Bruxelles, Théâtre La Monnaie – stagione 2015/2016
“POWDER HER FACE”
Opera da camera in due atti e otto scene su libretto di Philip Hensher.
Musica di Thomas Adès
Duchess ALLISON COOK
Hotel Manager, Duke, Laundryman, Other guest PETER COLEMAN-WRIGHT
Electrician, Lounge Lizard, Waiter, Priest, Rubbernecker, Delivery boy LEONARDO CAPALBO
Maid, Confidante, Waitress, Mistress, Rubbernecker, Society journalist KERSTIN AVEMO
Orchestra Sinfonica del Théâtre La Monnaie
Direttore Alejo Pérez
Regia Mariusz Trelinski
Scene Boris Kudlicka
Costumi Marek Adamski
Luci Felice Ross
Video Bartek Macias
Drammaturgia Krystian Lada
Coreografia Tomasz Wygoda
Coproduzione La Monnaie / De Munt, Teatr Wielki Opera Narodowa (Varsavia)
Bruxelles, 29 settembre 2015
Come seconda opera della stagione 2015/2016, che si svolge fuori dal teatro storico, il Théâtre La Monnaie ha scelto di rappresentare un’opera contemporanea in un altro dei numerosi teatri di Bruxelles, les Halles di Scharbeek. Se l’Elisir d’Amore era andato in scena in un luogo del tutto inusuale per un’opera, Powder Her Face ha trovato spazio in un teatro ancor meno convenzionale, ideato per spettacoli di danza e teatro di avanguardia. Con soluzioni sicuramente interessanti, anche se magari non ottimali, in particolare l’orchestra posta in alto alle spalle del pubblico e lontano dalla scena, e le immaginabili limitazioni per quanto riguarda l’acustica. Ma anche Powder Her Face (tradotto in “incipriale il viso”) è un’opera sui generis, che tutto sommato ben si presta a produzioni fuori dagli schemi classici. L’opera di Thomas Adès, all’indomani della sua creazione nel 1995, fu considerata inadatta alla trasmissione dal canale radiofonico della BBC dedicato alla musica classica, per via del suo argomento scabroso: la storia vera e disgraziata della duchessa di Argyll, da debuttante dell’anno nel 1930 a infelice ninfomane, additata al pubblico scandalo nella causa di divorzio che fece scalpore negli anni sessanta, e infine abbandonata da tutti in una vecchiaia povera e desolata. Un Don Giovanni al femminile, come viene definita nello stesso libretto, ma senza l’aura eroica e la grandezza del personaggio mozartiano. Non è una storia positiva, e la musica di Adès infatti comunica fondamentalmente inquietudine, malessere, fra motivi che rimandano all’epoca spensierata della Belle Epoque, alle musiche da varietà e al tango alla Astor Piazzolla, con la fisarmonica che la fa da padrona, fino a suggestioni che ricordano Alban Berg, Kurt Weill, o Stravinski. La parte vocale non è da meno nel trasmettere l’essenza di una vita, di un’epoca, un ambiente squilibrato, disturbato. Non c’è traccia di arie belcantistiche, e la linea vocale viene spesso spezzata in acuti improvvisi e distonici. E’ un libretto fatto di conversazioni cantate, e pettegolezzi, bisbigli, insinuazioni. Il regista Mariusz Trelinski dà dell’opera una lettura cinematografica, da film glamour degli anni quaranta, con la scena centrale dell’opera presa a prestito dal celebre quadro di Edward Hopper. Una scena, quella della rappresentazione esplicita del morboso appetito sessuale della protagonista, che Trelinksi sceglie in qualche modo di attenuare rispetto al libretto ma che risulta non meno efficace dell’originale. Le scene di Boris Kudlicka sono costruite attorno a oggetti-simbolo delle varie fasi della discesa della duchessa agli inferi, il grammofono, le costose boccette di profumo che ricordano l’età dell’oro, il letto simbolo della capitolazione agli istinti, le famigerate fotografie polaroid che saranno strumento primo della rovina della duchessa e prove inoppugnabili nella causa di divorzio, il severo scranno da cui il giudice emette il suo giudizio morale. Le luci di Felice Ross conferiscono al tutto un’aria da spettacolo di cabaret, scintillante e sorprendente. Anche i costumi di Marek Adamski ben s’inseriscono nell’atmosfera globale dello spettacolo, puntando senza esitazione sui tipici cliché dei vari personaggi, la cameriera, la prostituta, la ricca nobildonna in sfavillanti abiti da sera, e poi decaduta e messa a nudo. Difficile giudicare orchestra e voci, per via della disposizione dei vari elementi nella sala. Se Alejo Pérez è apparso sicuro nel gestire la partitura e nell’accentuare i momenti più disturbanti, le voci sono apparse a volte distanti e poco efficaci soprattutto nella prima parte. Ma, per l’appunto, non è detto che la responsabilità ricada sui cantanti, che sono apparsi, nel complesso, di buon livello. Allison Cook nel ruolo della scandalosa duchessa regge in modo egregio le intere sorti dello spettacolo. Dotata di grande duttilità vocale e interpretativa, ha saputo gestire senza difficoltà le esigenze di una scrittura vocale tutt’altro che agevole. Anche il giovane tenore italo-americano Leonardo Capalbo ha prestato una non comune duttilità vocale e attoriale (non secondaria, la sua prestanza fisica) ai vari ruoli assegnateli: dall’elettricista al cameriere e al fattorino. Più alterna la prova di Peter Coleman-Wright che presta sì una voce qualitativamente buona, omogenea nella sua proiezione ai personaggi che rivestono un ruolo di autorità, quali il duca, il giudice e il manager dell’albergo, ma le sue qualità attoriali sono più limitate e non sempre convincenti. Completa il quartetto degli interpreti Kerstin Avemo, che nella sua varietà di ruoli si inscrive nella categorie dei soprani “soubrette”, che mettono in particolare risalto le qualità di attrice.. Uno spettacolo che nel complesso è apparso ben fatto, un teatro cabaret con parti vocali, con una bella armonia di componenti teatrali e musicali ma che non si distingue particolarmente per l’elemento vocale. Applausi distratti e tiepido entusiasmo da parte del pubblico.