Palazzo Ducale, Sala dello Scrutinio, Festival Lo Spirito della Musica di Venezia 2015, Opera e teatro musicale
“DAFNE” (1719)
Dramma pastorale per musica in tre atti. Libretto di Giovanni Biavi
Musica di Antonio Caldara
Dafne/Venere FRANCESCA ASPROMONTE
Febo CARLO VISTOLI
Aminta/Mercurio KEVIN SKELTON
Peneo/Giove RENATO DOLCINI
Orchestra Barocca del Festival
Direttore Stefano Montanari
Regia Bepi Morassi
Costumi Stefano Nicolao
Impianto scenico Gli Impresari
Nuovo allestimento Fondazione Teatro La Fenice in collaborazione con Fondazione Musei Civici di Venezia
Venezia, 11 luglio 2015
Una bella sfida quella raccolta da Bepi Morassi – già apprezzato a Venezia, in particolare, per vari allestimenti rossiniani – nell’accettare di mettere in scena la Dafne di Antonio Caldara, uno degli appuntamenti più attesi del Festival Lo Spirito della Musica di Venezia, giunto ormai alla sua terza edizione. Si tratta di un’opera del periodo tardo barocco, caratterizzata, come molte altre appartenenti a questa temperie culturale, da una staticità di fondo, che il regista veneziano ha saputo efficacemente esorcizzare con oculate scelte, conferendo allo spettacolo dinamismo e interesse drammaturgico, grazie, tra l’altro, all’uso tipicamente barocco delle macchine sceniche. Determinante, a questo proposito, la presenza, in qualità di direttore e primo violino dell’Orchestra Barocca del Festival, di Stefano Montanari, anch’egli ormai di casa a Venezia: uno specialista molto attento alla prassi esecutiva sei-settecentesca, con cui Morassi già ha collaborato precedentemente in altre occasioni. Ne è nato uno spettacolo, nel quale il versante musicale e quello teatrale si integravano mirabilmente. Questa regia, dunque, si realizza grazie all’utilizzo di macchine lignee, azionabili unicamente a mano, appositamente riprodotte sulla base dei modelli originali, cosicché la rappresentazione appare come una complessa macchina teatrale, in ossequio alla tradizione scenotecnica propria dell’epoca barocca. Tali marchingegni svolgono un ruolo fondamentale di supporto ai vari personaggi e alla loro teatralità, nelle diverse situazioni sceniche: dalla discesa di Febo dal cielo alla trasformazione di Dafne in lauro. Tutte queste soluzioni sono ovviamente concepite in funzione del luogo in cui l’opera si rappresenta, la Sala dello Scrutinio di Palazzo Ducale, la cui iperbolica bellezza offre non poche potenzialità ornamentali alle esigenze teatrali: sullo sfondo il saliscendi di Febo, tramite fra cielo e terra, mentre ai lati si allungano verso il pubblico due penisole, dove si svolge prevalentemente l’azione scenica. L’aspetto più propriamente decorativo è affidato, inoltre, ai sontuosi costumi, realizzati da Stefano Nicolao, che rimandano all’epoca in cui Dafne è stata messa in scena, cioè l’inizio del Settecento, riproponendo anche in questo caso una consuetudine diffusa ai tempi di Caldara, vale a dire quella di vestire i personaggi del mito o della storia con abiti contemporanei. In sintesi, questo allestimento ha inteso riconsegnarci l’opera di Caldara, aderendo il più possibile alle intenzioni dell’artista, che ha concepito questo lavoro come una sorta di florilegio del virtuosismo, nient’altro che un divertisement ad uso e consumo dell’arcivescovo di Salisburgo e della sua corte, per quanto il libretto dell’abate Giovanni Biavi ci offra una trama e dei personaggi più verosimili rispetto a quanto propongono molte altre letture del mito di Dafne, dove la protagonista brilla per assoluta purezza e incrollabile virtù. Qui, infatti, la ninfa, nello svolgersi della trama, sembra mostrare qualche turbamento di fronte alle profferte amorose di Febo e Aminta, per cui la vicenda assume, per certi versi, i caratteri – per così dire – di un “normale” corteggiamento.
Assolutamente convincente, sul piano musicale, la prestazione di Carlo Vistoli nei panni di Febo. Il controtenore, infatti, ci ha regalato un dio nobilmente appassionato, essendo in possesso di mezzi vocali che gli hanno consentito di affrontare con disinvoltura e precisione i numerosi passaggi di agilità contenuti nelle arie a lui affidate. Ricordiamo, in particolare: l’espressiva “O cara, dolce e bella”; la patetica “Vado sì,/la notte e ‘l dì”, eseguita col giusto accento in una sorta di dialogo col primo violino; l’impervia (vocalmente) “Se una volta Cupido n’accende”; la soave “O verdi, dolci e care”; l’incandescente “Accende l’onda il foco”, cantata con enfasi tentando di abbracciare Dafne; infine la languida “Pupille mie adorate”. Gli ha corrisposto la Dafne/Venere di Francesca Aspromonte, dalla voce pura e smagliante come la virtù della vezzosa ninfa che impersonava. Particolarmente agile anche il soprano cosentino nelle colorature, di cui sono disseminate le sue arie: dalla rasserenante “Vado al fiume”, che però canta inseguita da Febo, alla pirotecnica “Fa ogni sforzo l’augellino”, all’edonistica “La selva risuoni”, intonata con addosso elmo e corazza, alla delicata “La bella rosa”, accompagnata dall’oboe, all’esaltante “Lieta cangiomi in alloro”, che segna l’apoteosi finale. Molto espressivo, sia vocalmente che nel gesto scenico, l’Aminta/Mercurio di Kevin Skelton, tenore leggero dal timbro omogeneo, che si è segnalato particolarmente, quanto a gusto e passione a livello interpretativo, in “Luci belle”. Pregevole l’interpretazione di Renato Dolcini, quale Peneo/Giove, dotato di una voce baritonale gradevolmente timbrata, che si è imposto in “Non so che sia”, intonata con entusiasmo venatorio, oltre che nella mestissima “Stillato in pianto”, prima di trasmutarsi in fiume, distrutto dal dolore per la mutazione della figlia, cui ha appena assistito. Su tutti ha dominato il gesto direttoriale, sensibile e sicuro, di Stefano Montanari, che ha svolto con altrettanta padronanza anche il ruolo di primo violino, sottolineando ogni particolare della musica e del canto con l’appassionata partecipazione di ogni fibra del suo corpo – come peraltro è suo costume –, sorretto egregiamente da un ensemble strumentale di assoluto pregio, in grado di aderire con sensibilità e precisione alle indicazioni del direttore, volte – come si è detto – a ripristinare la prassi esecutiva originale. Un calorosissimo successo ha suggellato questa intrigante serata. Foto Michele Crosera