Madrid, Teatros del Canal – Temporada 2015
“IL LAGO DEI CIGNI”
Balletto in tre atti
Musica Pëtr Il’ic Čajkovskij
Coreografia Alicia Alonso
Scene Ricardo Reymena
Costumi Francis Montesinos, Julio Castaño
Ballet Nacional de Cuba
Odette / Odile VIENGSAY VALDÉS
Siegfried VICTOR ESTÉVEZ
Rothbart ARIEL MARTÍNEZ
Giullare MAIKEL HERNÁNDEZ
Pas de trois CYNTHIA GONZÁLES, ESTHEYSIS MENÉNDEZ, LUIS VALLE
Cigni, paggi, cortigiani, contadini Corpo di ballo del Ballet Nacional de Cuba
Madrid, 18 settembre 2015
Il pubblico spagnolo ha vissuto innumerevoli emozioni in prima persona grazie al Ballet Nacional de Cuba; la storica compagnia da più di vent’anni frequenta infatti la penisola iberica, presentandosi regolarmente nelle più importanti città. In questa occasione la tournée inizia a Madrid e finisce nell’Omán. Negli anni Settanta e Ottanta, mentre perfezionava e sviluppava in patria il suo nuovo metodo d’insegnamento, Alicia Alonso otteneva anche l’appoggio di grandi maestri e di istituzioni sovietici, visto che Cuba in quel periodo manteneva stretti rapporti commerciali e culturali con l’allora URSS; di frequente maestri come Azari Plitsetsky e altri suoi colleghi visitavano l’isola e tutelavano i neoinsegnanti e le scuole da poco inaugurate per rafforzare l’ardua impresa. In seguito a un intenso lavoro e all’applicazione di una disciplina ferrea, la collaborazione iniziò a dare frutti, con grandi successi a catena, disseminati nel mondo da generazioni di brillanti ballerini. L’attuale tournée inizia con Il lago dei cigni e con Viengsay Valdés nel ruolo della fragile Odette (e della perfida Odile): oggigiorno questa étoile è la massima rappresentante della compagnia, e poco a poco sta diventando una leggenda vivente. Conosciutissima e adorata nel suo paese, è un’artista dedita anche all’impegno sociale, perché abitualmente visita scuole medie e superiori, ispirando ai giovani l’amore e la passione per la danza classica; sul piano professionale quest’anno la sua agenda è stata intensa: a giugno inaugurava con Carmen il Festival Internacional de Ballet de Cali (Colombia); ad agosto, sempre come ospite d’onore, danzava al Festival Internacional di Tokio sul medesimo palcoscenico che in anni lontani aveva ospitato le più illustri stelle, come Margot Fonteyn, Carla Fracci, Maya Plisestkaya e la stessa Alicia Alonso. Dall’Australia all’Argentina, passando per teatri come il Bolshoi di Mosca, il Marinsky di San Pietroburgo, il Royal Danish Theater di Copenhagen, il Covent Garden di Londra, questa stella ha deliziato i più esigenti pubblici internazionali, e adesso al Teatro Canal di Madrid è Odette, ma anche Carmen, la Sylphide e Quitri. È interessante notare come la sua compagnia non si esibisca presso il principale teatro della città (il Real) bensì presso un altro, un po’ decentrato ma sicuramente molto più attento alla danza di ogni tipologia ed epoca; più che nel repertorio moderno, il Ballet Nacional de Cuba è dunque apprezzato e richiesto nei grandi classici. Questo pone in rilievo un limite della compagnia, perché Il lago dei Cigni, Don Chisciotte e gli altri titoli più celebrati costituiscono ruoli imprescindibili nella carriera di una ballerina, ma se le istituzioni di teatro e danza vogliono educare un pubblico alla varietà dei generi e delle epoche, e fargli apprezzare l’arte coreutica in tutta la sua grandezza dovrebbero proporre un’alternanza di repertorio classico e di nuove produzioni. Occorre, come al solito, intendersi, perché nelle “nuove produzioni” si possono comprendere sia le coreografie contemporanee sia le rivisitazioni o riprese (quelle che i melomani chiamano repêchages) di titoli desueti o del tutto dimenticati. La compagnia di Cuba, come moltissime altre al mondo, è tutta concentrata sul repertorio ottocentesco; il grande Novecento storico è quasi del tutto ignorato, e il favoloso Settecento non esiste per nulla. Ma torniamo alla cronaca madrilena: l’inizio della serata non prometteva niente di buono, perché la registrazione (purtroppo mancava l’orchestra dal vivo) ha distorto il suono per ben due volte prima che il sipario si alzasse, provocando scandalo e sghignazzamenti tra il pubblico. Sembra incredibile che, nell’esibizione di una compagnia tra le più conosciute al mondo per questo balletto, si possa incorrere in una defaillance così clamorosa. E qui è necessaria una digressione (volutamente polemica) sull’utilizzo di registrazioni in luogo dell’orchestra dal vivo. Ovviamente non si sa chi sia il direttore della sciagurata incisione, ma certamente si tratta della più lenta di tutta la discografia del Lago dei cigni; sul piano tecnico, poi, ancora peggiore dell’agogica è la resa delle sonorità. Complessivamente sembra una registrazione sovietica degli anni Cinquanta (a dire il vero, perfettamente in linea con l’allestimento scenico): all’effetto “grattugia” degli amplificatori si accompagna quello di muggito degli ottoni, sempre in primo piano, e dei bassi troppo accentuati. La lentezza del procedere, soprattutto nel I atto, è