Staatsoper Stuttgart: “Fidelio”

Staatsoper Stuttgart, Stagione Lirica 2015/16
“FIDELIO”
Opera in due atti op.72, libretto di Joseph Ferdinand Sonnleithner e Georg Friedrich Treitschke
Musica di Ludwig van Beethoven
Don Fernando  RONAN COLLETT
Don Pizarro  MICHAEL EBBECKE
Florestan  MICHAEL KÖNIG
Leonore (Fidelio)  REBECCA VON LIPINSKI
Rocco  ROLAND BRACHT
Marzelline  JOSEFIN FEILER
Jaquino  DANIEL KLUGE
Erster Gefangener  JUAN PABLO MARIN
Zweiter Gefangener  ULRICH WAND
Orchestra e Coro della Staatsoper Stuttgart
Direttore Sylvain Cambreling
Maestro del Coro Johannes Knecht
Regia e Drammaturgia Jossi Wieler, Sergio Morabito
Scene Bert Neumann
Costumi Nina Von Mechow
Suono Dieter Fenchel
Luci Lothar Baumgarte
Stuttgart, 25 ottobre 2015La Staatsoper Stuttgart ha aperto ufficialmente la nuova stagione con un pregevole allestimento del Fidelio. Il punto principale da cui Jossi Wieler e Sergio Morabito sono partiti nel concepire questa nuova produzione, che costituiva anche un omaggio alla memoria dello scenografo berlinese Bert Neumann, ideatore della parte visiva scomparso pochi mesi fa, era costituito dal problema dei dialoghi. Si sa bene che in quasi tutte le esecuzioni del capolavoro beethoveniano le parti recitate vengono semplificate drasticamente o addirittura omesse del tutto, come nel caso della recente messinscena di Claus Guth a Salzburg e, in genere, di quasi tutte le incisioni discografiche dell’ opera. È indiscutibilmente vero che questo modo di procedere altera gravemente la struttura stessa dell’ opera e comporta un pesante stravolgimento della drammaturgia d’ insieme. Per questo i due ideatori della regia hanno deciso di eseguire integralmente i dialoghi parlati, sottoineandoli ulteriormente tramite un’ impianto di microfonazione che costituiva una parte importante della concezione scenica. Infatti l’ idea centrale dello spettacolo è quella di un mondo continuamente sorvegliato da un potere che osserva e registra tutto ciò che accade. La scena di Bert Neumann è un grande spazio vuoto con al centro una struttura che richiama alla mente un bunker, il cui significato diviene chiaro nella parte finale. Nel primo atto lo spazio è illuminato da una luce fredda e accecante e i personaggi, vestiti di costumi tutti uguali e dallo stile richiamante vagamente quello delle dittature asiatiche, sono sovrastati da una selva di microfoni. Anche lo schermo dei sovratitoli diviene un elemento della messinscena, con il testo che appare in leggero ritardo a simboleggiare la presenza di qualcuno che ascolta e trascrive tutto ciò che viene detto. Per quanto riguarda il coro, nessuna differenziazione tra i guardiani e i prigionieri. Solo una massa spersonalizzata di gente che si muove in modo meccanico e con i tratti somatici annullati da maschere. Nel secondo atto l’ oscurità diviene l’ elemento predominante sia nella scena del carcere che nella parte conclusiva. Nella scena finale infatti il bunker al centro della scena viene aperto e rivela un archivio pieno di documenti e dossier. Solo una debole luce proveniente dal bunker illumina la scena durante il coro finale, alla cui conclusione cala un velario con la sctitta “Ich habe meine Pflicht getan”, una frase che qui in Germania ha un significato molto ambiguo per i pesanti richiami a un brutto passato che essa comporta. Quella ideata da Wieler e Morabito è infatti una conclusione chiaramente aperta: lo scioglimento drammatico della vicenda è forse semplicemente la sostituzione di un regime con un altro, ugualmente oppressivo? È un interrogativo che è stato proposto da altri registi che in tempi recenti si sono confrontati con questa partitura, vedasi ad esempio la messinscena di Chris Kraus per la produzione diretta da Claudio Abbado nel 2008 a Baden-Baden. In ogni caso, Jossi Wieler e Sergio Morabito ci hanno offerto, dopo il bel Rigoletto che ha concluso la scorsa stagione qui a Stuttgart, un altro spettacolo elegante, coerente e ricco di spunti originali. Un’ eccellente dimostrazione di come sia possibile fare teatro di regia senza stravolgere e manomettere la concezione drammaturgica e musicale di una partitura. Anche la direzione di Sylvain Cambreling si è fatta apprezzare per originalità e coerenza di idee oltre che per la sintonia con la concezione scenica dello spettacolo. Il Generalmusikdirektor della Staatsoper ha messo giustamente in evidenza gli elementi stilistici che il capolavoro operistico di Beethoven ha ereditato da autori come Cherubini e Mayr. In termini pratici, Cambreling ci ha fatto ascoltare sonorità trasparenti e tempi complessivamente abbastanza rapidi in una concezione d’ insieme sobria ed essenziale. L’ orchestra della Staatsoper ha suonato in maniera eccellente, a parte qualche imprecisione dei corni nella grande aria di Leonore, e il coro preparato da Johannes Knecht ha offerto una delle consuete splendide prove a cui ci ha abituato da anni. La compagnia di canto, composta quasi tutta da membri stabili dell’ ensemble, si è fatta apprezzare soprattutto per l’ omogeneità della resa complessiva. A Rebecca von Lipinski mancava forse la sonorità nel registro grave, ma la sua Leonore è risultata lo stesso convincente per la finezza del fraseggio e l’ intensità espressiva che la cantante inglese ha sfoggiato nelle difficili arcate vocali di “Komm Hoffnung” e nel secondo atto. Anche il Florestan di Michael König è stato apprezzabile per solidità vocale e intenzioni di fraseggio. Micheal Ebbecke ha reso in maniera molto efficace la brutalità violenta di Pizarro e Roland Bracht, anche lui una delle voci storiche della compagnia, ha tratteggiato con molto mestiere un Rocco in bilico tra l’ obbedienza ai superiori e la bonomia paterna. Spigliata e vivace, oltre che cantata piuttosto bene, la Marzelline della giovane Josefin Feiler e buona anche la prova di Daniel Kluge come Jaquin e di Ronan Collett nella parte del Deus ex machina Don Fernando. Successo ben meritato per uno spettacolo intelligente e ricco di idee originali, sicuramente tra i più interessanti tra quelli visti negli ultimi anni qui a Stuttgart. Foto A.T.Schaefer © Staatsoper Stuttgart