Torino, Teatro Regio, Stagione lirica 2014-15
“FAUST”
Opera in cinque atti di Jules Barbier e Michel Carré dall’omonimo poema di Wolfgang Goethe
Musica di Charles Gounod
Il dottor Faust CHARLES CASTRONOVO
Méphistophélès ILDAR ABDRAZAKOV
Valentin VASILIJ LADJUK
Marguerite IRINA LUNGU
Siebel KETEVAN KEMOKLIDZE
Marthe SAMANTHA KORBEY
Wagner PAOLO MARIA ORECCHIA
Orchestra e coro del Teatro Regio di Torino
Direttore Gianandrea Noseda
Regia, scene e costumi Stefano Poda
Maestro del coro Claudio Fenoglio
Nuovo allestimento Teatro Regio di Torino in coproduzione con Israeli Opera – Tel Aviv e Opéra de Lausanne
Torino, 31 maggio 2015 (prova generale)
Opera un tempo molto popolare il “Faust” ha visto negli ultimi decenni diradarsi di molto le presenze almeno sui palcoscenici italiani, ritorna ora a Torino – dove mancava dal 2003 – con una nuova produzione firmata per la parte scenica da Stefano Poda – autore di regia, scene e costumi – e affidata per la parte musicale a Gianandrea Noseda.
Poda non è certo un regista prevedibile e i suoi spettacoli sono sempre destinati a far discutere e questa produzione non fa eccezione. Poda rinuncia a qualunque dato realistico, la scena si imposta su un grande anello metallico in continuo movimento e capace di assumere varie angolazioni definendo i vari ambienti della vicenda evocati dagli elementi che compaiono all’interno del cerchio – libri per lo studio di Faust, alberi per il giardino, una grande croce di luce per chiesa – molto curato il gioco di luci che raggiunge effetti di profonda suggestione nella scena della chiesa forse il momento più riuscito sul piano visivo; attorno a questa struttura centrale si dispongono iscrizioni pavimentali che ricordano i libri alchemici rinascimentali e che sono tratte dal poema goethiano. I costumi sono sostanzialmente contemporanei con un tocco di fantastico per ribadire la natura astratta e atemporale della vicenda, prevalgono tonalità di nero e rosso – il bianco solo per Margherite e gli angeli del finale – linee eleganti che richiamano modelli di alta moda leggermente eccessivi. Sul piano teatrale va notato l’uso di costumi analoghi per le varie sezioni del coro – studenti, soldati, borghesi – e l’eccessiva somiglianza fra i costumi del coro e quelli di Valentin e Siebel che tendevano a confondersi eccessivamente nella folla.
Il lavoro di regia è sempre molto curato ma se alcune soluzioni sono di grande efficacia altre tendono ad essere confuse o poco comprensibili. Così se la scena della chiesa compisce per la forza del’insieme, per l’efficacia dei giochi di luce, per la dimensione provocatoria e quasi sacrilega di certe immagini altrove le soluzioni sono più scontate – come la bambina che si allontana da Marguerite quando questa apre lo scrigno come simbolo della purezza perduta – o poco coerenti come la Martha troppo giovane e attraente in contrasto con le parole e gli atteggiamenti di Méphistophélès o il mazzolino di fiori di Siebel trasformato in un intero mantello floreale di non facile gestione per Marguerite. In ogni caso va riconosciuto al regista un segno personale e di grande coerenza anche dove le soluzioni proposte appaiono meno convinti. Maggiori perplessità suscitano le coreografie, nel valzer del finale secondo vi sono buone idee – i ballerini controllati da Méphistophélès che ricordano il “Satan conduit le bal” appena cantato dallo stesso o il bell’effetto delle braccia coordinate a creare un unico movimento – ma nell’insieme il tutto è tropo rigido, innaturale e nell’insieme poco piacevole mentre quelle del Sabba hanno un taglio troppo marziale e per nulla erotico o demoniaco come ci si sarebbe aspettati specie dopo la scena della chiesa fortemente connotata in tal senso. Sul piano musicale a trascinare il tutto è la direzione di Noseda, il direttore opta per una lettura tesissima e trascinante caratterizzata da una ritmica molto sostenuta – addirittura rapinosi e tempi nel finale secondo e nella scena del duello – affiancata da sonorità brillanti e pulite. Come sempre in Noseda si nota una grande cura per i dettagli della scrittura orchestrale che emergono anche in un taglio così fortemente vitalistico come quello impresso a questo “Faust” che riesce a mascherare in parte anche gli innegabili momenti di stanchezza che l’opera contiene al suo interno.
Il cast vocale è complessivamente valido. L’elemento più debole è il protagonista, Charles Castronovo è infatti un Faust corretto ma di scarsa personalità, dalla voce non particolarmente sonora – sovente sovrastata dall’orchestra e dal coro nei momenti di maggior impegno di questo – e con qualche difficoltà negli acuti spesso faticosi – specie in chiusura della celebre aria “Salut demeure” al limite della stecca e salvato al limite con un tentativo di mezza voce per altro non riuscito al meglio mentre il resto della prestazione si è adagiata su una dignitosa routine. I limiti di Castronovo risultavano ulteriormente evidenziati dalla vicinanza del Méphistophélès di Ildar Abdrazakov che in un ruolo come questo oggi forse non conosce rivali. Voce ampia, solida, omogenea in tutti i registri e di splendido colore, notevole personalità scenica e inappuntabile senso dello stile da del ruolo una lettura esemplare. Il suo è un Méphistophélès elegante, raffinato e salottiero, tutto risolto nel canto senza concessioni a facili effettismi – magnifica al riguardo la serenata del IV atto di una pulizia formale raramente ascoltata – ma assolutamente soggiogante rispetto a tutti, autentico motore e centro pulsante della vicenda.
Di notevole interesse la Marguerite di Irina Lungu. Voce di natura prettamente lirica, dotata di un corpo vocale decisamente interessante e di un bel colore non privo di screziature brunite offre del personaggio una lettura più umana e meno virtuosistica di quanto voglia una certa tradizione, la sua è una Marguerite che trova la sua vera natura nell’abbandono lirico del duetto con Faust e nella sincerità degli accenti drammatici della scena della chiesa piuttosto che nel virtuosismo dell’aria dei gioielli affrontata con un taglio meno spettacolare ma più coerente con il taglio complessivo del personaggio. Ulteriore prova di una maturazione costante che la cantante russa ha dimostrato nel corso degli anni.
Vasilij Ladjuk (Valentin) parte male, l’attacco di “Avant de quitter ces lieux” è incerto e sostanzialmente ingolato ma per fortuna è un problema rapidamente superato, il cambio ritmico di “J’irai chercher la gloire” gli consente di aggiustare la posizione e la ripresa dell’aria vede superato il problema. La voce è bella, robusta e squillante e nel duello risulta di gran lunga più autorevole di Castronovo.Di timbro piacevole e di buona musicalità il Siebel di Ketevan Kemoklidze molto convincente anche sul piano scenico, efficace il Wagner di Paolo Maria Orecchia e come già più volte rilevato troppo flebile Samantha Korbey non aiutata dalla regia che manca completamente la caratterizzazione del personaggio di Marthe.Ottime come sempre le prove dell’Orchestra del Regio e del coro diretto da Claudio Fenoglio.