Felice Romani e i suoi melodrammi: “Maometto” di Peter von Winter

Rappresentato per la prima volta il 28 gennaio 1817 alla Scala di Milano, dove rimase in cartellone per ben 45 serate grazie anche a un cast d’eccezione all’interno del quale figuravano Domenico Donzelli (Maometto), Filippo Galli (Zopiro), Carolina Bassi (Seide), Francesca Maffei Festa (Palmira), Ranieri Remorini (Omar) e Giovanni Antonio Biscottini (Fanor), Maometto fu l’opera forse di maggior successo del compositore austriaco Peter von Winter, ottimo musicista, il quale, tuttavia, non godette di grande stima presso i colleghi contemporanei, come Mozart, Spohr, Meyerbeer e Weber, che gli imputarono un carattere difficile. Winter. che era nato a Mannheim il 28 agosto del 1754 da un ufficiale al servizio del principe elettore, si distinse sin da bambino per le sue doti musicali diventando, già a 17 anni, violinista nella celebre orchestra di corte, famosa in tutta Europa e punto di riferimento per lo sviluppo del sinfonismo nel tardo Settecento. Questa esperienza fu estremamente formativa per Winter che ebbe modo di conoscere le opere serie di Johann Christian Bach, di Anton Scweitzer e di Ignaz Holzbauer e i melodrammi di Georg Benda la cui produzione lo affascinò a tal punto da diventare il suo modello. Dopo aver composto in gioventù musica strumentale, Winter, superate anche alcune ristrettezze economiche sorte in seguito alla morte del padre, poté dedicarsi al teatro quando il principe elettore decise di trasferire, nel 1778, la corte a Monaco con tutta l’orchestra della quale fu nominato direttore. Nella capitale bavarese Winter, oltre a dirigere diverse opere e a fare la conoscenza di Mozart, incominciò a scrivere per il teatro dedicandosi alla composizione di balletti e melodrammi, ma fu l’incontro, in occasione di un viaggio a Vienna tra il 1780 e il 1781, con Antonio Salieri, che gli fece conoscere lo stile belcantistico, ad indurlo ad esordire come operista. La sua prima opera, Helena und Paris, il cui libretto di K. J. Förg si basava su un soggetto già trattato da Calzabigi, si rivelò un fiasco alla prima rappresentazione a Monaco nel 1782 e miglior sorte non toccò al Bellerophon, rappresentato sempre nella capitale bavarese nel 1785; per nulla scoraggiato da questi insuccessi iniziali, Winter continuò a comporre opere e colse il suo primo importante successo a Vienna, nel 1796, con Das unterbrochene Opferfest. Dopo una fredda accoglienza, da parte del pubblico, ad alcune sue opere rappresentate a Monaco dove era diventato nel 1798 Kapellmeister di corte, colse alcune soddisfazioni con la rappresentazione a Londra tra il 1803 e il 1804 di tre opere, La grotta di Calipso, Il trionfo dell’amor fraterno e Il ratto di Proserpina, tutte su libretto di Da Ponte, e con il Maometto, su libretto di Felice Romani, dato nel 1817. Il ritorno degli Austriaci determinò dei cambiamenti al vertice del più importante teatro lombardo con la sostituzione dell’impresario genovese Francesco Benedetto Ricci che aveva stipulato con Romani un contratto per la redazione di nuovi libretti; il nuovo impresario, Angelo Petracchi, pur aprendo le porte del massimo teatro italiano a compositori di lingua tedesca come Winter, Joseph Weigl, Adalbert Gyrowetz e Joseph Stuntz, mentenne gli impegni presi dal suo predecessore ed, essendo Poeta lui stesso e autore di un libro nel quale dimostrava che i teatri dovevano essere gestiti dai governi tramite un’amministrazione stabile, si dimostrò aperto all’acquisizione di nuovi libretti promuovendo anche dei concorsi, uno dei quali fu vinto da Romani proprio in occasione della stesura del libretto della Testa di bronzo. Fu in questo clima filoaustriaco che nacque Maometto, per il cui libretto Romani s’ispirò a una tragedia di Voltaire, Mahomet ou le fanatisme, scritta nel 1736, che, quasi del tutto dimenticata oggi, aveva goduto di una certa popolarità nel Settecento e nell’Ottocento anche in Italia nella traduzione pubblicata da Melchiorre Cesarotti nel 1791. Il librettista italiano, secondo le sue abitudini, non seguì direttamente la sua fonte apportando delle modifiche soprattutto nella scena iniziale dell’atto primo anticipatrice di quella del Nabucco di Verdi in quanto rappresenta Zopiro che, come il profeta Zaccaria con gli Ebrei, incoraggia i cittadini della Mecca sotto assedio da parte delle forze di Maometto.
L’opera e il libretto
L’Ouverture
, aperta da un’introduzione lenta nella quale, sia per le scelte armoniche che timbriche, si configurano delle atmosfere da Sturm und drang, si sviluppa in un ampio Allegro in forma-sonata in cui appare evidente la perizia del trattamento dell’orchestra da parte di Winter.
