Martina Franca, Palazzo Ducale
“LE BRACI”
Opera in un atto. Libretto e musica di Marco Tutino
Kristina ANGELA NISI
Nini ROMINA TOMASONI
giovane Konrad DAVIDE GIUSTI
giovane Henrik PAVOL KUBAN
Konrad ALFONSO ANTONIOZZI
Henrik ROBERTO SCANDIUZZI
Orchestra Internazionale d’Italia
Direttore Francesco Cilluffo
Regia Leo Muscato
Scene Tiziano Santi
Costumi Silvia Aymonino
Disegno luci Franco Machitella
Coreografie: Mattia Agatiello
Danzatori Fattoria Vittadini: Chiara Ameglio, Mattia Agatiello, Cesare Benedetti
Martina Franca, 1 agosto 2015
Commissionato dal Festival della Valle d’Itria e dalla Fondazione del Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, l’ultimo melodramma di Marco Tutino non smentisce le linee di una poetica rivolta verso una teatralità musicale di grande forza comunicativa: linee melodiche godibili, giochi di ammiccamento con la grande tradizione europea, simbolismi sonori di facile decifrazione, fanno in modo che i novanta minuti di musica scorrano intensi e mai stancanti anche per il pubblico meno avvezzo alla produzione di un compositore contemporaneo. L’ambizioso progetto di ridurre a libretto d’opera il celebre romanzo Le braci di Sàndor Márai è infatti pienamente riuscito in quanto l’alternanza tra passato e presente nello svolgimento dell’azione ha dato luogo a una scansione drammatica funzionale a un’articolazione musicale netta: ritmi di valzer e dinamiche accese per i sette squarci sul passato (il 1899, la danzante finis austriae), dinamica contenuta e rarefazione timbrica per i sette momenti concentrati sul desolato presente (il 1940 e la devastazione della Seconda Guerra Mondiale). Il libretto, sempre di Tutino, trascritto nel volume di sala era mancante del sesto flashback che vedeva impegnate in dialogo Kristina e la governante Nini ma l’ottima dizione delle due cantanti ha permesso di comprendere ogni parola del testo. Il primo violino assolve qui ad una funzione ‘narrativa’ (quasi fosse la voce dell’historicus di un oratorio) poiché è ad esso che spettano i momenti di sutura tra le due dimensioni temporali (un omaggio alla tradizione operistica di Sette e Ottocento dove la compagine dei violini deteneva la condotta tematica?). Tutino calibra i momenti di più acceso pathos melodico con un equilibrio che lascia ipotizzare un autentico calcolo cronometrico e che mostra una perfetta padronanza nella disposizione dei punti espressivi (questa dote discrimina tra chi può dirsi un operista e chi no). Di picchi melodici si può parlare per i versi del Giovane Konrad «Questa non è la mia vita», e di Kristina «Siamo qua da troppo tempo» o, più avanti, «Ma come amavo la vita!»; una vera e propria ‘aria’ incarna quelli di Henrik che iniziano con «Nella mia vita ho visto di tutto»; nel momento in cui la pantomima gestita sullo sfondo della scena mostra il giovane Konrad che uccide il giovane Henrick sparandogli alle spalle durante una battuta di caccia al cervo Tutino colloca il passaggio di più spiccato coinvolgimento emotivo, climax dell’intera opera. Rispetto al citazionismo abusato in alcune opere contemporanee (penso a Lo stesso mare di Fabio Vacchi tratto dall’omonimo romanzo di Amos Oz), Le braci si limita a ricordare l’incipit della polonaise fantaisie di Chopin nominata dal giovane Konrad nel secondo flashback e a rievocare il prélude di Debussy Passi nella neve nello splendido quinto flashback dove Kristina si confessa nel suo diario intimo. Notevoli per intensità melodica sono risuonati il terzetto del quarto flashback fra i protagonisti del tragico triangolo amoroso e il quintetto finale, sostenuto dai suggestivi rintocchi delle campane tubolari e dai colpi di timpani presenti all’inizio dell’opera del quale, con riferimento a un’idea romantica di ciclicità, si riproponeva la musica. Sul podio il giovane Francesco Cilluffo ha sostenuto l’ottima Orchestra Internazionale d’Italia con una invidiabile concentrazione e con una forte intensità gestuale. Molto buona la prova dell’intero cast: in primo luogo l’Henrik di Roberto Scandiuzzi, basso profondo dal timbro brunito, attorialmente autorevole; poi i due baritoni Pavol Kuban e Alfonso Antoniozzi di bella sonorità; il soprano Angela Nisi ha dato prova di notevole espressività destreggiandosi in una parte di non facile intonazione; calda e adeguata al personaggio della vecchia governante la voce diel contralto Romina Tomasoni; preciso e maturo il tenore Davide Giusti. La regia di Leo Muscato è stata forse vincolata dallo spazio del cortile di palazzo ducale e a sua detta è stato necessario «trovare una sintesi visiva che potesse far convivere i boschi dei Carpazi e il Castello in cui Henrik si è rinchiuso». Il cambio di ambiente è infatti stato gestito tramite rapidi giochi di luce che tuttavia non sempre rispettavano le didascalie di Tutino; un po’ didascalico ma utile allo spettatore il modo in cui si è svolta la pantomima riferita alle scene mimate, tenute alle spalle delle pareti angolari del castello di Henrik. Raffinati i costumi di Silvia Aymonino che ben si amalgamavano con le scene di Tiziano Santi e il disegno luci di Franco Machitella. Dopo l’ascolto delle Braci la frettolosa equazione che lega l’opera contemporanea ad aggettivi come ‘pesante’, ‘ostico’, ‘incomprensibile’ va senza dubbio rivista. Foto Paolo Conserva