Madrid, Auditorio Nacional de Música
Orquesta y Coro Nacionales de España – Temporada 14/15 Revoluciones
Orquesta Nacional de España
Direttore Semyon Bychkov
Gustav Mahler : Sinfonia n. 6 in la minore “Tragica”
Madrid, 29 maggio 2015
L’Auditorio Nacional de Música di Madrid è davvero un’istituzione degna di una grande capitale europea della cultura e dell’arte: nel corso della stessa serata sono proposti il 21° concerto della stagione sinfonica dell’Orquesta Nacional de España diretta da Semyon Bychkov (ore 19.30) e un concerto dell’Orquesta Sinfónica de Madrid diretta da Pinchas Steinberg (ore 22.30); ma tra l’uno e l’altro, nella Sala de Cámara (all’interno dello stesso edificio) Elisabeth Leonskaja dà avvio a un ciclo di sei concerti solistici in cui eseguirà da sola l’integrale delle sonate per pianoforte di Schubert e varie opere di Schoenberg, Webern, Berg (ore 20.00).
Poiché la bilocazione non è ancora del tutto perfetta, abbiamo dovuto scegliere, optando per la VI Sinfonia di Gustav Mahler eseguita dal complesso più importante di tutta la Spagna, guidato da un direttore particolarmente interessante, Bychkov, che si è confrontato con tutto l’Ottocento musicale, in particolare con Wagner e con il wagnerismo. La VI di Mahler rappresenta un percorso unico nella storia della sinfonia, e di non ritorno: nella conclusione la musica esplode, disintegrandosi nel nulla (esattamente all’opposto di come inizia: rutilante, aggressiva, dominatrice). Il problema di un direttore è appunto riuscire non solo a raccontare in modo chiaro questa storia di auto-annientamento, ma anche di giustificarla in termini esistenziali.
Come lavora Bychkov? Prima di tutto sceglie un tempo molto concitato per aprire la sinfonia (Allegro energico, ma non troppo), senza concedere all’orchestra neppure un attimo di respiro, affinché la tensione non si allenti mai. E con inflessibile senso del ritmo il direttore fa apprezzare una volta di più la mania sperimentatrice di Mahler, che con il I movimento della VI Sinfonia cerca una struttura diversa dalla marcia funebre (il Kondukt che non a caso apre la V). Conseguenza di una tale impostazione ritmica è il relativo disinteresse nei confronti della bellezza dei suoni, che per lo più risultano scabri, guizzanti, taglienti. Sarebbe eccessivo parlare di rozzezza, ma certamente i campanacci e la celesta suscitano un effetto espressionista all’interno di una linea sonora nella cui evidenza sono sempre gli ottoni e i loro molteplici disegni. Fino all’ultimo accordo dell’Allegro l’ascoltatore resta inchiodato alla poltrona, e anche dalla coerenza ritmica si sprigiona quell’energia che Mahler richiede espressamente. Ma segue – secondo l’edizione Kahnt del 1906 – lo Scherzo (Wuchtig), che per analoga temperie ritmica Bychkov fa quasi sembrare una variazione del I movimento. Ora però si moltiplicano gli sberleffi degli ottoni, e c’è qualche concessione in più ai ritenendo, ai glissando, ai portamenti del suono, insomma a tutti quegli effetti che devono esprimere un realismo grottesco. Se quello dell’inizio era un Mahler di invincibile assertività e di tragica convinzione, nello Scherzo la tragedia è mitigata da un’ironia un po’ grossolana, che il direttore cerca di tradurre alla portata di tutti. Ma non c’è di che illudersi: i colpi di timpano ammoniscono che l’atmosfera scherzosa è soltanto transitoria, e che una nuova condanna è ormai vicina.
Il gesto di Bychkov è chiaro ed evidente, e gli orchestrali (ma anche gli spettatori) ne comprendono le intenzioni grazie allo sguardo vivido ed eloquente che li accompagna. A questo punto, come può svilupparsi ulteriormente l’esecuzione della sinfonia con l’Andante moderato? Gli assoli dell’oboe e del corno creano l’effetto di una storia raccontata in modo pacato dopo un cataclisma; è dunque uno sforzo per riscattarsi e guardare avanti. A volte, quando sono scoperti e in pianissimo, gli archi risuonano di una leggera opacità, che in questo Mahler non disturba affatto, ma che potrebbe essere ancora raffinata. D’altronde la loro successiva fusione con le sonorità degli ottoni è molto buona, e fa pensare a un mondo che rinasca in seno a una natura buona e accogliente. L’empito verso una vita piena si gonfia sempre più, nelle trame dei fiati come in ogni altra famiglia strumentale, e Bychkov è bravissimo a raccontare la sinfonia, facendole esprimere una storia tanto chiara quanto sofferta, di dolore, di angoscia e poi di speranza redentrice (ed ecco perché acquisisce ancor più senso il rispetto della scelta d’autore, di accostare gli originari I e III movimento, seguiti da II e IV). Ma come può concludersi una tale vicenda? Forse in termini apparentemente positivi, come i fuochi d’artificio del finale della V? Al contrario: basta l’arpeggio iniziale della celesta, subito imitata dagli archi e da una frase eccessiva degli ottoni, per far presagire la catastrofe dell’ultimo movimento (Allegro moderato – Allegro energico). Il ritmo ritorna progressivamente quello dell’avvio, ma ora le campane sono rintocchi funebri, gli interventi del basso tuba sono gesti inconsolabili, e gli squilli delle trombe la risata della morte. Con l’abbrivio imposto dalla doppia indicazione agogica Bychkov sottolinea come i temi inizino ad avvitarsi su se stessi, in una spirale di collassamento che è il senso ultimo della sinfonia: tutto quanto costruito in precedenza si avvia all’auto-distruzione. Straordinarie le trombe dell’Orquesta Nacional de España, anche se la loro vivacità non inganna più: il direttore è stato così abile nel porgere la qualità degli episodi, che non vi sono dubbi sull’esito tragico. E l’esplosione giunge, fortissima e definitiva, per lasciare la sala in una lunga sequenza di silenziosi secondi. Quindi si libera l’entusiasmo del pubblico di Madrid, che ben presto si alza in piedi per acclamare la “sua” orchestra più rappresentativa e il direttore che ne ha valorizzato tutte le migliori qualità.