Atto primo
All’interno del tempio della Mecca
, città assediata dalle truppe di Maometto, il popolo, in una scrittura solenne e di carattere sacro per il sapiente uso della polifonia, prega gli dei affinché possa salvarsi. Zopiro (Fine al pianto) esorta il popolo a non darsi per sconfitto e dichiara nel cantabile (L’estremo periglio) di preferire la morte alla sottomissione affermando, nella cabaletta (Sì, la patria fia sempre difesa), che la patria deve essere difesa a qualunque costo. Nel successivo recitativo accompagnato, nel quale Fanar chiede notizie di Palmira prigioniera all’interno delle mura, si apprende che Zopiro ha subito di recente dei gravi lutti. Il popolo, su invito di Zopiro, promette in un coro di carattere battagliero (Tremi, tremi l’audace nemico) vendetta contro il nemico.
Nell’atrio del palazzo di Zopiro, Palmira, languente per la sua condizione di schiava, è confortata da un coro di donzelle (Quel bel ciglio ritorni sereno) al quale risponde, nel recitativo Invano, amiche, di essere triste non tanto per la sua condizione di prigioniera, quanto per la sua lontananza dall’amato Seide, nei confronti del quale manifesta il suo amore nel cantabile di carattere patetico, Dove il mio ben s’aggira, che si evidenzia per una purezza melodica di vaga ascendenza mozartiana. Nel tempo di mezzo Pietoso amor il coro, che funge da pertichino, cerca di infondere nella donna sentimenti di speranza ai quali Palmira si abbandona nella cabaletta, Ah! Questa speranza. Nel successivo recitativo secco, nel quale Zopiro chiede a Palmira in che modo possa alleviare la sua pena, la donna afferma la sua volontà di essere restituita a Maometto che l’ha amata come un padre ricevendo un secco rifiuto; i due vengono interrotti da Fanar il quale comunica che Omar è alle porte per chiedere la pace rifiutata fieramente da Zopiro nel successivo recitativo secco. Omar non desiste e nel duetto successivo (tempo d’attacco: Cedi: è la sua vendetta) passa alle minacce ottenendo un altro fiero rifiuto da parte di Zopiro il quale preferisce esser colpito da un fulmine piuttosto che essere costretto a vendere la patria (cantabile: Pria che la patria io venda). Omar, allora, lo invita ad ascoltare Maometto in persona (tempo di mezzo: Odi Maometto almeno), ottenendo un ulteriore rifiuto, anche minaccia di rivolgersi al Gran Consiglio della città. Nella cabaletta conclusiva (Cotanto orgoglio) i due uomini sperano che l’orgoglio del rispettivo rivale possa presto venir meno. Palmira, che ha udito i rifiuti di pace da parte di Zopiro all’ambasciata di Omar, dispera di rivedere il suo amato Seide (recitativo accompagnato: Ah quali accenti di minaccia e d’ira intesi) che, però, inaspettatamente la raggiunge per confermare il suo amore per lei (tempo d’attacco: Per vederti amato bene). I due possono allora abbandonarsi alla gioia di ritrovarsi ancora innamorati dopo tanti affanni (cantabile: Ah! Dopo cotanti / affanni crudeli) e, dopo essersi scambiate le reciproche promesse di non lasciarsi (tempo di mezzo tagliato nell’edizione in ascolto: Deh! Più non lasciarmi), esprimono ancora una volta la loro gioia nella cabaletta (Oh! Come fugace) anch’essa tagliata in questa edizione. Omar sopraggiunto li rassicura sul possibile lieto fine del loro amore grazie all’aiuto di Maometto che ama entrambi come figli.
La scena si sposta nei pressi delle porte della città dove, accompagnato dai suoi guerrieri inneggianti a lui (coro: La città che a te si schiude), giunge Maometto il quale dichiara di venire con intenzioni pacifiche (recitativo accompagnato: Popolo generoso), ribadite nel cantabile dell’aria (Non catene, orrore e mali) di vaga ascendenza mozartiana. Mentre Maometto dà disposizioni ai suoi guerrieri, si presenta al suo cospetto Seide che, però, suscita inizialmente lo sdegno del Profeta per avergli disobbedito entrando nella città prima di un suo cenno. Nel successivo terzetto Ah! Qual minaccia e sdegno, i tre sembrano turbati: i due amanti perché vedono l’inflessibilità di Maometto e questi perché innamorato di Palmira. Dopo l’arrivo di Omar che annuncia l’intenzione di Zopiro di incontrare Maometto, il Profeta si mostra, però, più morbido nei confronti dei due amanti (Costanza e fede). Nel drammatico colloquio tra Zopiro e Maometto, costruito nella forma del duetto, il Profeta prova in tutti i modi a convincere l’anziano nemico ad accettare la pace, prima minacciando delle ritorsioni (tempo d’attacco: In te punir domani), poi affermando che gli avrebbe potuto restituire i figli trattenuti come ostaggi nel suo accampamento (tempo di mezzo: Necessità l’impone). Zopiro tentenna ma alla fine rifiuta quest’ultima offerta del Profeta nella veemente cabaletta Io son padre nella quale mostra di voler difendere la sua patria a scapito anche dei più importanti e teneri affetti familiari. Nel successivo recitativo secco Omar suggerisce a Maometto di parlare al Consiglio della città in cerca di soluzioni per salvare la patria (Coro: Come salvar la patria che dà l’avvio al Finale del primo atto); prevenuti da Fanar che ha loro comunicato i rifiuti di tutte le offerte di pace, i consiglieri, di fronte a Maometto, dopo un attimo di tentennamento, finiscono per cedere. Maometto chiede allora in segno di pace che gli venga consegnata Palmira subito condotta dinnanzi al Profeta insieme a Seide. I due giovani, nei confronti dei quali Maometto si mostra clemente e magnanimo, esprimono tutta la loro gioia nel dolce e languido cantabile, Lascia che un bacio imprima, ma quando si sta per sottoscrivere il trattato di pace interviene Zopiro che legge un foglio nel quale è dimostrato che Maometto avrebbe offerto una falsa pace per poter aprire le porte della città ai suoi soldati. Ciò produce in tutti un certa meraviglia e, nonostante Maometto affermi la falsità del documento, nella stretta finale il consiglio decide di rifiutare la pace facendo allontanare il Profeta, mentre Palmira e Seide tremano per il loro incerto destino.
