Verona, Teatro Filarmonico, Il Settembre dell’Accademia 2015, XXIV Edizione
I Virtuosi Italiani
Primo violino concertatore Alberto Martini
Pianoforte Giuseppe Albanese
Samuel Barber: Adagio per archi Op. 11
Fryderyk Chopin: Concerto per pianoforte n. 2 in Fa minore Op. 21
Dmitrij Šostakovič: Preludio e Scherzo per archi Op. 11
Antonín Dvorák: Serenata per archi in Mi maggiore Op. 22
Verona, 29 Settembre 2015
Felice eccezione al detto nemo profeta in patria, I Virtuosi Italiani si presentano sul palco del “Settembre dell’Accademia” di Verona quasi da padroni di casa. Il pubblico numerosissimo attende l’orchestra che ormai da più di un decennio è orgoglio e eccellenza artistica della città, memore –oltre che dell’annuale applauditissima rassegna concertistica invernale- di uno strepitoso concerto d’inaugurazione dello stesso Settembre dell’Accademia nell’anno 2011. Nella scelta delle musiche proposte spicca subito l’arguto accostamento tra Samuel Barber e Dmitrij Šostakovič, coetanei ma rispettivamente testimoni di due tra le realtà forse più distanti tra loro all’interno della concitazione storica del “secolo breve”. “Scrivo ciò che mi sento, non sono un compositore a disagio. C’è chi dice io non abbia uno stile proprio, ma non mi importa. Faccio il mio gioco, e credo che questo richieda coraggio.” Nel celebre Adagio per archi Op. 11, datato 1936, Samuel Barber riversa tutta l’onestà intelletuale di un giovane compositore che seguendo la propria personale vena artistica e d’ispirazione si è trovato colto dal successo quasi alla sprovvista. La lettura dei Virtuosi Italiani è intensa, vivida e attentissima all’interessante concetto di “circonferenza di silenzio” da cui la musica nasce secondo quanto espresso dallo stesso Barber in una lettera all’amico violoncellista Orlando Cole. Colpisce l’attitudine cameristica della compagine, massimamente coesa per tutto l’arco della composizione. Non di minore qualità esecutiva il giovanile Preludio e Scherzo per archi Op. 11 di Šostakovič, pagina di grande intensità drammatica in cui il sapiente utilizzo anche degli elementi più aspri della timbrica degli archi si fanno specchio di un quadro sociale e storico ben meno confortevole di quello che influenzò la produzione di Samuel Barber. Particolarmente interessanti – i due pezzi Op. 11- anche perché appartenenti a quella serie di opere antecedenti al 1936, anno in cui il regime sovietico forzò Šostakovič ad un deciso smorzamento delle proprie velleità moderniste, e quindi in un certo qual modo più autentici dal punto di vista della liberà creatività e sperimentazione. Da rimarcare anche in questo caso la coesione tra i comparti orchestrali, tanto nel riflessivo ed intimistico Preludio iniziale quanto nell’antitetico Scherzo, tagliente e ritmicamente molto articolato.
In chiusura della prima parte del concerto il pianista Giuseppe Albanese si è unito ai Virtuosi Italiani per il Concerto per pianoforte n. 2 in Fa minore Op. 21 di Fryderyk Chopin qui eseguito nella versione per orchestra d’archi dell’autore stesso. Sebbene l’assenza di un direttore che tenga le redini del dialogo tra solista e apporto orchestrale possa -in una pagina di tal genere- complicarne il fluire musicale, l’esecuzione è risultata convincente e ben gestita, forte del costante dialogo tra il solista e il maestro concertatore Alberto Martini. Le scelte pianistiche di Giuseppe Albanese sono tutt’altro che scontate, a partire da un approccio alla tastiera che sembra prediligere la brillantezza dell’articolazione ad ogni costo, col compromesso di qualche ruvidità sul piano del controllo del suono. Sul piano del fraseggio è invece degna di un certo interesse la scelta di un’agogica scrupolosamente basata sulla profonda consapevolezza dello sviluppo armonico della partitura e delle modulazioni presenti al suo interno. Scroscianti applausi per il solista, premiati con l’esecuzione del Notturno in Do diesis minore Op. postuma (bis coerentissimo con il concerto precedentemente eseguito in virtù del materiale tematico che li accomuna) ed un ulteriore encore, brillante sfoggio del solidissimo virtuosismo digitale del solista.
Ha concluso il concerto la celebre Serenata per archi in Mi maggiore Op. 22 di Antonín Dvorák, in cui è risultata massimamente evidente la ricerca da parte de I Virtuosi Italiani di una precisa identità sonora e timbrica riconoscibile tra tutte le sezioni. Elegante e raffinato nella scelta del tempo il Tempo di Valse, ironico e giustamente umoristico nella caratterizzazione dei temi lo Scherzo centrale, energico e brillante il finale Allegro vivace, sempre bilanciatissimo negli equilibri tra le voci anche nella scelta di un tempo vivacissimo per l’esuberante stretto finale. Il riscontro del pubblico è calorosissimo, gli applausi entusiasti. Come bis la suggestiva Suite “The Heart Asks Pleasure First” di Michael Nyman, apprezzatissima dal pubblico, e il celebre Presto da “L’Estate” di Antonio Vivaldi, imprescindibile cavallo di battaglia del Maestro Martini. Foto Brenzoni