sonoro dei primi anni del Novecento con un linguaggio fondamentalmente ibrido, che coglie in modo eclettico molte suggestioni tardo romantiche e veriste, fuse alle musiche di tradizione orale. Ne scaturisce una partitura instabile e non coerente, che non rende giustizia allo sforzo immane dell’autore (vincolato a lavorare alla Jura per moltissimi anni, al punto da scriverne non meno di tre versioni) e al lavoro incalcolabile della curatrice Pasticci, che ha riordinato una mole considerevole di scritti e documenti. Impegnati a dar conto di un linguaggio così variegato e friabile, raramente capace di fondere materiali tanto dissimili, il direttore Sandro Sanna e l’Orchestra del Teatro Lirico di Cagliari hanno offerto un contributo molto intenso alla realizzazione dell’opera, smussandone i tranelli più proibitivi. Sanna, con la sua solida esperienza operistica, ha guidato con valore l’Orchestra e il coro del Teatro (maestro del coro Gaetano Mastroiaco) e i cantanti, rafforzando i punti migliori della partitura e sottolineando i mutevoli caratteri dell’impasto sonoro. Diverse belle idee – la visione dall’alto di paesaggi aspri e avvolgenti all’inizio, come lo splendido omaggio dell’ultimo quadro al talento tessile isolano e all’arte di Maria Lai – nella regia, nelle scene e nei costumi di Cristian Taraborrelli. Il giovane artista poliedrico, supportato dalle video-proiezioni di Fabio Massimo Iaquone, dalle luci di Guido Levi e dalle coreografie di Antonella Agati, è stato affascinato dal meticciamento tra folclore e musica attuale nel primo Novecento ed ha assecondato fino in fondo la struttura statica dell’opera, con soluzioni suggestive, ma non sviluppate, e un tentativo non sempre efficace di attualizzarne il temperamento di contaminazione stilistica. In gran spolvero i cantanti, in gran parte sardi. Spiccano su tutti la Anna di Paoletta Marrocu e lo Jacòni di Rubens Pellizzari, ben centrato dal punto di vista interpretativo. Marrocu – già recente interprete a Cagliari di un’agguerrita Bérbera Jonia ne I Shardana di Porrino – ha incorporato un significativo valore aggiunto all’opera di Gabriel, imprimendo vigore e fascino arcaico al suo ruolo, così confermando il suo talento musicale soprattutto nell’ultimo quadro, il più scarno. Molto espressiva la Matalena di Francesca Pierpaoli e tutti appropriati gli interventi degli altri interpreti, come nel caso del soprano sassarese Nila Masala (che ben rappresenta la dolorosa follia di Pasca Ucchjtta) e del baritono Nicola Ebau (Battista Burédda). Un plauso speciale al coro a tàsgia dell’Accademia popolare gallurese Gavino Gabriel (preparato da Fabrizio Ruggero) e in particolare alla Disispirata, affidato a un assolo di violoncello e accostato a un efficace cambio di scena. Una messa in scena complessivamente molto coraggiosa, insomma, che affronta alcuni temi centrali della storia della musica della Sardegna e li rilancia nel dibattito più attuale.