Teatro Carlo Felice – Stagione di opera e balletto 2015/2016
“IL RAGAZZO DEL RISCIÒ”
Opera in due atti su libretto di Xu Ying dal romanzo Luotuo Xiangzi di Lao She
Musica di Guo Wenjing
Versione originale in cinese
Xiangzi HAN PENG
Huniu SUN XIUWEI
Xiaofuzi SONG YUANMING
Liu Siye TIAN HAOJIANG
Er Qiangzi SUN LI
Sun Paizhang LIANG YUFENG
Ragazzo del risciò 1 YANG GUANGMENG
Ragazzo del risciò 2 LIU YANG
Ragazzo del risciò 3 CHEN RAN
Ragazzo del risciò 4 YANG SHUAI
Gao WANG ZHIHUA
Cameriera WANG RONGRONG
Cliente CHEN SHOUKUI
Poliziotto XU DA
Orchestra e Coro China National Centre for the Performing Arts di Pechino
Direttore Zhang Guoyong
Maestro del Coro Wang Lei
Regia e scene Yi Liming
Costumi A’Kuan
Luci Wang Qi
Allestimento del China National Centre for the Performing Arts di Pechino
Genova, 30 settembre 2015
È una folla sorridente di occhi a mandorla quella che ha gremito il Teatro Carlo Felice in questa unica (dopo la cancellazione della recita inizialmente prevista il primo di ottobre) tappa de “Il ragazzo del risciò”, nuova commissione del National Center for the Performing Arts di Pechino, andata in scena per la prima volta in Cina nel 2014 ed appena pochi giorni fa eseguita in prima europea presso il Teatro Regio di Torino, in una tournée (gentilmente offerta dalla compagine cinese stessa, che si è proposta gratuitamente a diverse entità teatrali italiane) che dopo Genova toccherà anche Firenze, oltre alle esecuzioni parziali in forma di concerto a Milano e Parma. Il compositore Guo Wenjing è riuscito a prodursi in un lavoro decisamente godibile soprattutto dal punto di vista musicale.
L’opera ha infondo il pregio di risultare immediatamente comprensibile al grande pubblico, senza alcuna necessità di rievocare avanguardie musicali o rotture col panorama operistico preesistente. Tutt’altro: “Il ragazzo del risciò” ha radici musicali che scavano nella tradizione e, sorprendentemente, non tanto in quella orientale (pur presente soprattutto negli affreschi della vecchia Pechino e realizzata con l’utilizzo di melodie popolari e strumenti tradizionali in buca), bensì in quella propriamente occidentale del melodramma così come lo vediamo abitualmente nei nostri teatri, specie in quei momenti di slancio lirico che riportano immediatamente alla memoria gli autori della “Giovane Scuola”. Pur considerando che nella traduzione dal cinese gran parte della poesia del libretto vada inevitabilmente perduta, il testo scenico pare quantomeno un gradino sotto il livello della partitura; talvolta prolisso e ripetitivo, difficilmente esce fuori dagli schemi classici degli interpreti che entrano in scena, cantano la loro parte ed escono. In tal senso una regia più curata ed audace di quella di Yi Liming avrebbe potuto creare collegamenti tra i personaggi e le scene anche laddove il libretto ha peccato.
Nel corso delle quasi tre ore di spettacolo solisti e coro si muovono in modo molto elementare, talvolta goffo e grottesco e più volte abbiamo avuto quasi l’impressione che si tentasse di restituire un’immagine stereotipata della Cina stessa, proponendo qualcosa di ben lontano dai moderni gusti del pubblico e soprattutto dalla realtà dura e difficile su cui è incentrata la trama. Ci si spinge addirittura a proporre la scena di un amplesso (Questo sì, è inedito per l’opera) viziato dai fumi dell’alcool, in cui gli interpreti però ruzzolano a terra da una parte e dall’altra fallendo miseramente nel tentativo di restituire una qualunque parvenza di sensualità, che invece è ben evidenziata dalla musica. Più interessanti le scene dello stesso Yi Liming, tradizionali ed accurate, così come i costumi di A’Kuan. Non è semplice valutare le caratteristiche di cantanti ascoltati durante una prima esecuzione, specie se in lingua cinese.
Pur viziate da movimenti scenici poco convincenti (così come tutto il resto del cast), hanno brillato le voci sopranili di Sun Xiuwei e Song Yuangming, assai diverse tra loro ma ben assortite: più pungente e calda la prima, più delicata e struggente la seconda. Se l’è cavata bene anche Han Peng nei panni del protagonista, padrone di un ruolo che sembra richiedere più presenza scenica che vocale. Tan Haojiang ha avuto modo di esibire un ottimo timbro da basso-baritono e saremmo curiosi di risentirlo in qualche ruolo del repertorio canonico. Il direttore Zhang Guoyong ha guidato con fermezza e gesto deciso i complessi artistici del NCPA di Pechino, ottenendo un suono assai gradevole e buone dinamiche tanto dall’orchestra quanto dal coro. Sbaglia chi considera questo spettacolo come la “cinesata” dell’opera, e con questo termine intendiamo identificare un qualcosa di malamente copiato e vagamente rassomigliante ad un originale. I cinesi hanno semplicemente imparato la “nostra lingua” e l’hanno utilizzata per creare qualcosa di originale ed a tratti pregevole. Purtroppo, al di là della scarsa attenzione dei teatri e del pubblico per i titoli nuovi come “Il ragazzo del risciò”, la riproposizione di questo spettacolo sarà condizionata, oltre che dalla regia non all’altezza (ma che può sempre essere modificata), soprattutto dal limite imposto dalla lingua cinese. Foto Marcello Orselli