Comédie héroique in tre atti su libretto di Claude-François Fillette-Loraux. Nathalie Manfrino (Lodoïska), Hjördis Thébault (Lysinka), Sébastien Guèze (Floreski), Philippe Do (Titzikan), Armando Noguera (Varbel), Pierre-Yves Pruvot (Dourlinski), Alain Buet (Altamoras). Les Cercle de l’Harmonie, Les Élements, Jérémie Rhorer (direttore). Registrazione: Venezia (Teatro La Fenice) 13 ottobre 2010 e Roma (Auditorium Parco della musica) 15-16 ottobre 2010. 2 CD Ambroise / Naïve – Palazzetto Bru Zane AM209
Il destino del fiorentino Luigi Cherubini portava inevitabilmente a Parigi la visione estetica del compositore, tutta centrata su un rapporto molto forte fra parola e musica, e la predilezione per melodie pure capaci di esaltare il testo e le sue ragioni drammatiche facevano di lui un diretto continuatore dei grandi riformatori della generazione precedente – Gluck, Piccinni, Traetta – e lo rendevano quanto mai lontano al gusto virtuosistico e belcantista dominante in Italia. Giunto nella capitale francese nel 1788 si è poi trovato a vivere in prima persona l’esperienza rivoluzionaria cui aveva aderito con sincero entusiasmo fino alla cocente delusione della scolta autoritaria del bonapartismo.
Il fallimento della prima opera francese – il “Démophon” del 1788 – andava subito riscattato e Cherubini capì che il suo palcoscenico sarebbe stato quello dell’Opéra Comique, che in quegli anni stava ampliando esponenzialmente il proprio campo, andando ben oltre lavori comici più o meno d’occasione per aprirsi a sperimentazioni musicali sempre più ardite, pur nel segno di una tradizione – quella dell’alternanza fra parlato e cantato – ormai divenuta un immediato segno d’identità.
E’ in questo contesto che il 18 luglio 1791 va in scena con strepitoso successo “Lodoïska”: non solo piena dimostrazione delle doti del giovane compositore, ma opera capace di cogliere il clima particolare di quel momento storico dandone compiuta veste artistica. Questa “Comédié-eroïque”, come viene definita sul libretto, segna di fatto la nascita di un nuovo genere destinato ad enorme fortuna, quelle delle “pièce au sauvetage” che per quanto non mancasse di archetipi settecenteschi – Rameau e Mozart in primis – riceve ora una nuova costituzione destinata ad enorme successo fino ai primi decenni del nuovo secolo – a titolo esemplificativo basti ricordare il “Fidelio” e il rossiniano “Torvaldo e Dorliska”, dipendente dall’opera di Cherubini anche per l’ambientazione polacca.
Le tematiche della forza dell’amore capace di vincere le avversità, la sconfitta del bieco tiranno da parte degli eroi con l’aiuto del tartaro Titzikan – perfetta incarnazione del nobile barbaro tanto caro a certa cultura illuminista – il trionfo finale della libertà trovavano fertile terreno nel clima ingenuo, ma fortemente idealista di quegli anni, che Furet ha definito con felice metafora del “romanticismo rivoluzionario”, che accompagnò la stagione girondina, finché le necessità della storia imposero quel ritorno alla tragica contingenza della realtà che caratterizzò il momento giacobino.
Musicalmente parlando, l’opera di Cherubini incarna un momento di passaggio nel saper far nascere nuove sensibilità espressive da un linguaggio che ancora resta per molti aspetti debitore di Gluck e Haydn; una capacità, quindi, di unire rigore formale e forza emotiva che spiega l’entusiasmo per questa partitura da parte di molti compositori che in quegli anni stavano facendo nascere il nuovo romanticismo musicale, senza però giungere ad una definitiva rottura con la tradizione, in primis Beethoven che scrisse parole entusiastiche dopo averla ascoltata in una ripresa viennese (convinto anti-bonapartista, Cherubini era riparato a Vienna a partire dal 1805).
Si accoglie quindi con grande piacere questa registrazione – un montaggio delle recite in forma di concerto eseguite nel 2010 fra Venezia e Roma su iniziativa della fondazione Palazzetto Bru Zane – che permette di avere un’idea assolutamente attendibile dell’opera molto più delle – peraltro non numerose – registrazioni storiche, il cui taglio troppo “romantico” e ottocentesche tendeva a raggelarne la carica espressiva. Principale merito di questa riuscita spetta al direttore francese Jérémie Rhorer che, alla guida dell’ottima compagine Les cercle de l’Harmonie, coglie pienamente la natura della partitura. La sua è una direzione leggera, pulita, nitidissima nei contorni e nei colori, ma allo stesso tempo piena di vita e di fuoco, una direzione che finalmente fa vivere in pieno quest’opera e che non si limita ad eseguirla per dovere culturale più o meno esplicito. Va riscontrato solo qualche taglio di troppo nei parlati che, se giustificabile in sede concertante – e ancor più in disco – non rende sempre perfettamente intellegibile la vicenda.
Il cast non è perfetto, ma nell’insieme è apprezzabile. Il punto più debole è forse la protagonista: Nathalie Manfrino è corretta, musicale, elegante, l’interprete suggestiva nella scelta di connotare il personaggio in chiave di liliale lirismo, ma la voce è troppo leggera per il ruolo. Il grande recitativo all’inizio del II atto manca di autorità e se la prima parte dell’aria del II atto, con i suoi echi mozartiani, è molto suggestiva, la seconda, dove la linea si fa più mossa e drammatica, evidenzia delle forzature che portano a qualche durezza o imprecisione di intonazione, ancor più evidenti nell’impegnativa “Tournez sur moi votre colère”.
Bravi i due tenori che confermano la bontà dell’attuale scuola tenorile francese, specie in questo repertorio. Sébastien Guèze (Floreski) ha qualche affanno in acuto, ma compensa con la nobile passionalità dell’accento e con una buona sicurezza nel registro centrale, mentre Philippe Do (Titzikan)– già apprezzato in tante altre occasione – non solo è vocalmente impeccabile, con legato esemplare e acuti sicuri e svettanti, ma s,oprattutto dimostra una spiccata personalità e dispiace solo che il personaggio si riduca alla bell’aria d’entrata, “Trionphons avec noblesse”, e al successivo duetto con Floreski. Nella parte del perfido Dourlinski troviamo il baritono Pierre-Yves Pruvot: voce di notevole solidità e robustezza e, se sul piano stilistico si nota qualche scivolone verso un gusto più tardo romantico, ha comunque il merito di evitare di cedere alla facile carta di una cupa ferocia per costruire un personaggio più ricco di sfumature. Armando Noguera è fin troppo tenorile per una parte chiaramente baritonale come quella del servitore Varbel, ma la linea di canto è più che corretta e l’interprete di coinvolgente simpatia, al punto che la sua cavatina “Voyez la belle besogne”, con i suoi giochi linguistici di gusto tutto italiano, non può lasciar indifferente l’ascoltatore. Corretti anche se un po’ anonimi l’Altamoras di Alain Buet e la Lysinska di Hjördis Thébault. Ottima la prova del coro Les Éléments, i cui solisti affrontano anche le numerose parti di fianco.