Teatro Regio – Stagione d’Opera 2015/2016
AIDA
Opera in quattro atti su libretto di Antonio Ghislanzoni
Musica di Giuseppe Verdi
Aida ANNA PIROZZI
Amneris ANNA MARIA CHIURI
Radamès RICCARDO MASSI
Amonasro DIMITRI PLATANIAS
Ramfis GIACOMO PRESTIA
Il re INSUNG SIM
Un messaggero ROBERTO GUENNO
Una sacerdotessa KATE FRUCHTERMAN
Orchestra e Coro del Teatro Regio
Direttore Gianandrea Noseda
Maestro del Coro Claudio Fenoglio
Regia William Friedkin
Scene e costumi Carlo Diappi
Coreografia Marc Ribaud ripresa da Anna Maria Bruzzese
Luci Andrea Anfossi
Allestimento Teatro Regio
Torino, 15 ottobre 2015
Durante l’incontro coi protagonisti dello spettacolo inaugurale, tenutosi nella Sala del Caminetto del Regio il 29 settembre, il regista William Friedkin ha dichiarato con assoluta chiarezza di non essere interessato al Regietheater né a proporre la proiezione di un proprio mondo interiore nell’allestimento di Aida, ma di voler semplicemente portare in scena il mondo egizio da Verdi immaginato, e che Verdi stesso avrebbe voluto veder rappresentato, perché il capolavoro l’ha già fatto il compositore. Così, come spesso capita quando grandi registi cinematografici si cimentano con la regia d’opera – e come sapeva chi aveva già assistito a questa produzione, che ora viene ripresa in omaggio alla riapertura del Museo Egizio, quando debuttò, dieci anni or sono, in apertura della stagione che avrebbe visto le Olimpiadi a Torino –, lo spettacolo si muove nel solco della più schietta tradizione. Chi cerca nuove letture dell’opera verdiana, vada altrove; chi vuole vedere un’Aida piacevole e suggestiva, venga a Torino, perché la tradizione non sconfina mai nella pesantezza, i quadri visivi appagano l’occhio (e non è un caso che il secondo quadro del I atto abbia meritato una copertina del Dizionario dell’opera) e la vicenda è tratteggiata con linearità; solo la concezione grandiosa della marcia trionfale rischia di risultare poco appropriata al numero relativamente ridotto di figuranti che sfilano sul palcoscenico del Regio.
Dal punto di vista musicale, Gianandrea Noseda ha optato per una lettura intimista e notturna, che dà maggiore risalto alla vicenda privata dei personaggi rispetto alla dimensione epica pubblica; e pare una chiave di lettura più che adeguata, che mira all’essenziale della partitura, evitando di oscurarlo con facili effetti kolossal. Il direttore si è misurato nel marcare le dinamiche orchestrali, e, quanto ai tempi, soltanto alcuni passi sono sembrati un po’ troppo rapidi (penso in particolare a quel momento di silenzio, sottolineato dal rullo della grancassa, durante il quale Radamès, nella scena del giudizio, non controbatte alle accuse che gli vengono mosse; momento che avrebbe meritato di essere un po’ più dilatato per sottolinearne la fatale terribilità).
Tra i solisti del cosiddetto secondo cast si è riscontrata una certa disomogeneità – forse accentuata da sindromi influenzali che circolano tra coloro che lavorano a questa produzione – che non permette d’affermare che si sia assistito a una recita memorabile di Aida. La protagonista, Anna Pirozzi, conferma lo strumento importante e l’ottima tecnica di canto sul fiato che in tempi recenti l’hanno fatta emergere nel panorama lirico internazionale, anche se una lieve indisposizione rischia di penalizzare la recita rispetto al successo ottenuto nelle prove generali. La sua capacità d’immedesimazione le permette di delineare la varietà di sentimenti e di passioni che animano la schiava etiope, raggiungendo il meglio nell’aria «O cieli azzurri», nella quale brilla l’animo addolorato e rassegnato ma non sottomesso del personaggio; e nella scena finale, sul cui pianissimo si stagliano i colori sereni di una voce sopranile riappacificata col proprio destino. Particolarmente efficace, nel finale, è stata proprio la contrapposizione delle due voci femminili: alla serenità di Aida faceva da contraltare la tinta terrea di Amneris, artefice della propria infelicità. Il mezzosoprano Anna Maria Chiuri interpreta con grande pathos la principessa egizia nel corso dell’ultimo atto, durante il quale ha agio di esprimerne a tutto tondo il carattere impulsivo e violento, dominato da una passionalità incontrollata. La recita della Chiuri si è caratterizzata per una progressiva messa a fuoco vocale e interpretativa, e ha preso il volo nel finale II, con la pungente frase «Venga or la schiava, venga a rapirmi l’amor mio… se l’osa», dopo un inizio segnato da una certa viscosità nelle escursioni di registro. Un progressivo indebolimento – dovuto forse all’affaticamento provocato dall’essere impegnato tutte le recite in un ruolo non secondario come quello di Ramfis – si è viceversa percepito nella voce del basso Giacomo Prestia, che, dopo un inizio schietto e timbrato, si è lievemente arrochita, pur senza perdere il grave accento sacerdotale. Il baritono Dimitri Platanias tratteggia un Amonasro «re guerriero» burbero e un po’ selvaggio, figura drammaturgicamente credibile che risulta efficace anche se non può avvalersi di uno strumento particolarmente fine. Chi non riesce a risultare credibile – se non forse nel IV atto, dove lo si può accettare come incarnazione di una persona finita e distrutta, straziata dalla propria sorte – è il Radamès del tenore Riccardo Massi, il quale, si badi bene, non canterebbe di per sé male, poiché è intonato e il suo fraseggio, per quanto lo si può percepire, è sensato; tuttavia gli mancano (o, per lo meno, gli sono mancate nella recita ascoltata) le caratteristiche per ricoprire il ruolo di Radamès in un teatro come il Regio: la voce non riesce a passare la barriera del palcoscenico e a proiettarsi nella sala, e lo squillo eroico è assente. Funzionali, nelle seconde parti, sono stati il basso Insung Sim (Re), il tenore Roberto Guenno (Messaggero) e il soprano Kate Fruchterman (Sacerdotessa). Sempre ammirevoli sono le compagini del Teatro Regio, e in particolare il Coro, che ha coronato col giusto carattere le scene d’assieme. Foto Ramella&Giannese