insopportabile a chi ascolta, e compiace troppo alle esigenze del corpo di ballo; con la sofferenza annoiata dei numeri d’insieme sorge la certezza che la registrazione di base sia stata manipolata in studio per rallentare i tempi a uso e consumo della compagnia. In una parola, la musica di Čajkovskij è violentata e scavalcata, come se non esistesse altro che il suo ritmo. Ma in un balletto, in cui la coreografia è costruita a partire dalla scrittura musicale, non devono godere contemporaneamente gli occhi e le orecchie? Quando si apre la scena, del resto, anche gli occhi lamentano una totale delusione per quanto riguarda la scenografia: oggetti, quinte dipinte, costumi – tutto – anziché arricchire ed esaltare la vicenda coreografica hanno un amaro gusto di decrepita decadenza; tutto è vecchio, polveroso, inattuale in un teatro europeo del 2015. Sembra un viaggio a ritroso nel tempo; sembra di guardare un vecchio video degli anni Settanta (a essere generosi), in cui neppure il personaggio più spiritoso del balletto, cioè il giullare di corte, ha niente di divertente; anzi, si presenta come un clown triste e penoso nelle gags totalmente démodé, che non consentono neppure di apprezzare le doti e le variazioni dell’interprete. In generale il corpo di ballo e gli esecutori secondari sono tutti molto giovani: ben preparati e tecnicamente validi, non però del tutto a loro agio nel dominio del palcoscenico, perché difettano ancora nella pantomima e nella gestualità, che nei classici sono un requisito importante. Molto apprezzato il Pas de trois dalle variazioni complesse: con grandi salti, diagonali di giri abbinati a passi ed esibizioni di perfetto equilibrio, i ballerini impegnati in questo numero danno prova di totale controllo e sono brillati per tecnica interpretativa (soprattutto Luis Valle). Nel II atto la magia della scena sarebbe di presentare uno spazio dominato dal bianco dei cigni; questo implica che le ballerine presenti contemporaneamente siano tantissime. Soltanto così lo spettatore può entrare nel fantastico mondo delle favole. Ma, al contrario dell’aspettativa, sul palco del Teatro Canal ci sono pochi cigni, e non certo l’intero settore femminile della compagnia. È risaputo che i grandi classici hanno bisogno di un grande numero di danzatori e di figuranti, soprattutto se ci si ostina a rappresentarli nelle versioni più tradizionali (quella di Alicia Alonso risale alla fine del 1953!). Ma della ricchezza dei personaggi e della complessità scenica previste dal libretto non rimane quasi nulla. Appare finalmente Viengsay Valdés e la curiosità del pubblico cresce, perché chi la conosce bene sa che i suoi ruoli favoriti sono quelli d’azione (Diana, Quitri); un’interpretazione dolce e indifesa come deve essere quella di Odette rappresenta pur sempre una sfida che lo spettatore gusta con piacere. L’étoile entra subito perfettamente nel personaggio e regala un pas de deux divino, anche perché le sue attuali condizioni fisiche somigliano molto a quelle di Alicia Alonso: controllo assoluto dell’equilibrio, capacità di girare, saltare ed elevarsi inaudita per una donna, spontaneità di recitazione. La coppia con Victor Estévez è del tutto equilibrata, con perfetta intesa; nella parte di Siegfried il danzatore riesce a esaltare tutte le sue doti, maestoso ed elegante mentre esegue jeté entrelacé, assemblé en tournant e la famosa scena finale di chaînés; la diagonale di pirouettes con rond de jambes en l’air è talmente controllata da demi plié profondi ed esatti che non solo ammortizza il salto ma ne allunga anche il movimento. Lo spettatore si accorge che Victor Estévez è ormai sicuro e professionalmente maturo, e dunque un partner adeguato per la Valdés. Odette, dal canto suo, è sublime, ma Odile addirittura sciala in talento, in pose di equilibrio di incredibile durata, in giri di totale fluidità; al vertice della rappresentazione, nel III atto, l’étoile realizza la sequenza dei fouettés aprendoli, inframmezzandoli e chiudendoli con quattro pirouettes, e sempre con le braccia in seconda posizione. Quando la ballerina gira in quel modo senza l’aiuto diretto delle braccia produce un’autentica prodezza che manda in estasi il pubblico: scoppiano applausi e urla di entusiasmo e meraviglia, in un’atmosfera di gioia e partecipazione che cresce sempre di più. Purtroppo il balletto non prosegue a questi livelli, perché nell’ultimo quadro il personaggio di Rothbart si perde in un’interpretazione anonima, proprio quando dovrebbe rappresentare la forza del male, in lotta con il principe per l’anima di Odette. Un’altra volta ancora nella rappresentazione si perde l’efficacia drammatica, anche per colpa di tagli piuttosto feroci sulla partitura; il risultato complessivo è quello di un balletto mediocre eseguito da una compagnia talentuosa, che potrebbe rendere molto di più. Se attorno a singole stelle di grandissima qualità si aggira il deserto, in uno scenario desolante per la vista e per l’udito, quale può essere il futuro del Ballet Nacional de Cuba?