Opera di Firenze – Stagione d’opera e balletto 2015/2016
“COSÌ FAN TUTTE”
Dramma giocoso in due atti su libretto di Lorenzo Da Ponte
Musica di Wolfgang Amadeus Mozart
Fiordiligi ELENA MONTI
Dorabella PAOLA GARDINA
Guglielmo FRANCESCO SALVADORI
Ferrando ALESSANDRO SCOTTO DI LUZIO
Despina GIUSEPPINA BRIDELLI
Don Alfonso BRUNO TADDIA
Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino
Direttore Roland Böer
Maestro del coro Lorenzo Fratini
Regia Lorenzo Mariani
Scene Maurizio Balò
Costumi Silvia Aymonino
Luci Linus Fellbom
Firenze, 20 ottobre 2015
È stata una serata decisamente giovane questa al Teatro dell’Opera di Firenze. La sala, contrariamente a quanto rilevato in precedenti occasioni, era finalmente affollata, se non proprio gremita, e l’età media del pubblico sorprendentemente bassa: a occhio, più della metà era costituita da adolescenti e giovanissimi, in coppia, in comitiva, qualcuno con famiglia; nel foyer, all’intervallo se ne sono riuniti gruppetti di tutte le nazionalità per commentare lo spettacolo sfoggiando sorrisi entusiasti e mise eterogenee, dal sobrio albizzarro, nelle quali però si poteva quasi sempre riconoscere un’intenzione di onorare il luogo e l’occasione con una personale idea di eleganza. Vedere a teatro così tanti ragazzi, con l’abito e lo spirito del party, fa, per una volta, sperar bene. Probabilmente ancora pochi tra loro sono appassionati assidui, ma anche nei curiosi o nei turisti che hanno incluso la serata nel loro pacchetto di viaggio può rimanere un seme di melomania che in qualcuno, domani, darà frutto.
Giovane è anche la compagnia di canto del secondo cast che ha dato vita a questo Così fan tutte, con interpreti tutti poco meno o poco più che trentenni.Per quanto riguarda la concezione registica e la parte visiva dello spettacolo rimando alla recensione della prima, aggiungendo solo una personale impressione: il Così fan tutte è un’opera enigmatica che non procede verso una direzione chiara e lo svolgersi degli avvenimenti si presta a letture contrastanti: molto più che negli altri titoli della trilogia dapontiana, o in generale in altri drammi giocosi e opere semi-serie, la calma raggiunta nel finale appare uno stato precario, che viene provvisoriamente accettato dai quattro personaggi, ma che non rappresenta uno scioglimento delle tensioni; anzi lascia intravedere tutte le energie compresse di chi non ha trovato né pace, né felicità, né giustizia. La stessa natura dei personaggi è sfuggente, può essere letta in maniera positiva o negativa, attraverso tutte le sfumature intermedie; prendiamone uno per tutti, Don Alfonso: è un simpatico burlone che vuole, divertendosi, far maturare i suoi giovani amici o un cinico seminatore di infelicità? Infine il messaggio, l’insegnamento morale, sempre che ci sia, è del tutto aperto. È un’opera contro le donne o celebra la loro furbizia? Censura comportamenti immorali o festeggia l’amore gaio e licenzioso? Vuol dimostrare che l’infedeltà può essere redenta con il pentimento o che una dedizione assoluta è impossibile o insincera?