Atto secondo 
All’interno del palazzo di Zopiro
, Maometto e Omar stanno pianificando di uccidere Zopiro (Prima che giunto sia) prima di andar via e, per realizzare il suo piano, Maometto sceglie Seide che, poco prima, aveva giurato di portare a compimento un alto compito del quale, però, non conosceva i dettagli. Maometto, allora, rivela a Seide in un drammatico e intenso duetto (recitativo accompagnato: Giovane avventurato!) che dovrà uccidere Zopiro, ma il giovane, inizialmente sorpreso, dopo aver chiesto al Profeta di affidare questo compito ad un’altra persona (tempo d’attacco: Ah! Confida ad altra mano), si piega (cantabile: Ah! Che a questa idea crudele, tagliato in questa edizione e tempo di mezzo Ferma… ascolta) soltanto quando apprende che in caso di rifiuto non avrebbe più visto Palmira e nella cabaletta (Vado: fermezza e zelo) impone a se stesso di mantenersi fermo nel compiere la missione. Seide è raggiunto da Zopiro, il quale, nel recitativo secco Non turbarti Seide, si mostra clemente con il giovane sempre più tormentato (recitativo accompagnato del successivo duetto: Ah! Taci… io sento) e quasi convinto a desistere dai propositi omicidi (tempo d’attacco: Quella pietà m’ascondi); l’intervento di un coro di seguaci di Maometto ricorda il giuramento al giovane che nella virtuosistica e belcantistica cabaletta Sì, vi seguo decide di compiere la sua missione.
La scena si sposta in un tempio sotterraneo dove Seide attende Zopiro, come si apprende nel recitativo accompagnato, In questo luogo orrendo, durante il quale Palmira cerca di far desistere il suo amante dal tremendo proposito. Giunge Zopiro che prega (dolce e patetico cantabile del terzetto: Deh! Non tradite o numi), mentre Palmira e Seide sono sempre più tormentati. Il giovane vorrebbe compiere la sua tremenda missione (tempo di mezzo: Si risolva… corriam) e, superati gli ostacoli opposti sia da Palmira sia dagli scrupoli di coscienza che lo attanagliano, alla fine e ferisce Zopiro che, moribondo, cammina a stento accompagnato da una musica esitante e piena di appoggiature intrise di pathos. Giunge tardi Fanar con l’intenzione di evitare il delitto anche perché è stato informato del fatto che Palmira e Seide sono i figli di Zopiro generando nei presenti una meraviglia dalla quale scaturisce la pausa lirica del cantabile del quartetto I figli miei… che intendo?. Seide, pentito, vorrebbe vendicarsi di Maometto, ma è fermato da Omar che, recando un decreto di Maometto in base al quale non ci deve essere alcun spargimento di sangue nemmeno tra i nemici, porta con sé prigioniero il giovane perdonato che attribuisce la responsabilità del misfatto a colui che ha armato la sua mano. Maometto, che si trova nei pressi delle porte della città, assapora la vittoria, sebbene turbato da un presentimento. Palmira, condotta da Omar in sua presenza, lo accusa del misfatto compiuto (recitativo accompagnato Avanzati Palmira) e, non piegandosi alle minacce di morte da parte di Maometto (tempo d’attacco: Aggiungi colpe a colpe), invoca dal cielo l’aiuto paterno per sostenere la pesante prova (cantabile: Dal ciel mira). Subito dopo un coro di Maomettani annuncia che il popolo ha liberato Seide e si sta dirigendo in tumulto contro il Profeta. La donna raggiante prorompe, allora, nella cabaletta Della fatal vendetta. Sulla scena giunge Seide riesce ad abbracciare la sorella prima di essere ucciso da Maometto che alla fine impone la sua volontà su tutti (Finale: Sì, tremate), mentre il popolo chiede pietà (Deh! Perdona).