Torino, Auditorium RAI “Arturo Toscanini”, Stagione Concertistica 2015-2016
“PELLÉAS ET MÉLISANDE”
Dramma lirico in cinque atti e dodici quadri su libretto di Maurice Maeterlinck
Musica Claude Debussy
Mélisande SANDRINE PIAU
Yniold CHLOÉ BRIOT
Geneviève KARAN ARMSTRONG
Pelléas GUILLAUME ANDRIEUX
Il dottore / Il pastore MAURO BORGIONI
Golaud PAUL GAY
Arkël ROBERT LLOYD
Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI
Direttore Juraj Valčuha
Coro Maghini
Maestro del coro Claudio Chiavazza
Torino, 17 ottobre 2015
Non il messaggio, ma un’allusione; non la melodia, ma un’ondulazione sonora; non il colore, ma una sfumatura; in definitiva, non la realtà, ma un suo simbolo. Inaugurare una stagione sinfonica con l’esecuzione in forma di concerto di Pelléas et Mélisande di Debussy è una scelta meritevole di ogni apprezzamento (oltre che un segno di autentico coraggio, non nuovo nel centro piemontese: anni fa anche un’edizione di MI.TO. fu aperta al Teatro Regio con una serata interamente debussiana). Ma con tutti gli accorgimenti che le sono stati dedicati (scelta dei cantanti, preparazione e concertazione musicale, giochi di luce, elementi di regia), questa esecuzione rappresenta forse il meglio che l’OSN RAI abbia mai offerto del repertorio operistico, sin dai tempi della tetralogia wagneriana diretta da Eliahu Inbal.
Grazie alla recitazione misurata e funzionale di tutti i cantanti e alla proiezione della traduzione italiana del testo, l’ascoltatore può apprezzare appieno la grandiosa semplicità della partitura, senza rimpianti per scene più complesse o per tutto quel che il palcoscenico teatrale offre. E infatti il pubblico di Torino segue l’intera esecuzione con pieno coinvolgimento, con un’attenzione che si tramuta in commozione e poi in grandi apprezzamenti per tutti gli artisti. La musica inizia a fluire in una luce azzurrata, come quella d’un basso fondale marino, che accompagna quasi tutta l’esecuzione, alternandosi a momenti di riverbero dorato o rosso sanguigno. Corrispondenza orchestrale di quella tinta color dell’indaco è senza dubbio il suono dei corni, che sembra trasfigurato dalla partitura del Tristan und Isolde, eppure si staglia sempre con contorni definiti e ossessivi, fino a incombere quale simbolo strumentale del movimento e dell’ineluttabile. Il direttore stabile dell’OSN RAI, Juraj Valčuha, si presenta all’esordio di una nuova stagione sempre più professionale e preparato: non solo deve aver svolto un eccellente lavoro di concertazione tra voci e orchestra, ma senza dubbio ha studiato a fondo le caratteristiche agogiche della partitura di Debussy, perché la sua esecuzione è impeccabile. Rende le accensioni di colore di quando è evocato il mare, così come i contrasti sonori di una musica leggerissima, che pure canta una terra senza cieli. Negli intermezzi orchestrali porge il discorso in modo davvero calligrafico, con le scure striature dei corni che costituiscono il pedale wagneriano di fondo; ma quel che più conta è il respiro dell’orchestra, vivo di un tenue eppur continuo affanno. Di tutte le sezioni, è quella degli archi a rispondere meglio alle richieste direttoriali, più che fiati o arpe (che sono sempre un po’ troppo marcate nei loro accordi).
Sandrine Piau è una Mélisande perfetta, nel canto come nella sobria recitazione; espressiva secondo la scrittura debussiana, conserva nella voce il vibrato del repertorio barocco che ha caratterizzato la prima parte della sua carriera, e che conferisce una grazia belcantistica alla sua interpretazione. Guillaume Andrieux è il baritono (molto tenorile) che interpreta benissimo il ruolo protagonistico di Pelléas: la voce fresca e chiara, l’afflato di crescente tenerezza e passione, l’omogeneità della linea di canto, tutto tende al momento più lirico e più drammatico dell’opera, che è il duetto del IV atto, in cui le voci dei protagonisti sono straordinariamente esatte. Del baritono Paul Gay, che canta il ruolo di Golaud, è annunciata una indisposizione; la sua esecuzione è del resto corretta, apprezzabile in particolare per il fraseggio, anche se a volte la voce fatica a pareggiare le sonorità di Valčuha, gli acuti sono per lo più scoperti e l’emissione resta un po’ fissa (nel V atto è visibilmente stanco, e anche la prova vocale ne risente). Per i due ruoli minori ma principeschi sono stati scritturati due cantanti di fama davvero internazionale e annosa: Karen Armstrong e Robert Lloyd, rispettivamente Geneviève e Arkël. La Armstrong, a parte la pronuncia francese a dir poco imbarazzante, è quasi sempre ruvida negli attacchi delle sue frasi, ma soave nelle clausole; questo conferisce alla sua prova un tocco di commovente poesia. Lloyd, pur con un francese a volte discutibile, conserva una voce dalla cavata impressionante, come un misto tra Gurnemanz e Boris Godunov (tanto per ricordare i ruoli che lo resero celebre nei principali teatri del mondo negli anni Settanta: Robert Lloyd è nato nel 1940, e ha debuttato nel ’69 …). Uno dei momenti più toccanti dell’intera esecuzione è appunto quando Arkël sfiora teneramente Mélisande, dicendole che gli anziani hanno bisogno della delicata morbidezza delle guance delle fanciulle per sopportare il peso della vecchiaia. Il piccolo Yniold ha la voce argentina di Chloé Briot, un soprano che dimostra da ultimo come tutti gli interpreti siano stati scelti con il criterio fondamentale della credibilità: l’interprete è addirittura disarmante – proprio come un bambino in tutta la sua spontaneità – nel rivelare le verità più scabrose sul rapporto tra Pelléas e Mélisande e nel soffrire per le dolorose strette del padre. Mauro Borgioni, nelle parti del dottore e del pastore, ha voce garbata e signorile, piacevole ad ascoltarsi. Molto buono, come sempre, l’intervento del Coro Maghini diretto da Claudio Chiavazza (peccato che Debussy lo abbia limitato a un solo momento). Nell’itinerario dal suono al silenzio, dalla vita alla dissoluzione, dalla concretezza oppressiva al soffio immateriale, Pelléas et Mélisande (che dalle stagioni RAI mancava dal 1994, e che nei teatri torinesi manca dal 1997) risuona particolarmente congeniale all’esplorazione del repertorio teatrale che l’OSN periodicamente compie. Soprattutto per la sfida ai limiti delle possibilità artistiche che la musica stessa deve sostenere; “l’anima umana è molto silenziosa”, dice infatti Arkël al termine del dramma. Foto Più Luce – OSN RAI