Teatro Carlo Felice – Stagione d’Opera e Balletto 2014/2015
“LA VEDOVA ALLEGRA”
Operetta in tre atti su libretto di Viktor Léon e Leo Stein, dalla commedia L’Attaché d’ambassade di Henri Meilhac.
Musica di Franz Lehár
Hanna (Bray-fus) Glawari PATRIZIA ORCIANI
Il barone Mirko Zeta FABIO MARIA CAPITANUCCI
Valencienne, sua moglie SONIA CIANI
Il conte Carlo Felice BRUNO TADDIA
Camille de Petruzzel MANUEL PIERATTELLI
Il visconte Lascalà ROBERTO MAIETTA
Raoul de la Feniche DARIO GIORGELÈ
Bogdanowitsch RICARDO CRAMPTON
Kromow DANIELE PISCOPO
Pritschitsch RAFFAELE PISANI
Sylviane MARTA CALCATERRA
Olga SARA CAPPELLINI MAGGIORE
Praskowia KAMELIA KADER
Njegus AUGUSTO FORNARI
Orchestra e Coro del Teatro Carlo Felice di Genova
Direttore Felix Krieger
Maestro del coro Pablo Assante
Regia Augusto Fornari
Assistente alla regia Fabrizio Matteini
Scene Enrico Musenich
Adattamento costumi di repertorio Elena Pirino
Coreografia Giovanni Di Cicco
Light designer Gianni Paolo Mirenda
Allestimento Fondazione Teatro Carlo Felice
Genova, 23 luglio 2015
Quando la stagione che volge ora al termine fu presentata, lo scorso settembre, il Teatro Carlo Felice propose (eccezionalmente in luglio, sperando in qualche benefico influsso di EXPO) “La Vedova Allegra” nel celebrato allestimento di Hugo de Ana, tutto lustrini e paillettes, visto l’estate passata a Torino e ripreso in inverno nel circuito veneto, per il quale fu creato diversi anni or sono. Non sappiamo per quali ragioni il progetto non sia poi andato in porto, ma sappiamo invece che per mesi e mesi sono stati venduti biglietti per uno spettacolo che è andato in scena poi in maniera quasi antitetica rispetto alla sfarzosa edizione di de Ana e di cui il pubblico ha ignorato, fino a poche settimane prima della rappresentazione, tutto il cast. È nostra forte opinione che il rilancio dell’immagine di un teatro nei confronti del proprio pubblico non possa prescindere dall’affidabilità dello stesso e, qualora si debbano fare i conti con intralci di forza maggiore, da una comunicazione chiara e diretta, in quest’occasione assai disattesa. Detto ciò, lo spettacolo che Augusto Fornari confeziona, a costo (quasi) zero, in questo caldo luglio è assai divertente e simpatico, a tratti caustico. Ecco quindi i teatri italiani (come il Conte Carlo Felice, il Visconte Lascalà o Raoul de la Feniche) fare a gara per ottenere i milioni sonanti della vedova Bray-Fus Glawari che possono tappare i buchi di bilancio e ridare ossigeno alle casse vuote delle fondazioni. L’intero spettacolo si regge sullo stesso Fornari, nei panni di Njegus, che ha modo, sia da solo (per esempio durante l’introduzione in cui presenta tutte le componenti dello spettacolo) sia in coppia col Barone Zeta, di far ridere assai un pubblico poco folto ma partecipe, abbattendo in più occasioni anche la “quarta parete”. È bene, in tempi di ristrettezze, far di necessità virtù e così la scena di Enrico Musenich è costituita letteralmente da quel che si è trovato in magazzino, elementi che hanno ben poco nesso l’uno con l’altro ma che rendono in effetti l’idea di un “regno dell’arte” in decadenza che cerca ancora di farsi bello come può, cercando di vestire tutti a festa anche se totalmente a caso, poiché tra il coro vediamo costumi ottocenteschi, abiti giapponesi, rimasugli Turandot, Carmen, Gianni Schicchi e tanti altri. Non si può negare che nel complesso lo spettacolo funzioni e risulti certamente gradevole e coerente nel suo svolgersi, eppure tanto audace strada non poteva che sacrificare altri importanti aspetti del genere dell’operetta e della Vedova in particolare: è infatti totalmente assente quell’atmosfera frizzante ma a tratti malinconica di belle-époque di cui è impregnata la Vedova Allegra e che costituisce la principale chiave di comprensione drammaturgica e musicale. Inoltre, la singolarità della trasposizione ed il centralismo del regista-attore, finiscono per appiattire gran parte dei personaggi, in primis proprio quello di Hanna Glawari e del Conte Carlo Felice, la cui vicenda amorosa risulta assai poco interessante rispetto alle altre trovate comiche del regista. Fino al terzo atto, nonostante la proverbiale ballabilità della partitura di Lehár, hanno un po’ latitato le coreografie di Giovanni di Cicco, delle quali non riusciamo a spiegarci alcuni movimenti di danza contemporanea assolutamente fuori contesto inseriti qua e là.
Sul piano musicale, non si segnala nulla di eccezionale. Pessime le luci di Gianni Paolo Miranda. La direzione di Felix Krieger è pulita e garbata, ma troppo spesso dimentica dei cantanti, dandoci modo di apprezzare bene il meraviglioso suono dell’orchestra genovese, ma coprendo in troppe occasioni le voci, penalizzate anche da uno spazio scenico la cui acustica è resa critica dal grande vuoto. La voce di Patrizia Orciani, nel ruolo della corteggiata vedova del ministro della cultura, è quella che meglio arriva al di là della buca ed offre una resa non entusiasmante ma corretta, eccezion fatta per qualche limitata sbavatura vocale. È il personaggio tuttavia, probabilmente penalizzato dalla generale impostazione dello spettacolo, a non destare particolare interesse. Altrettanto si può dire del Conte di Bruno Taddia, cui non mancano certo doti vocali, ma che non incide come interpretazione, perso nella sua debolezza tra la ricca vedova e le opera-grisettes che lo circondano. Scenicamente molto spassoso il Barone Zeta di Fabio Maria Capitanucci, in molte occasioni vera e propria spalla del travolgente Fornari, buono anche dal punto di vista vocale. Esilarante la coppia veneto-meneghina di Roberto Maietta e Dario Giorgelè (Lascalà e La Feniche). La tessitura di Valencienne è assai più grave di quella congeniale all’angelica voce di Sonia Ciani, inudibile per gran parte dei suoi interventi, mentre si è ben difeso, nonostante l’influenza ed un acuto un po’ traballante, Manuel Pierattelli come Camille de Petruzzel. In parte il resto del cast, così come ottima la prova scenica e musicale del coro preparato da Pablo Assante. Come detto, pubblico decisamente limitato, ma coinvolto e partecipe: alla fine applausi per tutti. Foto Marcello Orselli