La messa in scena alla quale ho assistito ha il suo pregio maggiore nella fedeltà al testo. Al di là della trasposizione temporale intorno al 1950 che ben poco nuoce a una vicenda che è tutta interiore, non ha trovate stravaganti, idee che snaturano o violentano il libretto, intenzioni rivoluzionarie, di quelle che a volte fanno storcere la bocca al pubblico. Tutto fila in modo chiaro e coerente, la vicenda è illustrata con correttezza, con una particolare inclinazione per gli aspetti comici e burleschi, lo spettatore è trattato con garbo e senza supponenza. Tutto bene fin qui. Quello che manca, forse per scelta volontaria e rispettabile, è proprio una presa di posizione del regista che dia una soluzione personale all’enigma di cui dicevo, un indirizzo ideologico o morale attraverso il quale leggere la vicenda, una presa di coscienza della natura ambigua e illusoria dell’amore vissuto dalle due coppie. Alla concezione registica brillante, ricca di episodi divertenti, che sottolinea anche dal punto di vista della freschezza e della prestanza fisica la giovinezza dei personaggi, ha aderito con bravura e convinzione il giovane cast della serata. Alessandro Scotto di Luzio, Ferrando, ha un’interessante voce da tenore lirico, bel timbro, volume buono e una proiezione che lo rendeva, fra tutti, il più nitidamente udibile. Unisce alle doti vocali e tecniche una bella presenza scenica e una naturale simpatia nel porgersi; è un artista giovane e ancora in piena fase di crescita, pertanto è più che comprensibile in lui qualche carenza di sfumature e di mezze tinte, come nella famosa aria “Un’aura amorosa” in cui era visibilmente più impegnato nel venire a capo di una tessitura insidiosa che nel rendere la delicatezza estatica del momento. Comunque, ha dato nel complesso una buona prova. L’altro amoroso, Guglielmo, era interpretato dal baritono Francesco Salvadori, dotato di un bel timbro di medio peso. Probabilmente emozionato, ha iniziato non benissimo, ingrossando e spingendo un po’, poi nel corso della recita ha preso quota e trovato un’emissione più libera e leggera che ha rivelato una voce gradevole, naturalmente scura e piena. E’ un attore dinamico e spigliato, dotato anch’egli di ottima presenza, particolarmente vivace e godibile nelle gag più spiritose. Vale anche per lui la considerazione che, trattandosi di un giovanissimo cantante, ha tutto il tempo per acquistare la sicurezza che solo gli anni di carriera potranno dargli; visto che le premesse sono buone, lo seguiremo con interesse.
Più mature professionalmente, benché solo di pochi anni più grandi, sono le interpreti delle due sorelle. Elena Monti, soprano, cui era affidato il ruolo di Fiordiligi e Paola Gardina, mezzosoprano, che ha portato in scena Dorabella. Fiordiligi è un soprano tendente all’acuto e al canto virtuosistico, Dorabella è un soprano centrale praticato anche dai mezzi, quindi sulla carta dovrebbero distinguersi timbricamente per essere di voce chiara e leggera l’una, più scura e corposa l’altra. Curiosamente il soprano Elena Monti ha invece centri più caldi e densi della sua collega ed in questa zona ha le note più belle e facili, pur dimostrandosi molto brava anche nelle agilità e nel canto di sbalzo oltre ad esibire un ottimo trillo; mentre Paola Gardina è un mezzosoprano chiaro dalla voce omogenea e ben educata che affronta la scrittura del suo personaggio senza difficoltà. Scenicamente sicure e credibili, hanno reso con bravura la personalità e lo sviluppo psicologico delle due innamorate, la natura più pacata e introversa di Fiordiligi e quella più frivola di Dorabella e il loro diverso modo di cedere alla tentazione. Giuseppina Bridelli ha dato ottimo rilievo vocale e scenico alla sua parte, con una interpretazione scoppiettante, anche nei due travestimenti del Dottore e del Notaio. Ha impersonato un Despina maliziosa e dai risvolti comicamente hard, civettando con tutti i maschi in scena e in particolare con un muscolosissimo giovanotto baffuto in tenuta balneare; ha esibito un canto corretto e sicuro. Purtroppo il suo timbro di mezzosoprano chiaro di medio peso rende la sua voce pochissimo differenziata da quella delle sue padrone, ma questo è un problema di composizione del cast e non le si può certo imputare come colpa. Bruno Taddia ha doti teatrali non comuni, è un attore di gran classe oltre che un artista colto ed elegante; il suo Don Alfonso è salottiero, disincantato, brillante, ma certi particolari della sua recitazione fanno balenare il fondo di cinismo, la sostanziale cattiveria che sta alla base del gioco, come lo sguardo di gelida indifferenza rivolto a Guglielmo disperato per aver visto la sua amante capitolare tra le braccia dell’amico: realizzazione attoriale maiuscola, capace di materializzare in un attimo l’ambiguità che così abbondantemente circola in quest’opera.Non altrettanto bene sono andate le cose dal punto di vista vocale: a corto di proiezione e opaco, il suo canto arrivava con difficoltà in platea, scomparendo nei concertati. La voce è uno strumento capriccioso e una cattiva serata può capitare a tutti, di tanto in tanto. Calorosamente apprezzata dal pubblico è stata la lucida e analitica direzione di Roland Böer, impostata sino dalla Sinfonia su tempi scattanti e caratterizzata da una grande energia interna, ma anche capace di distendersi in delicati momenti lirici ad esempio in un notevolissimo “Soave sia il vento”; ad alto livello, come di consueto, ha suonato l’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino e impeccabile è stata la prova del coro.