Pesaro, Adriatic Arena
Coro del Teatro Comunale di Bologna
Orchestra Filarmonica “Gioachino Rossini”
Direttore Donato Renzetti
Maestro del Coro Andrea Faidutti
Soprano Jessica Pratt
Mezzosoprano Viktoria Yavaya
Tenori Juan Diego Florez, Dempsey Rivera
Basso Mirco Palazzi
Gioachino Rossini: “Messa di Gloria” per soli, coro e orchestra. Edizione critica della Fondazione Rossini, in collaborazione con Casa Ricordi , a cura di Giovanni Acciai
“Il pianto d’Armonia sulla morte d’Orfeo”, cantata di Girolamo Ruggia per tenore, coro e orchestra. Revisione secondo le fonti
“La morte di Didone” cantata drammatica per soprano e orchestra
Pesaro, 18 agosto 2015
La prima rappresentazione della Messa di Gloria per soli, coro e orchestra di Gioachino Rossini avvvenne a Napoli il 24 marzo 1820, nella chiesa di San Ferdinando. Il rapporto fra Rossini e la musica sacra è stato sempre una costante del suo essere compositore: si pensi alla giovanile Messa di Ravenna, ad esempio. Ma dovranno passare molti anni prima che il compositore pesarese, soprattutto dopo lo studio delle opere religiose di Haydn e Mozart (per il quale Rossini nutriva una autentica venerazione), raggiungesse un’esperienza nella ricerca stilistica e drammaturgica che non solo confluirono nelle grandi opere rossiniane, ma anche nella musica sacra, ad iniziare da quel capolavoro che è la Petite Messe Solennelle. E non a caso gli oratori di Haydn furono per Rossini quasi un peso costante, soprattutto un carico di responsabilità nell’evitare di emulare il compositore tedesco con un oratorio a soggetto. Maturità che raggiunse in tarda età e che trovò nello Stabat Mater un epilogo maestoso, che portò Rossini a confrontarsi con la letteratura religiosa di ogni tempo, da Palestrina, Monteverdi, Pergolesi, fino ad arrivare alle grandiosità sinfonico-sacre di Verdi. Non vi sono molte notizie sulla commisisone della Messa di Gloria di Rossini, che, secondo il Giornale del Regno delle Due Sicilie del 31 marzo 1820, venne composta “a divozione dell’arciconfraternita di San Luigi’’. Nella Messa di Gloria, come per molte altre sue composizioni, non mancano i riferimenti ad altre composizioni. Rossini che attingeva da altre opere non è una novità, ma quando questo si estese, per la Messa di Gloria, all’opera Atalia di Mayr si aprì una querelle napoletana, che si estese anche alla programmazione del San Carlo, dove quest’ultima doveva essere messa in cartellone e che venne sostituita da Ciro in Babilonia di Raimondi. La Messa di Gloria, che quest’anno è certamente stata la novità musicale del cartellone del ROF 2015, è stata seguita da un numerosissimo pubblico internazionale all’Adriatic Arena. Una esecuzione indubbiamente pregevole, a partire dalle compagini orchestrali e corali affidate alle solide mani di Donato Renzetti, direttore sempre elegante, dal tocco lieve, dal gusto raffinato nel gestire abilmente gli ingredienti lirico-religiosi di questa composizione. Nel quartetto solistico, la parte del leone l’ha fatta il tenore Juan Diego Florez che dopo aver duettato (con un Dempsey Rivera) nel “Christe eleison” si è prodotto in tutti i brani solistici (“Gratias agimus tibi”, “Qui tollis peccata mundi” e “Qui sedes a dextram Patris”), evidenziando le sue potenzialità e capacità virtuosistiche, rimanendo di diritto (anche dopo il successo di Otello alla Scala), il miglior interprete rossiniano oggi in attività. Con la Pratt e Palazzi, Florez ha dato vita a un momento di autentica, intima e vera intensità religiosa-musicale. Il soprano Jessica Pratt ha brillato nel “Laudamus te” e nel terzetto “Domine Deus” (valido l’apporto del mezzosoprano Viktoria Yavaya). Non va sottaciuto l’apporto del basso Mirco Palazzi nel “Quoniam tu solus sanctus”, con il bel velluto del timbro e gli accenti appropriati agli aspetti drammaturgici della messa. Inappuntabili gli interventi del Coro del Teatro Comunale di Bologna, diretto da Andrea Faidutti.
Nella seconda parte del concerto, Juan Diego Florez, nella cantata su testo del gesuita svizzero Girolamo Ruggia per tenore, coro e orchestra “Il pianto d’Armonia sulla morte d’Orfeo”, ha evidenziato come la vocalità rossiniana non ha confini, e può andare da un repertorio sacro a quello lirico, fino ai poemetti didascalici come il Pianto d’Orfeo, composto per l’educazione musicale dei giovani. E fra questi vi era anche Gioachino Rossini, che nel 1806 era stato per acclamazione aggregato alla prestigiosa Accademia Filarmonica di Bologna, “approvato all’esercizio dell’Arte Musica del Canto’’. E il severo padre Stanislao Mattei seguì il giovane Rossini, affascinato dalla cantica di Ruggia: “Finchè in pregio l’arti armoniche,/ Finché care all’uom saranno/ Ogni cor pietoso, e tenero/ Il tuo fato piangerà”. Rossini comprese negli ultimi versi della cantata che vi erano dei valori contenutistici, quali l’amor sincero e l’ingentilire i cuori, che sarebbero divenuti il dna della sua carriera operistica. La pagina si compone di una sinfonia, del coro “Quale i campi Rodopei’’, dell’aria “Nelle spietate Furie’’ – preceduta dal recitativo “Sparse il lacero crine’’, quindi del recitativo “Ma che tu desti già’’ – e l’aria conclusiva con coro “Almo piacer de’ Numi’’. Ma è la sinfonia, in due tempi, che domina la cantata, e già si possono vedere i prodromi rossiniani e la sua forte duttilità e predisposizione per la musica strumentale. A nove battute dalla conclusione della sinfonia compare, per la prima volta, una progressione discendente che Rossini utilizzerà nel Barbiere di Siviglia e servirà a ripristinare il bel tempo dopo il Temporale. Inutile dire che l’interpretazione del tenore peruviano è stata esemplare per vocalità, gestualità interpretativa e variazioni musicali. “La morte di Didone”, che il padre di Rossini, Giuseppe, indica come composta nel 1810 e destinata alla signora Ester Mobelli, vede la supremazia vocale del personaggio in primo piano. In questo caso Jessica Pratt, ha mostrato, nel complesso. buone capacità nel dare voce al pathos, al ricordo, alla drammaticità degli eventi e la sua vocalità ha raggiunto momenti di un certo impatto emotivo. A un ascolto più attento, però, l’insieme di questa interpretazione dà l’impressione di una certa superficialità di approccio da parte del soprano australiano: l’emissione non sempre impeccabile, così come il fraseggio non curatissimo. Ancora una volta ottime prove dell’orchestra e coro diretti con il giusto scatto ed equilibrio espressivo da Renzetti. Calorosi applausi per tutti.